COME SI PROPAGANO LE BUONE IDEE? ALEX PENTLAND NE HA PARLATO ALL’UNIVERSITÀ BOCCONI PER MEET THE MEDIA GURU.
Il 17 marzo scorso Alex “Sandy” Pentland ha presentato, in un incontro organizzato da Meet the Media Guru presso l’Università Bocconi di Milano, l’edizione italiana del suo ultimo libro. In Fisica Sociale. Come si propagano le buone idee il professore espone i risultati di più di dieci anni di ricerche sui big data applicati allo studio del comportamento umano, della gestione delle relazioni e della diffusione delle idee.
Oggi si chiama sociologia, ma quando nella prima metà dell’800 il filosofo Auguste Comte ne gettò le basi la battezzò inizialmente fisica sociale, per sottolinearne l’aspetto empirico. L’evoluzione delle tecniche di raccolta e analisi dei dati hanno scandito la storia di questa scienza, che ha dovuto lottare non poco, in passato, per dimostrare il proprio valore. In questo senso la diffusione in massa di GPS personali – leggi: smartphone – è stata una rivoluzione, perché ha fornito un capitale immenso di coordinate spaziali e temporali, big data pronti ad essere colti e interpretati da chi ha la pazienza e i mezzi per mettervi mano. Come Pentland che, forte del sostegno del Massachussets Institute of Technology, il cui Media Lab contribuì a fondare nel 1985, ha perfezionato un metodo di ricerca ottenendo risultati sorprendenti.
La regola e lo scarto
Stando alle ricerche di Pentland, nella maggior parte dei casi i comportamenti umani seguono pattern estremamente regolari: stessi percorsi, stessi negozi, stessi ristoranti. Stesse persone, soprattutto. Quando entriamo a far parte di un gruppo (dalla squadra di calcetto ai compagni di università, dai colleghi alla famiglia) la nostra necessità di relazionarci con gli altri ci porta istintivamente ad assorbirne i modelli comunicativi, creando un linguaggio e delle abitudini comuni. Influendo quindi sul modo di percepire, e vivere, il mondo. Il parametro discriminante è il tempo trascorso insieme: tanto più è maggiore, quanto più le idee iniziano ad assomigliarsi, solidificando le abitudini e rendendoci prevedibili, e molto. Con una precisione che arriva fino al 95%.
È la rivincita del behaviorismo? Siamo in un certo senso psicologicamente destinati alle nostre azioni? Alt, no. Sandy ci rassicura sul fatto che abbiamo dalla nostra parte il restante 5 per cento di imprevedibilità. Che sembra poco, ma ha delle conseguenze notevoli.
Esplorazione
“È come se una volta ogni tanto rompessimo improvvisamente gli schemi e decidessimo di affrontare qualcosa che fino ad allora era rimasto completamente ignoto”, ci racconta. “Un comportamento che abbiamo chiamato esplorazione”.
Perdersi in un quartiere sconosciuto, iscriversi a un corso di lingue, assaggiare una nuova pietanza, sono tutte esplorazioni, piccole o grandi, che ci costringono a rompere le abitudini e confrontarci con modelli ed idee differenti dal solito. Studiando i dati sui luoghi più frequentati dai singoli individui è stato possibile suddividerli in gruppi e mapparne i flussi di spostamento. Ciò ha permesso di stabilire che i comportamenti esplorativi sono molto più frequenti nelle comunità a reddito alto, mentre diminuiscono drasticamente in quelle più povere. L’isolamento genera povertà e criminalità, questa la conclusione.
Potenziare il sistema di trasporto pubblico, i luoghi di aggregazione e le attività commerciali locali sarebbero degli ottimi incentivi per risolvere questi problemi, perché stimolerebbero l’interazione faccia a faccia. Già, perché sembra che siano soprattutto le relazioni dal vivo, fatte di sguardi, toni di voce, condivisione del contesto, ad influire sulle abitudini.
Casi di studio
Molte le applicazioni nell’urbanistica, quindi. A Riyad, ad esempio, hanno osservato che alcune persone, dopo un licenziamento, impiegavano molto più tempo di altre a trovare un nuovo impiego, nonostante avessero lo stesso livello di istruzione e di esperienza. Applicando le tecniche di ricerca della fisica sociale è emerso che erano gli individui che praticavano meno esplorazione, interagendo di meno, a limitare le loro possibilità di essere riassunti e a protrarre il proprio periodo di disoccupazione.
Sembrerà ovvio, si difende Pentland, ma avere dei dati che trasformano le sensazioni in fatti cambia tutto. Dopo aver accolto i risultati della ricerca le autorità municipali hanno deciso di riorganizzare la rete di trasporto per servire meglio quei quartieri dove si contava un numero maggiore di disoccupati.
Numerosi inoltre i casi di studio sulla comunicazione interna alle organizzazioni. Utilizzando speciali badge sviluppati dal team del MIT si possono rilevare le interazioni di ogni singolo dipendente e classificare con estrema precisione gruppi sociali informali altrimenti invisibili. Quindi, applicando misure che rompano la routine e costringano a generare nuove connessioni, si può incrementare la produttività di oltre il 10%.
Da grandi dati derivano grandi responsabilità, Pentland ne è più che consapevole e anche in questo caso avanza la sua proposta: un new deal che attribuisca definitivamente la totale proprietà dei dati al soggetto cui si riferiscono, il quale può concederne l’uso a soggetti esterni, riservandosi però il diritto di revocarli in qualunque momento. L’idea è che i dati siano trattati per quello che sono, un bene personale e privato, su cui le organizzazioni che fossero interessate a disporne dovrebbero acquistare un diritto di accesso.
Come non essere d’accordo?