Che ci azzecca la creatività con l’arido mondo dei dati? Non è forse – la creatività – arte essenzialmente poetica, frutto dell’estro e della genialità individuali? Eppure di data-driven creativity si discute sempre di più. Come cambiano la pubblicità e il mestiere dei creativi nell’era dei big data.

Los Angeles, Mexico City e Milano: si è da poco conclusa la prima tornata di conferenze firmate Social Media Week. I prossimi round saranno ospitati a settembre, novembre e febbraio in diversi hot spot internazionali: Londra, Mumbai, Chicago, Santiago, Lagos, Jakarta e New York, per citarne alcuni. Ecco i temi caldi che sono riecheggiati anche in sede IULM, in occasione dell’edizione 2016 Comunicare domani di Assocom. Condividiamo e raccontiamo gli spunti più interessanti.

Big data e programmatic advertising: il potenziale creativo dei dati

Partiamo dall’intervento di Marianna Ghirlanda, Head of Creative Agencies presso Google Italia: Programmatic advertising is the rising starIl programmatic advertising, o pubblicità programmatica, consiste, in estrema sintesi, “nell’usare le macchine per comprare pubblicità.” In sintesi un po’ meno estrema, “si tratta di un processo automatizzato di compravendita di spazi pubblicitari basato su piattaforme tecnologiche altamente sofisticate” – come leggiamo su Agenda Digitale.

Di nuovo, perché repetita iuvant e il concetto non è per nulla banale: “la pubblicità programmatica o programmatic advertising è una tecnologia che permette di acquistare spazi pubblicitari in modo intelligente (questo compito non poteva che essere affidato alle macchine… n.d.r.)”. Così ce lo ha spiegato Marianna. Così ve lo spieghiamo noi: è un sistema allocativo altamente efficiente attraverso cui si scambiano spazi pubblicitari on line in tempo reale.

La dirompenza – disruptiveness, in gergo – di questa tecnologia risiede in un potere a lungo agognato. La possibilità di fare quello che la pubblicità ha sempre voluto e sempre cercato di fare: raggiungere la persona giusta, al momento giusto e con il giusto contenuto. In pratica si passa dall’acquisto dello spazio all’acquisto mirato dell’audience.

Mutuando ancora una volta le parole di Agenda Digitale: “Alla base delle strategie di investimento sul programmatic advertising dovrebbe risiedere la consapevolezza dell’opportunità, attraverso queste piattaforme, di indirizzare la pubblicità su target molto specifici, grazie all’utilizzo di un mix di dati provenienti da più fonti (propri sistemi di CRM e fonti terze). Diventa quindi centrale il lavoro sui dati poiché la qualità della base informativa sul target raggiungibile sarà un elemento che determinerà il prezzo (ovvero la disponibilità a pagare di più la specifica impression).”

Big data: è questo il primo pilastro su cui sta crescendo il programmatic advertising, in linea e in sinergia con un altro paradigma data-driven o data-centered: il paradigma IoT.

L’immenso e cangiante flusso informativo che al giorno d’oggi gravita intorno a ogni persona, a ogni oggetto e a ogni luogo viene costantemente monitorato e analizzato. Una miniera d’oro da cui estrapolare informazioni… d’oro. Il fine è la creazione di contenuti personalizzati, plasmati e distribuiti in tempo reale, in accordo con le istanze contingenti delle persone. I cosiddetti micro-moments, per usare un termine di matrice Google.

Micro-moments are your new I want to know, I want to do, I want to buy moments”, spiega Matt Lawson, Director of Performance Marketing di Google.  Sono brevi segmenti temporali caratterizzati da un’esigenza o un desiderio improvviso: dalla necessità di acquistare una pezzo di ricambio per la macchina del pane in vista di un’imminente cena casalinga, al semplice piacere di mangiare un gelato per celebrare un momento, appunto, speciale.

Il programmatic fa leva su questa tendenza istintuale intrinseca a ogni essere umano: “need for immediacy and satisfaction of wants and desires” la definisce Lawson. In questi momenti – o meglio: micromomenti – di impellente bisogno le persone sono più vulnerabili, o ad ogni modo più inclini a riconsiderare l’attaccamento a una marca a cui sono state fidelizzate a favore del soddisfacimento immediato di quel particolare bisogno. Ecco che l’annuncio pubblicitario non viene più percepito come invadente e invasivo. Se veicolato al momento giusto e attraverso il giusto contenuto, diventa soluzione al problema, mezzo di appagamento e di gratificazione.

Tecnologia e Newmanesimo

“Adatta la tecnica all’idea, non l’idea alla tecnica” (Bill Bernbach). Il programmatic advertising non fa eccezione. L’elemento focale è e rimane l’intelligenza umana, la creatività. Questo l’altro pilastro fondamentale. “La tecnologia non sostituisce l’intelligenza strategica dell’uomo di marketing, che dovrà sempre definire chiari obiettivi, individuare il target, progettare creatività coerenti con il proprio messaggio, individuarne il posizionamento più efficace e monitorare tempestivamente i risultati, così da intervenire rapidamente con eventuali correttivi.” Abbiamo così riportato la chiesa al centro del villaggio, parafrasando un antico proverbio francese. Marianna Ghirlanda è d’accordo: “la creatività è un’enorme opportunità per il Programmatic e viceversa. Se la tecnologia consente al contenuto creativo di raggiungere il pubblico giusto al momento giusto, d’altro canto la creatività rimane indispensabile per coinvolgere un pubblico mirato.”

In realtà la chiesa dal centro non si era mai mossa. Si tratta piuttosto di un “refocus. Un “refocus on human element within marketing” come sostiene entusiasta Marcus Yco, Digital Strategist di Google. Un passo indietro, alle radici umane e umanistiche della società, per riscoprirsi “antropologi digitali”, “psicologi digitali” e cercare così di entrare nella testa del consumatore, comprenderne meglio il comportamento. A partire, quasi paradossalmente, da una deriva tecnologica sempre più cruciale: il flusso di dati a disposizione del marketer.

Secondo Aj Agrawal, che ne scrive su Forbes, sono proprio i big data la causa o perlomeno la concausa del declino dei metodi e dei protocolli pubblicitari tradizionali. L’evoluzione del marketing digitale ha infatti permesso alle agenzie di pubblicità di raccogliere dati in tempo reale e poter così rettificare e adattare le loro strategie piuttosto velocemente.

Emanuele Nenna, co-founder e CEO di The Big Now, vicepresidente di Assocom nonché fervido portabandiera del Newmanesimo, è entusiasta in merito. Ci mette tuttavia in guardia da un possibile rischio relativo alla pubblicità data-driven: “I big data e il loro utilizzo in ambito pubblicitario impongono un nuovo modo di produrre e sviluppare una campagna, più veloce ed efficiente che in passato, e le agenzie creative sono preparate a questo. Ma se ciò comporta la richiesta da parte delle aziende della realizzazione istantanea di una campagna, quasi in real-time, allora c’è il rischio di svilire la creatività.”

Il gioco vale comunque la candela, anche perché gli strumenti del passato sono ormai obsoleti, imprecisi e inaccurati: con la targetizzazione socio-demografica, ad esempio, si perde oltre il 70% dei potenziali clienti.

La via da percorrere allora è quella della personalizzazione. Lo sostengono i numeri (+ 50% di crescita annuo per il mercato del programmatic), lo sostiene uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas. Risultato? La personalizzazione è strettamente legata al bisogno e al desiderio primordiale di controllo da parte delle persone sulla realtà: se qualcosa è stato creato su misura per me, allora significa che ho avuto in qualche modo a che fare con la sua creazione. E ciò, a sua volta, mi porta a credere di poter controllare quella cosa. Ecco perché, nell’ambito di una strategia di mercato, le tattiche di personalizzazione sono così efficaci. Fanno leva su quella parte della natura umana, irrazionale e inconscia, che ancora una volta si dimostra preponderante e risolutiva  nell’economia dei processi decisionali.

La personalizzazione inoltre è utilissima nella gestione del sovraccarico informativo dovuto a un bombardamento mediatico non mirato, non data-driven. Ci accorgiamo subito se un contenuto, un elemento sia o meno rilevante alle nostre necessità. Tutta la fase di scansione, di filtraggio e di selezione viene così bypassata. I tassi di interazione e di conversione salgono.

Casi pratici: qualche esempio

Ma, in concreto, come si declina il newmanesimo? Qual è la portata del connubio tecnologia-creatività? Ci sono alcuni casi di studio emblematici, come la campagna di sensibilizzazione di Volkswagen, rivolta agli automobilisti che non si fermano sulle strisce pedonali e basata sull’impiego di antenne RFID:

Sempre in materia di sensibilizzazione, ecco come può essere affrontata la questione della diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti:

Interessante anche il lavoro di un’agenzia immobiliare giapponese, costruisce nuove case per un ospite d’eccezione, il granchio eremita:

Infine c’è il caso di ShelfZone, il supermercato virtuale che conosce tutti i propri clienti: