Una tavola rotonda, organizzata da Naba a Base Milano, per discutere di creatività guidata dai dati. L’accesso a grandi masse di dati influisce sempre di più sulle nostre decisioni. In un mondo dominato da cifre numeriche e algoritmi, si può ancora essere creativi? La parola agli esperti.
Che cos’è la creatività? Che differenza c’è fra dati e fatti? E, in un mondo inflazionato di dati, come cambiano la pubblicità e l’informazione? Tutto è pubblicità? Tutto è storytelling?
A queste e ad altre domande si è cercato di dare risposta in occasione della tavola rotonda Data-Driven Creativity, organizzata dal dipartimento di progettazione e arti applicate di Naba e svoltasi il 22 maggio 2018 nella nota location milanese Base. Oggetto dell’incontro la creatività governata dai dati, appunto. Un tema attuale nonché alla base di molte preoccupazioni per gli studenti dell’Accademia, che si interrogano sul loro futuro professionale.
In sintesi, la domanda posta da Naba è semplice: «La possibilità di accedere a grandi masse di dati, spesso generati in tempo reale, sta cambiando il modo in cui l’essere umano si trova a prendere decisioni. Ma come si declina tutto questo nella creatività?»
Paolo Guglielmoni, fondatore e Chief Creative Officer di RADS e docente NABA insieme a Sergio Spaccavento, direttore creativo esecutivo di CONVERSION, sceneggiatore per Tv, Radio e Cinema e docente NABA, hanno guidato l’incontro. Ospiti del seminario Carlo Cavallone, il Creativo, Luca Tremolada, il Data Journalist, Paolo Costa, lo Studioso, Paolo Anselmi, il Ricercatore e Rossella Sobrero, la Startegic thinker.
Dati e fatti, qual è la differenza?
La riflessione ha preso le mosse dal tentativo di rispondere a a questa prima, complessa domanda: dati e fatti, qual è la differenza?
Innanzi tutto si è cercato di dare una definizione della parola «dati». Luca Tremolada ha rotto il ghiaccio, ricordando che i dati esprimono la misura, la dimensione dei fatti. Il numero indica la quantità del dato e di conseguenza la rilevanza del fattore a cui si riferisce. D’altra parte Paolo Costa ha ricordato che il termine non ha un significato univoco. La parola assume differenti connotazioni a seconda dell’ambito in cui viene utilizzata (Costa approfondisce il tema qui).
È stata inoltre evidenziata la possibilità di alterazione del dato attraverso manipolazione. Fatto e dato non sempre coincidono. I dati possono enfatizzare alcuni aspetti e trascurarne altri. Fondamentale è cogliere la relazione fra i dati. In fondo è proprio questa la loro utilità: la possibilità di confronto che essi offrono, le correlazioni che evidenziano, il loro andamento.
Paolo Anselmi ha sottolineato la necessità di un’operazione preliminare da svolgere quando si ha a che fare con i dati, ovvero quella volta ad attribuire un senso ai dati stessi. Un dato può essere scisso in due significati: uno intrinseco e uno determinato dalla direzione. Quest’ultima è quella che conta che deve interessare maggiormente. Un dato di per sé ha poco valore, se non collocato in un contesto e relazionato con i suoi simili.
Ma, nel tentativo di individuare la differenza fra dati e fatti, non si deve trascurare un’altra questione fondamentale: la modalità di esprimere i fatti. La scelta del tipo di comunicazione, racconto o rappresentazione impiegati per la trasmissione di un fatto influisce in modo significativo sulla sua percezione. Ciò ci collega alla domanda successiva.
Perché la verità non è virale?
Perché una bugia ben raccontata è virale? Si tratta di una questione di contenuto? Perché la normalità non è virale?
Un primo modo di rispondere a simili domande è quello che ci rimanda al tema della superficialità nella comunicazione contemporanea. Non tutta la comunicazione, ovviamente. Ma una buona parte di essa. Per Rossella Sobrero oggi si riflette troppo poco e troppo rapidamente. La capacità e la voglia di approfondire sono sempre più rare.
Carlo Cavallone si introduce nel discorso spostando il punto di osservazione, chiedendosi se la verità sia o non sia oggetto di interesse. La società è oggi attratta da ciò che è sugoso, verosimile e forse volgare.
Ma cos’è la verità? Paolo Costa parla di un indebolimento del pensiero contemporaneo. È da decidere come far ragionare la nostra mente, ponendosi le giuste domande e non tanto sforzarsi per dare risposte. Questo evidenzia la mancanza di giudizio critico che consente di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Nel sistema dell’informazione contemporaneo sembra importanteche una notizia funzioni, a prescindere dalla sua veridicità.
In un mondo dominato dai like, tutto è storytelling, tutto è pubblicità?
Operare sottostando a rigidità tecniche, imposte dagli strumenti con i quali oggi ci si trova a raggiungere il proprio pubblico, limita la possibilità di esprimersi. In una piattaforma mediale – sostiene Tremolada – chi domina è la piattaforma stessa, non il creativo. Questo vale per Facebook e per altri media. Vale per il Web in generale, sottomesso alla dittatura dei motori di ricerca. Le regole e i vincoli che ogni piattaforma impone non consentono una totale libertà di espressione. Il comunicatore è costretto a un adattamento della propria creatività a esse. In questo senso, sì: è corretto affermare che la creatività è guidata dai dati e governata dagli algoritmi.
Sono gli algoritmi – conclude Tremolata – a condurre il gioco e a dettare le regole. Cavalloni ritiene tuttavia che questi nuovi vincoli possano dar luogo a un modo diverso di manifestare la propria creatività. Dover rispettare le logiche degli algoritmi e quindi adattare il proprio lavoro ai loro criteri: anche questa può essere una forma di creatività.
Parlando di like e storytelling non si può certo non parlare di linguaggio. Rossella Sobrero ribadisce l’importanza del contenuto, ma non nasconde come la modalità narrativa, l’adozione di certi linguaggi piuttosto che altri, influisca nel successo o meno di ciò che si sta tentando di comunicare.
Detto ciò, di cosa possono nutrirsi oggi gli studenti o, ancor meglio, i giovani? Il consiglio di Carlo Cavallone è di nutrirsi di tutto quello possibile e di andare oltre internet. Cavallone suggerisce di andare al di là di quello che la Rete offre. Questa crea un circolo vizioso, senza offrire molto di nuovo. Internet è un mezzo meraviglioso ma ha le sue limitazioni, è chiuso nel suo sistema.
Creatività «data-driven», un ossimoro?
Tutti d’accordo sull’inadeguatezza dell’espressione data-driven creativity. La creatività è oggi indubbiamente in qualche modo legata ai dati. Il processo creativo inizia osservando la realtà e quindi parte dall’analisi di dati. Tuttavia, come sottolineato da Paolo Costa, sarebbe più opportuno parlare di creativity-driven data management.
È impensabile un futuro in cui creatività e dati siano separati e non connessi in qualche maniera. L’importante sta nell’usare i dati in maniera creativa. Bisogna trovare il modo migliore per sposare le due componenti.
In un dibattito su dati e creatività non può mancare il riferimento all’intelligenza artificiale, ovvero alla creatività computazionale. Costa introduce il tema, ricordando come esista un confine sempre più sottile fra ciò che è vera creatività e creatività realizzata dalle macchine. Le macchine sono sempre più brave a simulare le attività umane. Ogni giorno gli algoritmi fanno passi da giganti, assomigliandoci sempre di più.
Cavallone anche stavolta sposta la prospettiva, tornando a ragionare sul significato delle parole. Cosa si intende per creatività? La presenza di pubblicità standard rende difficile definire il tipo di creatività che le macchine possono raggiungere. Una critica rivolta al mondo dell’advertising e alla sua attuale assenza di capacità creativa. È dunque necessario chiedersi che cosa sia la creatività fatta da macchine, e se sia opportuno chiamarla in tal modo.
L’intelligenza artificiale affascina e spaventa. Il suo sviluppo potrebbe comportare la sostituzione di un gran numero di mansioni umane. Forse ciò che bisogna fare sta nel costruire una cornice etica in cui questa debba essere gestita. Dobbiamo capire e decidere che tipo di rapporto vogliamo instaurare con le macchine.
Rispettare i dati, liberare le idee
I dati sono un fattore essenziale e senza dubbio un asse portante nel mondo della comunicazione, della pubblicità e della creatività in genere. Tuttavia, essi sono anche pigri, parziali, istantanei e limitati. Non si può certo suggerire di ignorare i dati, tuttavia si può consigliare di guardare ciò che sta fuori dal loro controllo, ciò che non è possibile tradurre in codici binari.
Creatività data-driven: un ossimoro, dunque? No. Forse è la parola – driven – a essere sbagliata. Dati e creatività sono legati da una relazione che inizia guardando la realtà e i numeri estrapolati da essa. Ma poi comincia il processo creativo in cui le idee possono e devono essere liberate.