La proposta della Commissione Ue introduce regole sul copyright digitale penalizzanti per Google, Facebook & C. Molti i dubbi sull’efficacia del nuovo approccio, che dovrà essere discusso dal Parlamento.
Mercoledì scorso la Commissione europea ha approvato una proposta di direttiva sul copyright digitale che introduce importanti novità. Il testo del documento è accessibile qui: Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on copyright in the Digital Single Market. Non c’è nulla di definitivo: la proposta di riforma della normativa dovrà seguire, come sempre in questi casi, un iter lungo e complesso e poi essere sottoposta al giudizio del Parlamento e del Consiglio europei.
Il documento è tuttavia significativo di un orientamento inedito della Commissione in materia di copyright in ambiente digitale. Tanto più che si tratta del risultato di un lavoro preparatorio in cui sono stati coinvolti da una parte i movimenti per i diritti civili, dall’altra le lobby di editori, operatori telefonici e OTT (i fornitori di servizi on line come Google e Facebook, per intenderci). E sembra proprio che, questa volta, le pressioni degli editori abbiano avuto la meglio.
Le novità riguardano due aspetti fondamentali: il ritiro della protezione legale per gli OTT e l’introduzione di una tassa sugli snippet.
Il controllo sui contenuti
La proposta della Commissione Ue stabilisce che il fornitore di servizi online deve impedire in modo proattivo la pubblicazione, da parte degli utenti, di contenuti protetti da copyright. “In modo proattivo” significa che l’intervento del service provider deve essere preventivo, non effettuato a posteriori. Viene infatti eliminata la protezione legale che oggi esonera gli OTT da responsabilità per i contenuti ospitati, fatto salvo l’obbligo di intervenire prontamente per eliminare materiale già pubblicato, quando questo violi la legge.
Il ritiro della protezione legale, finora concessa ai fornitori dei servizi online in nome della libertà di espressione, potrebbe cambiare radicalmente lo scenario editoriale in ambiente digitale. Oggi Facebook, YouTube ecc. non sono tenuti a vagliare preventivamente i contenuti immessi dai loro utenti. Hanno semmai l’obbligo di intervenire ex post, in caso di segnalazioni. Inoltre gli operatori sono protetti legalmente dalle infrazioni commesse dagli utenti stessi, per esempio in caso di violazione delle norme sul diritto d’autore.
Una tassa sugli snippet
L’idea non è nuova. Ci sono anzi due paesi europei – Spagna e Germania – in cui questa disciplina è già applicata, anche se in forme diverse. In pratica si tratta di tassare la pubblicazione di contenuti altrui, anche quando sono resi disponibili sotto forma di metadati. È il caso degli snippet, le brevi porzioni di testo che sono visualizzate nelle pagine dei risultati delle ricerche online o degli aggregati di news e ogni volta che condividiamo una URL in un social network. Com’è noto lo snippet viene composto in modo automatico dagli algoritmi dei fornitori di servizi online, in quali utilizzano il contenuto del tag title, del metatag description e dell’immagine in evidenza. Talvolta lo snippet è arricchito da informazioni presenti nel markup di un documento web sotto forma di dati strutturati.
A chi appartengono tali contenuti? O meglio: chi è titolare del copyright su di essi? In punta di diritto la risposta potrebbe apparire semplice: l’editore. Dunque ogni volta che uno snippet si compone di una SERP di Google Search, la stessa Google dovrebbe riconoscere questa titolarità, in quanto sta pubblicando contenuti altrui. E, nel caso di Google, “ogni volta” significa 150 miliardi di volte al giorno.
In Spagna il balzello sullo snippet è stato introdotto con la nuova legge sulla proprietà intellettuale, in vigore dal 1° gennaio 2015. In realtà non si tratta di una tassa, ma di un canone (“remuneración equitativa”) che gli aggregatori di notizie sono tenuti a versare agli editori. L’impatto non è stato positivo: Google News ha cessato le attività nel mercato spagnolo, seguita da altri aggregato di notizie locali. Con il risultato di ridurre il traffico sui siti degli editori, specie quelli di dimensioni minori, e con una conseguente perdita di ricavi stimata nell’ordine dei 10 milioni di euro (si veda il rapporto Impacto del Nuevo Artículo 32.2 de la Ley de Propiedad Intelectual, commissionato dall’Associazione spagnola degli editori).
Le cose non sono andate molto meglio in Germania, dove la sola ipotesi di una Link Tax in discussione presso il Bundestag è stata sufficiente a scatenare la contromossa di Google News, che ha chiuso l’accesso alle notizie dei giornali tedeschi. A quel punto gli editori hanno dovuto fare marcia indietro, riconoscendo esplicitamente l’importanza del contributo al traffico sui loro siti dato proprio da Google News.
Al di là della riformulazione giuridica, la proposta presentata mercoledì dalla Commissione Ue sembra ricalcare l’approccio – fallimentare – già seguito da Spagna e Germania. In pratica viene introdotto un nuovo diritto esclusivo per gli editori (“neightbouring right for publishers”) sull’uso dei frammenti di testo. Condividere un link è sempre possibile. Tuttavia, nel momento in cui oltre alla URL si condividono metadati quali title, description e immagini in evidenza, va riconosciuta la proprietà intellettuale di tali contenuti.
In proposito Bruno Saetta, in una documentata analisi su Valgia Blu, fa notare il rischio di situazione paradossali e anche un po’ ridicole. Se per esempio un giornale online dovesse utilizzare il titolo “Attacco terroristico a Parigi” per un suo pezzo di cronaca, su tale titolo si applicherebbe un diritto esclusivo tale per cui nessun altro potrebbe legittimamente utilizzare la medesima frase senza consenso.