Si parla di Cloud Factory, la nostra Cloud Factory. Vi presentiamo allora Davide Capozzi e Andrea Di Monaco, il primo PhD all’Università di Pavia in Bioingegneria e Bioinformatica, il secondo artista di pianoforte che dal panorama della musica è migrato – chissà, forse proprio su una nuvoletta – al mondo IT, sua altra grande passione.
La prima cosa che entrambi hanno nominato quando sono stati interpellati è stata, giustamente, la service line di cui fanno parte: “Cloud Factory e Big Data”. Davide ne è il responsabile. È un architetto certificato AWS e da quando è in Spindox si è sempre occupato di cloud.
Davide: “La service line Cloud Factory e Big Data è una service line trasversale, di supporto. Oltre a portare avanti i propri progetti, entra in gioco a fianco delle altre delivery ogniqualvolta sia necessaria l’implementazione di un’architettura in ambiente cloud. Tutto questo lo facciamo da veri e propri cloud-agnostici, in linea con la consolidata tradizione da system integrator che ci contraddistingue. Quindi, piuttosto che prediligere a priori una piattaforma a un’altra, adottiamo di volta in volta la piattaforma che soddisfa meglio preferenze ed esigenze del cliente. Mi chiedi potenza computazionale? Vado su Amazon. Vuoi un database sequel server? Azure. Servizio di riconoscimento immagini? Google. Così, benché il nostro partner tecnico di riferimento è Amazon Web Services (AWS), di cui siamo Advanced Partner, siamo anche partner di Azure, il cloud di Microsoft, e utilizziamo tecnologie e servizi di Google Platform e di Softlayer (IBM).”
Andrea invece si occupa principalmente “della fase di pianificazione dei progetti, della fase di sviluppo e di realizzazione.”
Si ferma un attimo, giusto il tempo per rendermi conto che…“…si, copro quasi tutte le fasi di un progetto” chiosa prontamente, fugando il dubbio che si era palesato, a mo’ di smorfia, sul mio volto.
E in cosa consiste un progetto cloud factory?
“Curiamo la migrazione di data center fisici su cloud. Dopo una prima fase di progettazione architetturale, subentriamo con contratti di manutenzione in supporto al cliente. Forniamo quindi un servizio di monitoraggio h24, cooperando con le altre delivery, in particolar modo con la delivery Operations.”
Più in concreto?
Davide: “Ti faccio un esempio. Uno dei nostri primi lavori su cloud è stato il disegno di un’infrastruttura in ottica scalabile su Amazon Web Services. Mi chiederai: cos’è un’infrastruttura scalabile?”
Te lo stavo proprio per chiedere…
“È un’infrastruttura in cui il numero di server varia a seconda di alcune metriche, per esempio la CPU delle macchine – ma si possono considerare tanti altri parametri. Quando viene superata una certa soglia il sistema aggiunge dei server alla configurazione base in maniera reattiva. Questo permette di far fronte ai picchi impredicibili. Inoltre, non solo l’infrastruttura aumenta nei periodi di traffico intenso, ma è anche in grado di diminuire nei periodi in cui il sito non viene utilizzato, permettendo così di risparmiare senza rischiare disservizi.”
Nell’infrastruttura tradizionale invece…
“…il numero di server è costante, per cui o la crei enorme, la paghi molto e la utilizzi solo in piccola percentuale per la maggior parte del tempo, sfruttandola al massimo solo quando ci sono picchi di traffico, oppure la fai di dimensioni medie, cerchi di non spendere tanto e accetti il rischio di saturare le risorse durante il picco e quindi di dare disservizio.”
A un giovane potenziale candidato che vorrebbe fare il tuo lavoro cosa consiglieresti? Gli diresti che la formazione universitaria è necessaria o che sono sufficienti una forte passione, una forte dedizione?
Andrea: “Serve una componente mista di entrambe (impegno autodidattico e formazione istituzionale), anche perché attualmente non esiste un percorso universitario mirato a insegnarti esattamente ciò su cui lavoriamo. Spesso devi integrare ciò che hai imparato all’università con un po’ di formazione personale, appoggiandoti ad associazioni o aziende terze. Vedi la certificazione Cisco, la certificazione Microsoft.”
Sì, in effetti all’università, nel mio piano di studi, non erano contemplate né certificazioni Cisco né certificazioni Microsoft. Vero anche che ho studiato Filosofia…
E adesso qualche “domanda un po’ bastarda”, come ci ha fatto puntualmente notare uno dei nostri manager nel corso di un’intervista precedente.
Al netto della tua esperienza qui in Spindox, che impressione ti sei fatto dell’azienda? Su quali aspetti interverresti? Su quali elementi ti impegneresti per migliorare ulteriormente le cose?
Andrea: “Sicuramente avrete intervistato il capo dell’architettura, Juan.” Faccio no con la testa, alzando le spalle e allargando le braccia in segno di rassegnazione. “Ancora no? Lo farete, le sue vision sono molto interessanti.” Faccio sì con la testa, forse un po’ meno rassegnato. “Comunque” continua lui “questo per dire che, per quanto riguarda i miglioramenti, Spindox è un’azienda giovane: lasciamola crescere. Le prospettive sono molto buone – e anche le premesse.”
Le tecnologie cloud si stanno rivelando un grande successo…(sì, sono alla frutta, non so più cosa chiedere).
Andrea: “Il cloud offre grandi opportunità. Opportunità di risparmio in primis. È una forza, una forza imbattibile. Se oggi tutte le più grandi aziende stanno migrando al cloud un motivo ci sarà…”
Ok, fuori l’asso dalla manica, domanda super-bastarda: cos’è per te l’innovazione? Cosa vuol dire fare innovazione?
Stavolta l’ho messo in difficoltà, mi dico. Questa domanda mette in difficoltà un po’ tutti. E invece no. Dopo neanche il tempo di uno schiocco di dita (facciamo due), prende a rispondere con grande flemma e compostezza, come d’altronde ha sempre fatto sinora. Un vero piano man.
Andrea: “Sicuramente per innovare devi portare avanti un’idea molto forte, un’idea in cui credi. Molte volte all’interno dello stesso habitat tecnologico c’è chi la pensa in modo diverso. Si prendono strade diverse perché si hanno idee differenti. Entrambe queste idee tuttavia possono essere innovative: l’innovazione non è il risultato di una competizione da cui escono necessariamente un vinto e un vincitore.”
Le strade per innovare sono infinite…
Andrea: “Personalmente associo il termine innovazione a concetti quali automazione, incremento dell’efficienza a fronte di una riduzione della quantità di lavoro. Ma il vero parametro da tenere in conto per capire se si può parlare di innovazione o meno è qualcosa di molto più terra a terra. L’innovazione deve apportare benefici concreti. Non c’è innovazione senza un beneficio tangibile. Sotto questo profilo quindi innovare può significare migliorare o incrementare la portata, già di per se positiva, di idee o invenzioni pregresse.”
Va beh, tanto non c’è gusto: fine delle domande bastarde. Chiudiamo su Davide.
Qual è il tuo percorso?
Davide: “Tutti i miei studi e le mie tesi (lauree più dottorato, n.d.a.) hanno avuto a che fare con lo sviluppo di sistemi IT. Mi sono occupato di sviluppo embedded per un sistema di acquisizione di misure portatile e ho lavorato su un software che aiutasse nella riabilitazione attraverso una maglietta sensorizzata – i pazienti la indossavano, dovevano ripetere un movimento e il sistema ti diceva se avevi fatto bene o male.”
“Durante il dottorato poi ho lavorato su diversi progetti. Ne cito due in particolare: quello sui pancreas artificiali e un altro legato alla realizzazione di una piattaforma per lo sviluppo di sistemi di telemedicina. Da lì ho fondato una startup – Biomeris, che è ancora attiva – con altri quattro colleghi dottorandi. Abbiamo creato una data warehouse, un sistema di acquisizione dati per realtà ospedaliere che ti permette di fare query complesse, cross, data source. Fra l’altro, proprio con Biomeris, stiamo collaborando nell’ambito di un progetto finanziato dalla Regione Lombardia, che vede coinvolta anche l’Università di Pavia e che ha l’obiettivo di mettere a punto un sistema hw e sw per prevenire le cadute delle persone anziane.”
“In questo percorso mi sono sempre occupato di tecnologia, dallo sviluppo all’infrastruttura. Ho trovato poi molto interessanti le tematiche cloud, che in una startup non è possibile sviluppare, non avendo grossi server e facendo risparmio su tutto [che beffa, ho subito pensato: non potersi permettere una tecnologia che ti permetterebbe di risparmiare soldi che potresti proprio investire in una tecnologia che ti permetterebbe di risparmiare…ok, meglio lasciar parlare Davide].
“Così ho iniziato a collaborare con Spindox. Finché, circa un anno fa, mi è stata conferita la responsabilità della service line di cui vi ho parlato. Questa è la mia storia, magari un po’ atipica. Questo è Davide Capozzi.”