Cos’è Bitcoin? Un artificio virtuale che è diventato più vero di una cosa reale. Parola di Marco Amadori, CEO di Inbitcoin.

Oggi Bitcoin è una realtà consolidata. Eppure per molti conserva un sapore esoterico. Quali sono le reali prospettive di sviluppo della più famosa e misconosciuta criptovaluta del mondo? Ne abbiamo parlato con Marco Amadori, CEO di Inbitcoin, tecnologo e ricercatore presso BlockchainLab.

Come una specie di Virgilio, Marco ci ha gentilmente accompagnati per l’anticamera di un mondo tanto vasto e complesso quanto affascinante. L’intervista è durata ore. E quello che proviamo a trasmettervi non è che una scheggia della punta dell’iceberg.

Inizialmente l’idea era quella di scrivere un pezzo proprio su Inbitcoin, starutp trentina nata dalle costole della Fondazione Bruno Kessler. «Sviluppa prodotti e servizi per l’utilizzo di Bitcoin», si legge sul sito web della società. La sua missione è diffondere e rendere fruibile la tecnologia bitcoin. Il primo progetto, Inbitcoin Valley, è un caso di studio sociale di successo. «La gente accetta bitcoin, li prende perché può farci qualcosa, può viverci».

Non è possibile parlare di Inbitcoin senza fornire un’infarinatura di bitcoin. Che cosa sappiamo di questo oggetto misterioso? Innanzitutto sappiamo che bitcoin non è propriamente una moneta, come alcuni lasciano erroneamente intendere. «Non è propriamente una moneta, sebbene si avvicini molto alla definizione aristotelica della stessa: un oggetto non deperibile, infinitamente divisibile e ricombinabile. Questa, invece, la definizione moderna di moneta: un’unità di conto, un sistema di trasmissione di valore che funga anche da riserva di questo valore. Bitcoin non assolve alla prima funzione: il suo valore cambia troppo di frequente rispetto a beni e servizi reali. L’euro, da parte sua, funziona come unità di conto ma, essendo un bene inflazionabile, non è una buona riserva di valore. Chi ha più di trent’anni lo sa bene – basti pensare a quello che si poteva comprare qualche tempo fa con 50.000 lire».

Non è una moneta, e forse neppure una valuta

Dire che bitcoin è una moneta sarebbe come affermare che internet e l’email sono la stessa cosa, o che uno smartphone è solo un telefono. Bitcoin non è una moneta per lo stesso motivo per cui “email” non è sinonimo di “internet” e “telefono” non è, tecnicamente, sinonimo di “smartphone” (sul parallelismo internet-bitcoin torneremo più avanti).

Un primo equivoco per cui bitcoin viene spesso associato e identificato con il concetto di moneta (virtuale), si genera dal nome stesso che è stato dato a questa tecnologia. «Sembra il nome di un’azienda, alla stregua di Facebook o Wallmart», spiega Marco. E già questo crea confusione. Ma crea ancor più confusione chi cerca la scorciatoia etimologica: bitcoin, una moneta fatta di bite. «Questo lascia immaginare che bitcoin sia un oggetto digitale intero che abbia un certo significato, invece è un’unità di misura. Neanche sulla struttura dati chiamata blockchain esistono concretamente dei bitcoin. Ci sono invece delle transazioni denominate in bitcoin», degli scambi di informazioni che avvengono attraverso un protocollo chiamato, appunto, bitcoin.

Un secondo equivoco nasce dalla sovrapposizione dei concetti di valuta e di moneta – che spesso, nel linguaggio di tutti i giorni, per comoda ingenuità, vengono interscambiati e concepiti come sinonimi. Ora, bitcoin, in maniera forse non del tutto accurata ma neanche del tutto fallace, viene quasi sempre presentato sotto l’etichetta di “criptovaluta” o “valuta crittografica” – o “game theory currency”, per usare il lessico di Marco, «perché in realtà si basa sulla teoria dei giochi: non basta solo la matematica o la crittografia, c’è dietro tutto un discorso microeconomico di teoria degli incentivi». Ad ogni modo, se tendo a confondere e a sovrapporre i concetti di valuta e moneta, il passaggio, ingannevole, da “valuta crittografica” a “moneta crittografica” è questione di un attimo. Più un distinguo che un grave errore in realtà; un’imprecisione, un’inesattezza – ma sempre e comunque un errore.

Ma allora cos’è bitcoin: una valuta? In realtà anche questa definizione non è propriamente corretta. Quello che possiamo dire è che l’uso che si può fare della tecnologia bitcoin è molto simile a quello che si potrebbe fare di una qualsiasi altra valuta. In altre parole, bitcoin si presta particolarmente bene a essere utilizzato come valuta. Così bene che il primo uso che ne è stato fatto è stato proprio questo. La definizione di valuta ci aiuta a capire meglio: «un’unità di scambio (o un’unità di misura, n.d.a.) che ha lo scopo di facilitare il trasferimento di beni e servizi. Per lo più assume la forma di moneta». Bitcoin fa proprio questo. O meglio, può fare anche questo – e attualmente lo fa: permette il trasferimento di beni e servizi da una parte all’altra del mondo, in maniera istantanea, disintermediata e sicura. È una tecnologia che, all’interno del proprio ampio spettro applicativo, racchiude, fra le tante, anche la possibilità di essere utilizzata come valuta. Torniamo al parallelismo con internet: allo stesso modo in cui la rete rende di fatto possibile il servizio di posta elettronica, bitcoin può essere utilizzato per la creazione di una valuta digitale. Internet sta all’email come bitcoin sta all’applicativo “valuta bitcoin”.

Oro digitale, bene “rifugio”?

Non è un caso se lo stesso Satoshi Nakamoto, il misterioso inventore di bitcoin, per illustrare e spiegare il frutto della sua creazione, abbia tirato fuori questa curiosa metafora: «immaginate un metallo grigio, brutto, non malleabile, non duttile, non conduttore ma neanche isolante, scarso, presente in quantità limitata sulla crosta terrestre. Con una proprietà magica: può essere trasmesso su qualsiasi canale di comunicazione». Colore e giudizio estetico a parte, a me viene subito in mente l’oro, un “oro digitale” – e non vi è forse, tra le varie funzioni dell’oro, anche quella di valuta?

Insomma, il motivo principale per cui, per eccessiva semplificazione, ci si limita a dire che bitcoin è una moneta, è che questa tecnologia, nella sua accezione, o meglio, nella sua applicazione di valuta digitale, può essere effettivamente considerata alla stregua di una moneta- la moneta d’altronde è una tecnologia. Una moneta particolare però, che si distingue da tutte le monete mondiali correnti in quanto non viene creata a debito. «È  assolutamente impossibile creare bitcoin dal nulla; una banca, d’altra parte, ha facoltà di battere moneta quasi arbitrariamente – una banca centrale s’intende. Con i bitcoin ciò non è possibile: devono esistere veramente. E perché esistano veramente è necessario investire ingenti risorse nel mondo reale (tempo, energia – elettrica in primis). Devo eseguire un lavoro. Questo lavoro diventa la garanzia e l’indice di sicurezza del sistema: quando detieni un bitcoin non possiedi il debito di qualcun altro. Possiedi un bene stabile, incorruttibile, una piccola grande verità».

Abbiamo detto cosa non è propriamente bitcoin: una semplice moneta. Abbiamo detto come può essere utilizzato, cosa può diventare: una valuta. Proviamo ora a dare una definizione assertiva di Bitcoin. Bitcoin è un protocollo di comunicazione, un sistema di messaggistica. «È il primo bene digitale puro, una cosa artificiale che è diventata una forza della natura. Non esiste nessun potere organizzato che possa cambiarne il passato, un po’ come non è possibile cambiare il valore della forza di gravità – a meno di non ipotizzare scenari fantapocalittici. Nessun giudice, nessuna banca, nessuna nazione ha il potere di riscrivere la storia delle transazioni bitcoin».

Una delle principali caratteristiche innovative relative a questa tecnologia è la non-duplicabilità in ambito digitale. Normalmente, quando si parla di digitale, si pensa a un qualcosa – un’immagine per esempio – di cui posso fare facilmente una copia, potenzialmente riproducibile per un numero illimitato di volte. A scanso di equivoci: quando invio un file invio sempre la copia di quel file, l’originale rimane sul mio computer. Bitcoin è un bene digitale che non può essere duplicato ma può essere inviato, trasmesso, comunicato. Si presta quindi particolarmente bene ad essere utilizzato come valuta. Questa, per sua natura, deve avere una caratteristica in particolare: non può essere duplicata da chiunque senza il minimo sforzo. «Anche se poi abbiamo l’euro, che non ha un sottostante. Draghi, o chi per lui, praticamente schioccando le dita, può decidere di stamparne in quantità». Che è poi quello che succede: attualmente vengono creati dal nulla circa 80 miliardi di bitcoin al mese – di euro, perdonate il lapsus.

Ma allora, se i bitcoin sono il frutto di un controvalore reale, fisico (il lavoro che i cosiddetti minatori devono svolgere, dispiegando una notevole potenza di calcolo, per liberare nuovi bitcoin) e se, come per l’oro, i diamanti e tutte quelle materie prime naturali, non potranno venire estratti in eterno; considerato tutto questo, non ha senso chiedersi se non siano più veri dei soldi veri?

Chi già ne fa uso, chi già sfrutta bitcoin nella sua applicazione di valuta digitale – per pagare una birra, fare la spesa o fare benzina per esempio – la pensa così. Sa di avere a che fare con un bene nativamente digitale, virtuale, che, paradossalmente, sta diventando e diventerà via via sempre più reale e concreto di quei pezzi di carta o di quei piccoli dischetti metallici che abbiamo sempre tutti toccato con mano – chi più, chi meno.

Forse, al confronto, la valuta virtuale, al momento, è l’euro, con una quota cartacea attualmente nell’intorno del 4% del totale in circolazione, una creazione, come abbiamo visto, a debito, e un valore fittizio, puramente illusorio, precario, che deriva unicamente dalla confidenza nell’uso collettivo che ne fa la comunità. Questo discorso, ovviamente, vale per qualunque altra valuta a corso legale tradizionale.