Un’inchiesta esclusiva di Daily Beast conferma l’operazione di hackeraggio ai danni della Internet Research Agency, già sotto accusa per i tentativi di condizionamento delle presidenziali USA. Così i dati sui troll russi sono finiti in Rete.
Chi si figurava la Internet Research Agency di San Pietroburgo come una sorta di Spectre, l’organizzazione criminale immaginata da Ian Fleming nella celeberrima saga di James Bond, dovrà forse ricredersi. Sulla IRA, che nel 2016 ha manovrato centinaia di pagine e utenze pubblicitarie di Facebook per condizionare le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, stanno emergendo in queste ore dettagli nuovi.
È di ieri un’inchiesta esclusiva del Daily Beast che conferma notizie in circolazione da giorni: l’organizzazione russa sarebbe stata vittima di un’operazione di hackeraggio, dimostrandosi tutt’altro che inespugnabile e anche un po’ ingenua nella gestione delle proprie difese. Fatto sta che dai computer dell’IRA sono stati prelevati diversi documenti, disponibili ora su Internet anche se per il momento non ancora resi pubblici. Il materiale è stato offerto all’asta il 10 febbraio scorso da Joker.Buzz, un servizio che presenta qualche analogia con WikiLeaks.
Tali documenti permettono di comprendere in che modo i provocatori russi agirono nel 2016 per manipolare i social media e promuovere contenuti divisivi e polarizzanti fra gli elettori USA. Ma c’è dell’altro. Si viene a sapere che non si trattò solo di un operazione di “trollaggio” online. I sabotatori della Internet Research Agency entrarono direttamente in contatto con attivisti americani, di destra come di sinistra, rifornendoli di materiale propagandistico di varia natura. Ciò capitò, per esempio, in occasione della campagna black lives matter.
Inoltre se l’utilizzo di YouTube, Twitter e Facebook da parte della troll farm di San Pietroburgo era ben noto, il leak di documenti dimostra che l’Internet Research Agency ha operato anche su Reddit e Tumblr. In ogni caso la fuga di notizie dimostra che, sebbene i troll russi fossero in grado di influenzare e manipolare online il discorso politico americano, erano meno attrezzati per proteggere i propri segreti in modo adeguato.
Chi ha aiutato Donald Trump?
A metà febbraio il procuratore Robert Mueller aveva reso pubblico l’atto d’accusa nei confronti di 13 persone collegate alla troll farm russa, responsabili di cospirazione contro le istituzioni degli Stati Uniti. Resta naturalmente senza una risposta puntuale la domanda in un certo senso più importante: in che misura queste operazioni di disinformazione si sono rivelate efficaci nel condizionare l’esito delle elezioni americane?
Come abbiamo scritto in un altro post recente sul tema, c’è il rischio di sovrastimare la portata del problema. Secondo una ricerca pubblicata in gennaio da Brendan Nyhan, Andrew Guess e Jason Reifler, circa un americano su quattro è stato esposto ad almeno una notizia falsa alla vigilia delle elezioni presidenziali. Inoltre risulta che le notizie false erano solo l’ 1 per cento di quelle lette dai sostenitori di Hillary Clinton e il 6 per cento di quelle lette dai sostenitori di Donald Trump. Secondo un altro studio, pubblicato da Hunt Alcott e Matthew Gentzkow nel 2017, gli americani che hanno dato credito alle notizie false cui sono stati esposti durante l’ultima campagna presidenziale non hanno superato l’8%.
Approfondimenti:
Hunt Allcott, Matthew Gentzkow, Social Media and Fake News in the 2016 Election, “Journal of Economic Perspectives”, 31, 2 (2017), 211–236: https://goo.gl/rBb8Ju.
Niall Ferguson, Social Networks Are Creating a Global Crisis of Democracy, The Belfer Center for Science and International Affairs, 19 gennaio 2018: https://goo.gl/qj1Sgt.
Brendan Nyhan, Andrew Guess, Jason Reifler, Selective Exposure to Misinformation: Evidence from the consumption of fake news during the 2016 U.S. presidential campaign, European Research Council, 9 gennaio 2018: https://goo.gl/eZbFTC.