Democratizzare la levitazione magnetica. È il sogno di Ales Tech e di quattro ragazzi italiani. Che ora collaborano con la squadra di Elon Musk.
Luca Cesaretti e Lorenzo Andrea Parrotta raccontano la storia di Ales Tech, startup innovativa e spin-off della Scuola Superiore S. Anna di Pisa fondata insieme ad Antonio Davola e ad Andrea Paraboschi. Quando la tesi non è l’ultimo ostacolo prima della laurea ma una grande opportunità verso il mondo del lavoro.
Ales, termine latino che sta per “alato, veloce, rapido, leggero”. «Tutto è nato da questo concetto: dare velocità e leggerezza al sistema.» Ma quale sistema? Bisogna fare un salto indietro nel tempo e ripartire dalle origini. Quando, in qualche aula della Scuola Superiore Sant’Anna, al tavolo di una bettola di Piazza delle Vettovaglie o davanti a un bancone illuminato al neon di un pub sul Lungarno, un’idea, tanto ardita quanto arguta, baluginò nella testa ben pensante di due giovani studenti. Allora tutto ebbe inizio.
La tesi
«Siamo sempre stati interessati all’innovazione, alle cose un po’ anomale, nel senso di fuori dagli schemi. Quando, una volta completati tutti gli esami, ci siamo messi a cercare un lavoro per la tesi…», quale occasione migliore per dare sfogo a questo estro creativo e fortemente innovativo? Allora laureandi in Ingegneria Meccanica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Luca e Lorenzo hanno saputo cogliere la proverbiale palla al balzo.
«Proprio in quel periodo (parliamo di circa due anni fa) si sarebbe tenuta la prima SpaceX Hyperloop Pod Competition». Studenti ed esperti provenienti da tutto il mondo avrebbero presentato un modello di design per il pod (la navicella, o capsula) che sarebbe dovuto viaggiare all’interno di un tubo depressurizzato a velocità supersonica – oltre Mach 1. Così perlomeno contemplava l’ambizioso progetto open source avviato nel 2012 dall’imprenditore e magnate Elon Musk per la costruzione di un sistema di trasporto di ultima generazione (Hyperloop), in grado cioè, per esempio, di coprire la tratta San Francisco-Los Angeles (616 Km) in poco più di mezzora, o quella Londra-Edimburgo (647 km) in circa 45 minuti. «Siamo subito rimasti affascinati da questo progetto. Trascinati dall’entusiasmo, abbiamo deciso di provarci. E alla fine ci siamo buttati.»
L’Hyperloop Team Pisa
«La prima scelta importante è stata quella di non proporre l’intero sistema (il design completo della navicella, n.d.a.), come facevano molti team, ma di studiare nel dettaglio un aspetto critico in particolare.» Vale a dire, il problema relativo alla dinamica e alle vibrazioni di un veicolo che si stima possa raggiungere velocità dell’ordine dei 1000, 1200 km/h. «Il nostro obiettivo era garantire e massimizzare sicurezza, prestazioni e comfort in un ambiente soggetto a grandi forze e vibrazioni a livello strutturale; quindi di rendere Hyperloop idoneo al trasporto passeggeri». Un po’ il senso più alto, il fine ultimo di tutto progetto.
È così, scendendo dritti al cuore della questione, che, in un certo senso, è nata ALES. Allora forse non aveva ancora questo nome – forse non aveva proprio un nome. Nel giro di qualche mese comunque sarebbe diventata la prima tecnologia patent pending della nascitura Ales Tech. «Abbiamo sviluppato una soluzione meccatronica avanzata che fa uso di componenti di derivazione industriale – attuatori elettromagnetici, smorzatori – e di software di controllo; un sistema di sospensioni attive che si comporta come un piccolo robot: attraverso un apparato di sensoristica di precisione, è in grado infatti di rispondere ad ogni minima sollecitazione proveniente dal tracciato, intervenendo posizionando correttamente gli elementi di appoggio – pattini o ruote che siano – con tempi di risposta inferiori al millisecondo.» Nata specificamente per Hyperloop, è una tecnologia versatile facilmente trasferibile in tutti quei contesti dove le vibrazioni rappresentano un fattore critico o limitante: supercar, treni ad alta velocità, montagne russe, macchinari industriali, ecc.
Ales Tech
La prima scelta importante dell’allora Hyperloop Team Pisa è stata una scelta azzeccata. Anzi, azzeccatissima, dal momento che avrebbe comportato il passaggio, come unica rappresentanza italiana, alla seconda fase della SpaceX Hyperloop Pod Competition. Su un totale di 2000 realtà provenienti da tutto il mondo, le 200 migliori sono volate in Texas a presentare i propri progetti. Princeton, Berkeley, Harvard, MIT,… e Scuola Superiore S. Anna: sicuramente una bella soddisfazione. «A fronte di risultati molto positivi, è arrivata la seconda scelta importante: quella di continuare, di andare oltre il lavoro di tesi.» Da progetto universitario a realtà imprenditoriale quindi. «Il team si è rimescolato: alcuni studenti hanno continuato il proprio percorso di studi; si sono inserite nuove figure, più trasversali, tra cui Andrea, sul lato economico-manageriale, e Antonio, per gli aspetti legali e brevettuali. Insieme abbiamo fondato Ales Tech. Correva maggio 2016. Da lì siamo ripartiti.»
I primi prototipi
La seconda fase della SpaceX Hyperloop Pod Competition si distingueva dalla prima nella misura in cui era richiesta la prototipazione dei modelli di design precedentemente elaborati e infine selezionati. «Poiché vi accedeva soltanto chi avesse concepito un progetto complessivo dell’intera navicella (pod), come azienda specializzata su un modulo specifico abbiamo stretto degli accordi di partnership tecnica con tre università americane al lavoro sullo sviluppo dell’intero veicolo.» Nel giro di soli tre mesi, Ales Tech è riuscita nella difficile impresa di realizzare – in piena estate in Italia! – i primi prototipi funzionanti di sospensioni attive.
«Siamo diventati così i loro fornitori.» Il tutto si è concluso a Los Angeles, a gennaio 2017. I prototipi, montati ed estensivamente testati sui veicoli statunitensi, sono stati presentati durante la fase finale della SpaceX Hyperloop Pod Competition. «È stata una grande occasione, una bella vetrina in cui mostrare la nostra tecnologia al mondo.»
Problemi di levitazione
Il sistema di sospensioni attive creato da Ales Tech è in un certo senso il medium che collega e permette l’interazione tra il modulo di levitazione e il resto del veicolo. Uno dei requisiti cardine del progetto Hyperloop è infatti che la navicella leviti, rimanga sospesa, perlomeno quando in moto, sul tracciato posto all’interno del tubo. «Musk stesso all’inizio aveva proposto un sistema ad aria, che tuttavia non è così semplice da applicare. Attualmente si è più orientati verso tecnologie di levitazione magnetiche. Tra i più quotati il sistema Inductrack.» Ma anche questo non è esente da criticità. Prevede infatti l’utilizzo di un binario in alluminio, con alti costi in termini di materiali e difficoltà a essere accoppiato con una struttura in acciaio. È una tecnologia inoltre che non consente una levitazione immediata, a velocità zero (da fermo), ma richiede, un po’ come nel caso degli aerei – che per spiccare il volo devono prima decollare – un carrello per mezzo del quale accelerare e raggiungere così la velocità critica. Solo a questo punto intervengono i pattini magnetici. «Ma i problemi purtroppo non si esauriscono qua. In fase di levitazione, infatti, si generano dei forti attriti che portano il veicolo a frenare.» È un circolo vizioso: la velocità diminuisce sotto il livello critico. Di conseguenza tornano a mancare le condizioni necessaria alla levitazione.
Ironlev
Le problematiche legate alle tecnologie di levitazione sono note sin dal principio, quando, intorno agli anni ’60, venivano eseguiti i primi esperimenti e introdotti i primi rudimentali modelli. Sono il motivo per cui questa tecnologia non è mai veramente emersa e non ha mai preso seriamente piede sul mercato. Pensiamo ai MagLev cinesi e ai bullet train giapponesi. Registrano ottime prestazione tecniche (lo Shinkansen Serie L0 è stato il primo convoglio terrestre a superare i 600 km/h) ma hanno un forte limite economico: di carattere energetico in primis – sono sistemi attivi: devo fornire energia per indurre la levitazione – e infrastrutturale – devo costruire un’infrastruttura ex novo completamente diversa da quella ferroviaria su cui viaggiano i più comuni treni su ruota.
Tutto ciò implica, molto banalmente, costi stellari. Questa consapevolezza, maturata e corroboratasi nel corso dell’esperienza Hyperloop, unitamente alla conoscenza e alla successiva collaborazione con un’altra realtà italiana già affermata in questo settore, Girotto Brevetti, ha portato Ales Tech a lavorare alla progettazione di una nuova tecnologia di levitazione magnetica: IRONLEV. Nata strizzando l’occhio a Hyperloop, si può estendere in maniera trasversale a tutta una serie di applicazioni commerciali già sul mercato. Prime fra tutte il settore ferroviario, proprio perché si basa sull’utilizzo di un semplice binario in ferro. «La nostra idea era quella di andare a costituire una sorta di blocco, di sistema che potesse sostituire le ruote, i carrelli ferroviari.» L’obiettivo? Far levitare i treni di nuova generazione su un’infrastruttura esistente (immaginiamo uno scenario in cui treni su ruota e treni di nuova generazione potranno viaggiare sullo stesso tracciato!). «Abbiamo realizzato un primo modello. Ora stiamo lavorando alle prime applicazioni full scale. Contiamo di sviluppare un prototipo completo del sistema applicato ad un binario tradizionale entro la fine dell’anno.»
IronLev mira a “democratizzare la levitazione magnetica”. Come? Puntando ad abbattere di un ordine di grandezza i costi dell’infrastruttura – che già esiste (i binari in ferro su cui viaggiano i treni su ruota) e andrebbe, tutt’al più, semplicemente riadattata (ma non creata nuovamente da zero). È quindi una tecnologia sostenibile, ecologica, che sfrutta le proprietà fisiche intrinseche alla materia per garantire la levitazione senza la necessità di ricorrere a fonti di energia addizionali.