Una consulente junior e un Head: Project Office nella Customer Experience, Head of Business Proposal. Comune denominatore, la consulenza.
E così eccoci qui. Siamo arrivati all’ultima, fatidica, puntata di Digital Jobs. Ci sentiamo un po’ come quando eravamo piccoli, finiva l’estate e quella promessa di rivedersi nonostante la distanza – “vengo a trovarti! Oppure vieni tu? Insomma dai, ci vediamo!” – sapevi che sarebbe svanita, insieme all’abbronzatura, poche settimane più avanti.
È già nostalgia?
No, stavolta noi non svaniamo. L’estate è ancora lunga e stiamo già preparando la soluzione autoabbronzante per settembre. Ma per ora, siamo qui.
Dopo le interviste singole ad Andrea Saccomanno e Carlo Panizza, abbiamo deciso di chiudere la rubrica dedicata ai mestieri di Spindox, riprendendo il nostro classico schema delle interviste incrociate. E chiudiamo alla grande, con Massimo Tornato e Annamaria Prestifilippo. Lei Junior Project Office, siciliana, consulente che “vive a colori”. Lui alessandrino, Head of Service Line e Office Manager, un po’ donchisciottesco, immagina di rincorrere i giganti – non fosse già abbastanza alto – per guardare oltre il suo naso.
Parola alla consulenza.
Massimo cosa hai studiato?
Massimo: «Sono laureato in Informatica, non ricordo nemmeno più l’anno. Nel 2007-2008 ho anche avuto la brillante idea – per la gioia di mia moglie che non mi vedeva per un bel po’ di tempo tutte le sere – di fare un MBA al Politecnico di Milano, che ora si chiama MIP. Sono stati due anni di formazione attraverso i quali ho potuto vedere sia aspetti di gestione aziendale sia di business. È stata una bella esperienza formativa, la consiglio a tutti. Dopo un po’ di anni di lavoro è importante tornare sui banchi di studio, riprendere quei temi che con il ciclo di vita in impresa hai messo da parte, riscoprire che hai ancora quelle capacità di cui ti eri completamente dimenticato.»
E tu Annamaria?
Annamaria: «Sono laureata in Ingegneria Gestionale. Ho studiato prima all’Università di Catania poi al Politecnico di Torino. A Torino ho trovato un’atmosfera molto stimolante e un ambiente multiculturale, probabilmente perché ho scelto un corso di laurea magistrale in inglese. Lì ho conosciuto persone provenienti da luoghi diversi e, oltre a imparare a stare in mezzo agli altri, ho appreso che ognuno di noi ha un modo diverso di pensare e una propria struttura mentale. Per lavorare insieme, dunque, bisogna creare il punto in comune. Il corso era integralmente erogato in lingua inglese, sia le lezioni sia i libri. E ancora oggi questa esperienza mi torna utile quando mi capita di preparare una presentazione in mezzora, in inglese, perché non ho bisogno di cercare su Google Translate. Questo mi rallegra molto.»
Massimo, dopo l’università e il master che cosa hai fatto?
Massimo: «Prima di completare gli studi universitari, ho lavorato in CSELT, il mitico Centro Studi e laboratori per le Telecomunicazioni di Torino. Lì sono stato ricercatore per due bellissimi anni in attesa di finire l’università. Poi, mi odieranno i torinesi, ma non vedevo tante possibilità in quella città. Ho deciso subito di trasferirmi a Milano. Venendo da alcune esperienze nel mondo delle telecomunicazioni, ho iniziato a lavorare in aziende come Siemens, Italtel, Cisco. Fin quando, dopo alcune di queste esperienze, ho deciso di fare l’MBA di cui parlavo poco fa.
Dopo il master ho ripreso a lavorare, inserendomi in Vodafone come business analyst. Ho iniziato per Spindox a seguire il cliente Vodafone e a mano a mano sono cresciuto personalmente e professionalmente, sia per ruoli sia per mansioni, all’interno di Spindox.»
Annamaria, tu di cosa ti occupi in Spindox?
Annamaria: «Sono un Junior Project Office nella service line Customer Experience, parte della delivery Consulting. Sono in Spindox da poco più di due anni e lavoro da quasi un anno come residente in Fiat presso FCA.»
Come sei arrivata in Spindox?
Annamaria: «Sono entrata in Spindox da studente: stavo svolgendo uno stage ma mi mancavano ancora quattro materie alla laurea. Avevo iniziato a mettere in pratica ciò che studiavo all’università mentre cercavamo di ricostruire un competence center, ovvero prendere i processi di FCA, ristrutturarli e trasformarli in standard da seguire costantemente. L’obiettivo era sviluppare un modello che ci garantisse di svolgere i nostri compiti velocemente e automaticamente.
Dopo la laurea ho messo in pratica ciò che avevo imparato: dopo aver mappato tutti i processi e flussi di FCA, sono andata in Fiat come residente per concretizzare il lavoro svolto. Abbiamo seguito i processi dall’interno, dalla teoria alla pratica. Le difficoltà iniziali sono state tante: un conto è studiare, un conto analizzare. Qualche mese più avanti abbiamo iniziato a vedere i risultati del nostro lavoro: siamo riusciti a strutturare davvero ciò che avevamo preparato teoricamente. Con questo metodo abbiamo reso più semplici processi che prima richiedevano molto più tempo. Fino a oggi si tratta del lavoro più impegnativo che abbia mai seguito.»
Massimo, torniamo a te. Ci parli del mondo della consulenza?
Massimo: «Per quanto riguarda l’ambito della consulenza – di cui faccio parte – al suo interno ci sono diverse figure professionali: dai nostri colleghi in grado di disegnare e definire i processi di business del cliente, o procedures, e processi verticali di supply chain, ai PM e PMO, due ruoli fondamentali nella gestione dei progetti. Due figure che vanno per la maggiore all’interno della consulenza.
È difficile descrivere quale sia il ruolo di un consulente in Spindox. Sicuramente bisogna dire che i colleghi che ricoprono questo ruolo sono un valore aggiunto per il cliente. Riescono a spaziare, a seconda delle aziende, da temi che riguardano, appunto, la supply chain, l’ambito dei canali vendita, il CRM, a settori diversi a seconda delle tipologie di aziende per le quali si lavora.
Ricoprire un ruolo di consulente non è per nulla semplice, molte volte si finisce per essere più a supporto del cliente che non ad avere dei ruoli chiave all’interno della propria azienda.»
Secondo te è più importante essere un tecnico o avere capacità gestionali?
Massimo: «Molti mi chiedono se è fondamentale avere competenze tecniche per fare il PM o PMO. Secondo alcune persone, per fare bene il PM ci vuole una formazione tecnica. Ma per me non è vero: da sola non basta, né l’una né l’altra. Dipende da quali siano le condizioni e le aspettative del cliente. Ci sono attività legate agli aspetti tecnici, altre alla gestione delle attività e delle commesse. Uno non preclude l’altro. Avere competenze tecniche aiuta sicuramente il PM a capire le informazioni e le richieste ricevute nell’ambito del progetto. Per la consulenza presso il cliente molte volte non è importante l’aspetto tecnico ma, ripeto, dipende molto dal progetto assegnato. Sicuramente se si è in un progetto di sviluppo, come capita spesso in Spindox, avere queste competenze aiuta a comprendere le scelte fatte in ambito tecnico. Io non ho competenze tecniche eppure sono ancora qua.»
Quindi qual è il segreto del bravo consulente?
Massimo: «Che dire? Ho sempre incontrato persone che si lamentavano di avere a che fare con colleghi troppo tecnici e persone non tecniche che si lamentavano di avere a che fare con altre dotate esclusivamente di capacità gestionali, che si preoccupavano solo di costi e ricavi per la commessa. In realtà queste due anime devono incontrarsi. Quali preferisco? Le persone che sono come me, sempre a metà strada. Si può avere rigidità e competenze nel gestire al meglio le attività e le risorse del progetto e della commessa, ma poi bisogna essere anche in grado di capire quali siano le problematiche del cliente. Secondo me questo è ciò a cui tutti i PM devono tendere. Ormai è il mercato che lo richiede. Dobbiamo essere a supporto del cliente anche per questioni che vanno aldilà dell’ambito di progetto. Credo che non ci sia una strada giusta o una strada sbagliata.»
Per te, Annamaria, com’è il lavoro del consulente?
Annamaria: «Quando sono andata dal cliente è stato difficile perché mi ero abituata all’ambiente familiare che avevo creato qui, la mia zona di comfort veniva messa a rischio. Quando sei un consulente e vivi dal cliente il primo studio da fare è capire le sue esigenze, imparare a conoscere il suo carattere e capire cosa si aspetta da te. Questo è il punto di partenza: il tragitto da percorrere per riuscire a portare al cliente un po’ di se stessi e un po’ di quello che è Spindox, o in generale, l’azienda per la quale si lavora. Il consulente deve scoprire quali siano le modalità per imparare a dare il proprio contributo correttamente, nel modo in cui possa andare bene a se stesso, all’azienda e prima di tutto al cliente.»
Il sistema che avete sviluppato per FCA è stato esportato in altre aziende?
Annamaria: «No, i modelli sviluppati per loro sono tuttora utilizzati nell’ambito del competence center che abbiamo ristrutturato. Vengono, quindi, utilizzati da me e dal team Fiat. Posso dirvi però che si vorrebbe utilizzare un sistema analogo anche per altri clienti, tra cui CNH in futuro. Ovviamente prendendo quello creato per FCA solo come modello di sviluppo.»
E adesso cosa fai?
Annamaria: «Ora mi occupo anche del lato digital.»
Che significa?
Annamaria: «La mia anima digital si occupa di seguire i processi delle diverse concessionarie e capire quali siano le loro esigenze, mettendole insieme a quelle del cliente. L’obiettivo è riuscire a strutturare processi e applicazioni online e renderli di facile utilizzo per il cliente, per la concessionaria, per FCA e per i fornitori.»
Tu, Massimo, oltre a essere a capo della service line Business Proposal della delivery Consulting, hai un secondo incarico come Office Manager per la sede Spindox Romania a Bucarest. Com’è andata?
Massimo: «Come responsabile della sede Bucarest, ho seguito le attività per circa un anno, dal 2015 al 2016. La prima sede che dovevamo aprire era a Iași, vicino alla Moldavia. Abbiamo iniziato aiutando Unicredit – e una società terza con cui lavoravamo – a creare un gruppo di lavoro per il loro portale web.
Abbiamo avuto la possibilità di conoscere molti colleghi. Abbiamo assunto una decina di persone che hanno iniziato a lavorare in Unicredit e poi mano mano sono state assunte in parte da Unicredit in parte dall’altra società con cui lavoravamo. Ho conosciuto ragazzi fantastici, bellissima città, con tre importanti università di informatica e tecnologia.
Successivamente abbiamo continuato le attività storiche che avevamo con Vodafone e abbiamo cercato di aumentare la nostra visibilità in Romania. Cercare di trovare nuove opportunità di business lì non è stato facile, siamo una realtà non ancora grandissima ed è difficile creare un nuovo mercato partendo da zero.»
Annamaria, come descriveresti l’ambiente in Spindox?
Annamaria: «Una grande famiglia. Venendo dall’università non ho trovato difficoltà a fare amicizia o a sentirmi libera di esprimere le mie idee. Anzi, fin dall’inizio i miei tutor mi hanno chiesto consigli come se fossi già un’esperta. Questo mi è stato utile, mi ha dato tanta forza, mi ha fatto capire quando stavo sbagliando e quando ero sulla strada giusta. Ricordo che il mio tutor mi diceva sempre una frase a cui penso ancora oggi: “più tu fai, più c’è il rischio di sbagliare, ma chi non sbaglia è perché non ha mai fatto nulla”. Tutti sbagliamo e Spindox mi ha dato la possibilità di capirlo e crescere. L’ambiente in Spindox è fresco, giovanile, innovativo e mi dà l’opportunità di crescere e imparare. Anche la mia sola scrivania in sede riesce a farmi fruire più idee rispetto a un ambiente chiuso e standardizzato. Qui siamo un insieme di colori, tutti diversi.»
Ci siamo. È arrivato il momento tanto atteso. L’ultima volta che facciamo questa domanda ai nostri colleghi (non rilassatevi, non è una promessa): cosa significa per te innovazione?
Annamaria: «Descrivere l’innovazione è difficile. Secondo me l’innovazione sta nel cogliere il momento e l’attimo in cui si può realizzare la propria idea. Avere uno spirito proattivo nel pensare oltre quello che si ha davanti agli occhi. Uscire dalla propria zona di comfort e credere nelle proprie idee. Anche se una cosa sta andando per il verso giusto e sembra funzionare, bisogna sempre andare oltre la superficie e pensare alle modalità con cui quella stessa cosa potrebbe essere svolta in maniera migliore o alle caratteristiche che dovrebbe avere per essere più performante, qualitativamente superiore.»
E per Massimo Tornato, cos’è l’innovazione?
Massimo: «L’innovazione è una grande fatica. Bisogna cercare di innovare ogni giorno, non solo nei confronti delle attività professionali. Secondo me ci sono due aspetti che bisogna considerare. Il primo è che l’innovazione si fa tutti i giorni. Il secondo riguarda la necessità di essere innovativi nei confronti del cliente, trovare sempre stimoli dagli incontri e dalle chiacchierate, per avere sia personalmente sia attraverso l’azienda – che fa dell’innovazione il suo brand – nuove idee da proporre.
Non è facile innovare. Tutti ne parlano, ma poi bisogna vedere cosa c’è sotto. È proprio una gran fatica! E lo è anche raccontarla! Posso provare con questa citazione: “se ti metti sulle spalle di un gigante vedi sempre più lontano.” Questo vuol dire che a volte non si è in grado di capire, anche nella parte di business o innovazione, quali siano le prospettive. Ispirandosi ad aziende più grandi o strutturate si riesce ad avere una visione diversa in merito a nuove possibilità di business o altro. È un po’ come dire, “copiare dai migliori e fare ancora meglio”.
È difficile innovare nel nostro mercato perché servono forti competenze e forte curiosità. Io dico sempre, magari mi sbaglio – qui mi uccideranno – non si inventa mai niente. Avevo un professore che parlava di innovazione, in termini di economia, sul principio dei vasi comunicanti. L’innovazione si fa prima a farla, ed è più efficiente, se si porta da un mercato diverso, o da un paese diverso, un qualcosa che in quel mercato o in quel paese funziona. Parlando di paesi diversi si riesce a capire se quel qualcosa che si pensa essere innovativo sia in grado di funzionare anche nel proprio paese di appartenenza. Si trasporta l’innovazione da una parte all’altra semplicemente alzando il livello dei vasi comunicanti. Per esempio, si può prendere un’innovazione da un settore e portarla in ambito Telco. Anche se i due non hanno nulla a che fare, come portare qualcosa da un silos all’altro.
Difficile da raccontare. Ma c’è una bellissima frase che diceva il mio professore Rangone: “evitiamo di avere soluzioni per problemi che non esistono.” Mi è piaciuta talmente tanto che l’ho fatta mia, me la sono portata nel mio retro pensiero e l’ho applicata all’ambito IT: evitiamo soluzioni non necessarie per il contesto o per il cliente.»