Bekudo è la piattaforma definitiva per i freelance. Per chi ha scelto l’autonomia e la libertà di lavorare sempre a distanza. Un’idea nata gradualmente che mette insieme una community online, la consulenza strategica, e – nel futuro – l’intelligenza artificiale.

Emma e Virginia hanno quell’età indefinibile e fortunata che unisce la risolutezza dell’esperienza con l’entusiasmo (e le All-star) di un ventenne.

Si sono conosciute a Londra nel 2010, in mezzo a una lunga serie di trasferimenti: Palermo, Milano, Vancouver, di nuovo a Londra e poi Tenerife. Non solo per la voglia di scoprire il mondo, ma anche per il lavoro: cambiato, inseguito, accettato per sfida, curiosità o necessità.

Emma ha studiato architettura e poi ha lavorato per più di dieci anni nel marketing e nel settore immobiliare. Virginia ha una formazione in lettere, poi convertita e adattata al mondo digital.

«A Tenerife dopo sei mesi ci siamo annoiate» spiega Emma. «È un’isola bellissima per chi fa surf, windsurf, kitesurf. Ma noi facciamo intellectual surf, un’attività poco praticata lì. Così abbiamo deciso di tornare a Milano.» Emma ha i capelli corti, le braccia tatuate e – a tratti – un’inflessione nella voce che lascia intuire che l’inglese è la sua lingua quotidiana ormai da tanti anni.

Un’idea nata in volo

«Sul volo di ritorno dalle Canarie all’Italia, mentre stavamo passando sul Marocco, dissi a Virginia: ma perché non esiste un modo per gente come noi, superqualificata, che ha esperienza da offrire, di lavorare tutti i giorni per un’azienda diversa su progetti diversi ad alti livelli? Cioè non sul piccolo progetto, sul logo, sulla decina di post per il blog X, ma su progetti strategici?»

Aggiunge Virginia: «L’altra domanda fondamentale era: perché bisogna essere vincolati ad un luogo fisico per farlo?»

Il tassello successivo è stato incontrare Plantronics e le sue politiche radicali smart working, effetto della presenza – all’epoca – di Philip Vanhoutte, uno dei teorici dello Smarter Working Manifesto. Lì Emma è rimasta un anno, per una sostituzione di maternità – «Se fosse stato un contratto a tempo indeterminato non l’avrei fatto», precisa – e ha visto da vicino come fosse possibile concedere la libertà di lavorare da dove si vuole, organizzando individualmente il proprio tempo e riuscire a raggiungere gli obiettivi prestabiliti.

Passato l’anno entrambe tornano a Londra per la terza volta, per lavorare in due startup. Dopo sette mesi di riflessioni ambiziose si sono guardate e si sono dette: ricordi l’idea che ci era venuta in aereo?

Era arrivato il momento di realizzarla.

BeKudo, non un marketplace qualunque

Così, a gennaio 2018 nasce BeKudo. Un progetto che – le due non lo negano – è cucito addosso alle esperienze e alle necessità di persone come loro: professionisti molto qualificati che, dopo un’esperienza in azienda, hanno scelto di essere freelance.

«E ce ne sono tanti» assicura Virginia. «La cosa affascinante è che su BeKudo l’età media è di 43 anni. Vuol dire che non sono giovani all’avventura, ma persone molto consapevoli di quello che sanno fare, del loro valore. Hanno minimo una decina di anni di esperienza, sono equamente divisi tra uomini e donne ed hanno dei profili tecnici a livello strategico.»

Quando parla sorride spesso, socchiude gli occhi e si illumina. Se non crede in qualcosa, non lo fa: «E non c’è nessun costo per iscriversi a BeKudo, non ci sono fee, niente. Troviamo eticamente sbagliato chiedere soldi per far lavorare le persone, specialmente quando il valore della piattaforma dipende da loro.»

Li chiamano independent professionals, e vogliono sostenere la loro scelta di lavorare a prescindere dalla localizzazione geografica, valorizzando di più il loro lavoro rispetto alle altre piattaforme marketplace.

Nei marketplace di solito funziona così: l’azienda usa il motore di ricerca per trovare il ruolo di cui ha bisogno, quindi le appare un elenco di profili e sceglie chi contattare.

Una piattaforma, due conversazioni

BeKudo invece ha un approccio basato su due conversazioni, una con l’azienda e un’altra col professionista. Lato azienda vengono fatte delle domande per capire qual è il reale bisogno, che molto spesso richiede figure o competenze diverse da quelle che l’azienda immagina.

Lato professionista vengono fatte delle domande per capire qual è stato il percorso individuale, quali sono i progetti su cui si è più efficaci, su cosa piace lavorare.

Ancora Virginia: «Ci teniamo molto a raccogliere informazioni qualitative, tanto che c’è chi ci ha scherzato su, dicendo che assomiglia a una seduta di psicoterapia!»

Vogliono creare delle conversazioni talmente efficaci e sincere da permettere di realizzare un match perfetto tra l’azienda e la persona, tenendo in considerazione sia le skill che la personalità e i modi di lavorare.

Ottimizzazione e meritocrazia

Il primo cliente ha chiesto cinque localization expert, cioè traduttori specializzati nell’industria dei software. Attraverso BeKudo l’azienda ha iniziato una collaborazione che prosegue ancora oggi, dopo cinque mesi.

«Sembra un dettaglio ma non lo è» sottolinea Virginia. «Prima l’azienda copiava il testo da tradurre, lo inviava a un sito marketplace e una persona a caso lo traduceva. Spesso la qualità era bassa e il team responsabile di quella lingua doveva perdere tempo a ricontrollare il contenuto. Con BeKudo la qualità è stata maggiore da subito, e la relazione continuativa coi freelance permette loro di perfezionare il lavoro. Non solo, ma queste cinque persone si conoscono tra di loro, quindi possono scambiarsi suggerimenti e migliorare insieme il servizio offerto al cliente.»

Tutto senza svendere il lavoro del professionista: il costo per l’azienda è passato da otto a trenta sterline all’ora, ma la traduzione è perfetta e il risparmio di tempo enorme.

C’è un altro aspetto positivo: con questo meccanismo di selezione vengono ignorate le caratteristiche che diventano discriminatorie nel momento in cui si sceglie un candidato. L’azienda conosce le competenze del candidato, le specializzazioni, i progetti su cui ha lavorato, i risultati ottenuti. Ma fino all’ultimo momento non sa se è un uomo o una donna, se ha 25 anni o 40, se è bianco o nero, qual è la sua nazionalità.

BeKudo Lab: la supercomunità di superesperti

La qualità del briefing è apprezzata dai freelance perché, indicando subito il tipo di professionista richiesto, il bisogno del cliente, i KPI, risparmia loro un sacco di tempo.

Emma: «Le aziende invece hanno riconosciuto il valore della nostra consulenza. Quando ci è capitato di far notare che il budget disponibile non era sufficiente per i risultati attesi, abbiamo suggerito tool gratuiti per raggiungere gli stessi risultati. Un altro servizio in più rispetto ai marketplace tradizionali.»

La consulenza è l’area in cui BeKudo vuole crescere. Lo farà attraverso BeKudo Lab, una comunità di esperti con un livello di ingresso ancora più alto che si offrirà di lavorare su progetti più grandi e complessi. La garanzia è l’esperienza consolidata dei professionisti che ne fanno parte, con alle spalle collaborazioni con aziende del calibro di Netflix, Vodafone, Microsoft, Sky e Bulgari.

A oggi si contano oltre quaranta professionisti, il top del top di BeKudo. Tutti potranno seguire corsi online e si scambieranno idee, competenze, suggerimenti – rigorosamente a distanza – per offrire servizi di marketing transformation, digital business strategy e sviluppo tecnologico.

Chatbot e artificial intelligence

Abbiamo detto che il percorso di registrazione per accedere a BeKudo passa attraverso colloqui dettagliati e precisi. Ma la vera particolarità è che il primo di questi è svolto attraverso i chatbot. Si prevede che l’interfaccia sarà ulteriormente automatizzata e che – attraverso il machine learning – le domande siano personalizzate in tempo reale, in base alle risposte dell’utente.

Emma spiega: «Vogliamo conoscere ancora più in profondità il lavoro collaborativo in team: BeKudo Lab diventerà un vero laboratorio di creatività e tecnologia, dove il lavoro della comunità dei professionisti sarà studiato, i dati sulle loro interazioni saranno raccolti e utilizzati per trovare modelli e best practices.»

Quindi arrivare a sfruttare al massimo l’interazione tra professionisti e aziende usando dati empirici, per poi creare software basati sui pattern emersi.

Si parla di intelligenza artificiale: «Il fine ultimo di BeKudo», annuncia Virginia, «sarà quello di diventare artificial intelligence lato software. Quindi vendere software basati sull’intelligenza artificiale per il settore dell’HR tech. Dal recruiting ad aiutare l’azienda a capire il progetto, o a trovare le persone o le soluzioni tecnologiche per poter lavorare un certo progetto nel mondo del freelance.»