Coding e Digital Education non fanno per le ragazze? È un problema di cultura, spiega Reshma Saujani a Meet the Media Guru.

I corsi dedicati alle STEM, acronimo inglese per Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica, hanno una percentuale di frequenza molto bassa di ragazze. E questo non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Perché? E ancora: solo i ragazzi possono fare coding? Alle ragazze non interessa oppure non sono portate? Sono queste alcune delle domande che Reshma Saujani si è posta prima di fondare Girls Who Code.

Avvocato e attivista femminista, nel 2010 Reshma Saujani è la prima donna indiano-americana a correre per il Congresso. Durante la campagna elettorale Saujani visita centinaia di scuole. Ed è qui che nota una ridotta presenza di bambine ai corsi di computer science e tecnologia. Nel frattempo diversi genitori la contattano per chiederle più corsi di coding e digital education per le proprie figlie. Qualche anno più tardi nasce Girls Who Code, un’organizzazione no‐profit che dal 2012 si occupa di formazione digitale per le ragazze, incoraggiandole a intraprendere corsi di studio STEM.

Meet the Media Guru ha invitato Reshma Saujani al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia per esplorare le opportunità che Coding e Digital Education offrono alle giovani donne.

Questione di stereotipi

Negli ultimi anni si è registrata una diminuzione di forza lavoro femminile per quelle discipline considerate «prettamente maschili», come il settore digitale e la programmazione. Ma perché «prettamente maschili»? Saujani sostiene si tratti di un discorso – o, ancor meglio, di un problema – culturale. È la maledetta questione degli stereotipi, insomma. I quali allontanano le regazze dai percorsi di studio nelle materie tecnico-scientifiche e in particolare dalla cultura digitale, dal mondo del software e dalla pratica del coding (ricordiamo che proprio a questo tema è stata dedicata, nello scorso mese di aprile, la manisfestazione milanese STEM in the city).

Negli anni ’80 si è creato e in un certo senso promosso il modello del ragazzo programmatore. Questa idea si è insinuata nella società portando alla concezione di un mondo, quello del coding, adatto a soli uomini. Basti pensare ai modelli televisivi che animano i nostri schermi. Questi sono in grado di condizionare abitudini, atteggiamenti, pensieri e persino ambizioni.

Cultura della Barbie

Quante volte compaiono sugli schermi donne coding? Il problema è che non vediamo ciò che possiamo essere. Basta pensare ad alcune serie tv, come Grey’ s Anatomy oppure Olivia Pope. Si vedono donne in carriera che sono avvocati, oppure medici. Ma non programmatori. È come se ci fosse un cancello, che confina al suo interno un determinato gruppo di professioni adatte al genere femminile e che esclude quelle non per loro.

Saujani sostiene la presenza di una cultura che chiama: cultura della Barbie. Con questa espressione si riferisce a un mondo in cui le ragazze sono considerate soggetti fragili, adatte a un numero circoscritto e stereotipato di mansioni, o – come appunto sostiene l’attivista – delle Barbie.

A questo proposito Saujani evidenzia la presenza di un gender gap nel settore STEM, causato e alimentato dalla diffusione di una cultura sbagliata che rappresenta e divulga modelli stereotipati per ragazzi e ragazze.

Parità entro il 2027

L’obiettivo di Girls Who Code, che attualmente coinvolge circa 90mila giovani donne in tutti gli Stati Uniti, è proprio ridurre questo gender gap per raggiungere la parità occupazionale nel settore STEM entro il 2027. Saujami crede infatti che non coinvolgere le ragazze nei programmi di formazione digitale determini una perdita, una perdita per tutti noi, come mondo.

L’Attivista ritiene infatti fondamentale che anche le ragazze inizino a sbucciarsi le ginocchia e a rimboccarsi le maniche. C’è un futuro per tutti, ragazzi e ragazze. Bisogna lavorare sull’abbattimento degli stereotipi e soprattutto instillare passione, creare ambizioni, senza far passare messaggi che limitino gli orizzonti.

Girls Who Code è possibile grazie al finanziamento di alcune aziende che necessitano di talenti e che hanno compreso l’importanza del coinvolgimento femminile per crescere. Il 90 % del finanziamento di Girls Who Code proviene infatti da aziende private, nulla arriva dallo Stato. Rivolgendosi al pubblico di Meet the Media Guru, Saujami ha detto: «Non aspettare che qualcuno investa su di te, inizia a darti da fare. Perché non è mai troppo tardi. D’altronde, io ne sono l’esempio vivente».

Cominciare con un libro

A proposito di inizi,Saujami rammenta come un libro sia un’ottimo punto di partenza. Invita così le ragazze che intendono gettarsi nel mondo nel coding a leggere il manuale sull’introduzione al linguaggio di programmazione Girls Who Code. Impara il coding e cambia il mondo. Un’ottimo strumento per iniziare, in grado di sorpassare i limiti causati da problematiche socio-economiche. Questo è fondamentale perché c’è bisogno di confrontarsi anche con i Paesi in via di sviluppo, anzi: è proprio da qui che bisogna iniziare. Ci deve essere collaborazione a livello internazionale, solo così si può crescere.

Dunque ragazze: è l’ora di alzare il tiro. Dopotutto, chi dice che il prossimo Mark Zuckerberg non sarà una donna?