Fintech e incumbent: la collaborazione come mantra

da | Gen 10, 2022

Il Fintech Index Italiano parla chiaro. Fintech e incumbent hanno raggiunto un livello di collaborazione più che sufficiente, ma gli investimenti e gli asset sono molto polarizzati. Nonostante ciò, il 2021 è stato positivo per il Fintech italiano. Rispetto agli anni precedenti, gli investimenti sono aumentati. E si prevedono risultati ancora migliori in futuro.

Fintech: significato ed esempi

L’evento Fintech e Insurtech: è ora di puntare sulla collaborazione!, organizzato dagli Osservatori del Politecnico a dicembre, offre lo spunto per alcune riflessioni sullo stato dell’arte del settore. L’appuntamento è stato moderato da Marco Giorgino, responsabile Scientifico, Laura Grassi, Direttrice e Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio.

Su una cosa sembrano esserci pochi dubbi: il futuro della finanza è digital. La crescita di servizi Fintech offerti dal mondo bancario, finanziario e assicurativo negli ultimi anni è impressionante. La pandemia ha solo accelerato questo processo, rendendo fondamentale parlare di tecnologia digitale.

Ma cosa si intende per Fintech? Non esiste ancora una definizione globalmente riconosciuta. L’Osservatorio Fintech & Insurtech considera come Fintech tutte le innovazioni digitali in ambito finanziario, a prescindere da quale sia l’attore che sviluppa ed eroga il prodotto o servizio. Vengono studiati infatti sia gli attori tradizionali del settore sia i nuovi entranti quali startup, BigTech e aziende di altri settori.

La cooperazione tra Fintech ed incumbent non è un tema nuovo. Già nel 2017 avevamo partecipato ad un evento organizzato dagli Osservatori del Politecnico focalizzato sulle Fintech. In questa occasione viene evidenziato come la cooperazione delle due realtà porterebbe vantaggi ad entrambe. Se infatti i soggetti tradizionali possono smuovere grandi investimenti ma non hanno le competenze, le Fintech, grazie alla regolamentazione PSD2, posso agire in maniera più efficace.

Alcuni esempi di Fintech? Fintastico, considerato il TripAdvisor dei servizi finanziari innovativi, Satispay, l’app che permette di pagare senza carta di credito, Wechat, l’applicazione di lifestyle, indispensabile per la vita quotidiana e Lendoit, che fa ricorso alla tecnologia blockchian per l’erogazione di prestiti.

L’indice del Fintech italiano

Per misurare la spinta innovativa in Italia, gli osservatori del Politecnico propongono il Fintech index italiano. Questo indice è il risultato della media matematica tra due variabili: la propensione alla collaborazione nei progetti tra gli incumbent e le Fintech e la distribuzione degli investimenti. Il valore ottenuto è di 5,7/10.

Analizzando la propensione alla collaborazione è emerso che il 69% del campione – composto da 55 gruppi tra il settore bancario, il settore assicurativo e la telecomunicazione – ha effettuato almeno un investimento, una partnership o un acquisto di un prodotto Fintech da una start up o PMI. Tra questi, il 40% ha effettuato almeno 2 di queste operazioni. La propensione alla collaborazione ottiene quindi un valore pari a 6,9.

Il tema degli investimenti è più delicato. Sono ancora pochi gli operatori molto attivi. Abbondano, invece, quelli che si collocano in una fase attendista o sono impegnati in altre attività. Il campione analizzato è rappresentato dai 27 gruppi, derivanti dall’analisi della propensione alla collaborazione, che hanno fatto almeno un investimento in una Fintech. Di questi si è analizzato la distribuzione cumulata degli investimenti e degli asset. Osservando la distribuzione degli asset, circa il 33,3% del campione possiede l’80% del valore degli asset. Il mercato è quindi concentrato. E si prevede che questa concentrazione aumenti in futuro. Per quanto riguarda gli investimenti la situazione è ancora più polarizzata. Infatti il 14,8% degli operatori è responsabile per l’80% del totale degli investimenti in start up o su collaborazioni, acquisti etc. Normalizzando il 14,8% con il 33,3 % si ottiene un valore pari a 4,4.

Investimenti e tecnologie in ambito Fintech

Intervistando un campione di circa 40 gruppi finanziari, gli Osservatori hanno analizzato l’evoluzione, in termini di volume, degli investimenti nel capitale di start up o PMI nel 2021. Dai risultati emerge che quest’anno è stato sicuramente significativo. Infatti misurando la percentuale dei finanziamenti su una scala da 1 a 5, si è ottenuto un valore pari a 3,7. Si tratta di un risultato rilevante: infatti più del 50% del campione ha espresso un valore pari a 4, quindi abbastanza alto.

Sullo stesso campione è stato analizzato quali fossero le tecnologie su cui le aziende avessero deciso di investire nel 2021. I dati sono l’oro del ventunesimo secolo. Per questo non c’è da stupirsi se le soluzioni che hanno riscosso una maggiore successo sono i data analytics, con un valore del 66%. Medaglia d’argento per le soluzione API, con un valore del 45%. Ed infine bronzo per il cloud e l’AI, con un valore del 41%.

Opportunità e nuovi modelli di business

Alberto Antonietti, Strategy Lead ICEG presso Accenture, spiega il ruolo del Fintech secondo il suo punto di vista. «Credo che il Fintech abbia avuto un ruolo cruciale nello stimolare l’innovazione all’interno di settori come il banking e l’assicurativo. Si tratta infatti di settori che tipicamente presentano delle caratteristiche che poco si applicano all’innovazione a causa di regolamentazioni e barriere. Come ha agito il mondo del Fintech quindi? Da lato ci sono stati operatori che hanno creato nuovi modelli di business, sfidando gli incumbent. Dall’altro sono state avviate delle collaborazioni. Tuttavia quest’ultima strategia è più diffusa all’estero che in Italia, in cui c’è una situazione piuttosto polarizzata come affermato in precedenza».

 Se le Fintech nascono tra innovazione e sostenibilità, gli incumbent hanno modelli predatati. Ci sono quindi opportunità da cogliere da parte degli operatori tradizionali per inglobare all’interno del proprio modello le novità che arrivano dal mondo del Fintech. Sono state infatti effettuate delle operazioni e delle trasformazioni in ambito digitale da parte degli operatori tradizionali.

Nel report “The future of banking: Time to rethink business models” sono stati analizzati 110 operatori incumbent e 250 operatori digitali. L’analisi mostra che siamo ad un tipping point,  ovvero ad un punto di inflazione che potrebbe effettivamente generare opportunità significative in termini di collaborazione. I modelli di business integrati verticalmente – come tipicamente lo sono i modelli bancari-assicurativi – non saranno i modelli vincenti.  Al contrario saranno avvantaggiati i cosiddetti packager, ossia coloro che saranno capaci di fornire delle soluzioni che si basano sulla frammentazione molto di dettaglio della catena del valore.

L’importanza delle tematiche ESG nelle banche

«A livello globale, i governi di tutto il mondo hanno sottoscritto accordi focalizzati sui temi relativi allo sviluppo sostenibile. Soddisfare i criteri ESG è diventato un obiettivo sempre più importante, non solo per i governi, ma anche per gli attori produttivi e consumatori. Tra gli attori produttivi ci sono sicuramente le banche. Queste ultime adottano una strategia di sostenibilità per tre principali motivi. Il primo reputazionale. Infatti le regolamentazioni e le richieste del mercato degli investitori impongono alle istituzioni finanziarie di attuare iniziative in ambito ESG che coinvolgono tutte le aree della banca. Il secondo è economico. Le istituzioni finanziarie hanno compreso che attuare piani di sostenibilità può avere un impatto economico positivo nel medio-lungo periodo sia dal punto di vista dei ricavi che dal punto dei costi. Ed infine, c’è una motivazione sociale. Grazie al ruolo che oggi hanno all’interno della società, le banche possono supportare i propri clienti, siano essi clienti retail o imprese, all’interno del percorso della transizione sostenibile» racconta Elisa Manzoni, Manager in Banking Strategy Consulting presso Reply.

Una value proposition ESG

Le banche possono declinare la loro value proposition in termini ESG sui canali digitali su tre aree. La prima è quella dell’awareness e dell’education. Attraverso messaggi, notifiche, contenuti editoriali e video, le banche possono sensibilizzare i propri clienti, educarli e creare consapevolezza rispetto ai temi di sostenibilità. E questo può essere applicato sia su scelte bancarie – la scelta di contabili online o la riduzione del prelievo del contante – che non bancarie – ossia uno stile di vita più sostenibile da parte del cliente.

La seconda area riguarda l’engagement and le actions. Questa area comprende tutte le funzionalità che hanno l’obiettivo di coinvolgere e dare un concreto supporto al cliente. Un esempio di funzionalità sono la stima del carbon footprint, ovvero la stima di quanta CO2 genera il cliente genera attraverso le proprie spese. A questi tipi di funzionalità spesso sono associati dei programmi di compensazione o delle donazioni.

 Ed infine il tema dei rewards e benefit. Questa area si riferisce a programmi di rewards, cashback ed in generale di premiazione che hanno l’obiettivo di coinvolgere e stimolare ulteriormente l’utente a seguito del raggiungimento di determinati obiettivi sostenibili.

Ci sono tre elementi che permettono di differenziare una value proposition ESG applicata al mondo digital banking. Il primo è l’utilizzo della tecnologia come strumento di erogazione di determinati servizi e come strumento per la raccolta di data analytics. Le partnership sono un’altra scelta strategica rilevante. Si può far ricorso ad accordi con provider esterni per l’erogazione di servizi prodotti o servizi non bancari sostenibili. Ed infine il tema della customizzazione. Infatti dare la possibilità al cliente di scegliere è importante.

Fintech ed incumbent, dove bisogna intervenire?

La terza indagine conoscitiva di Banca d’Italia sul mondo Fintech ha evidenziato in maniera chiara che gli investimenti in questo ambito stanno aumentando. Quello che manca tuttavia sono le competenze in tutta la filiera. Per questo motivo si prevede che nel futuro più prossimo la filiera sarà presidiata dagli incumbent.

Alla tavola rotonda interviene Paolo Gianturco, Business Operations & FinTech Leader presso Deloitte. «Io penso che prima del Covid-19 ci fosse già una collaborazione tra incumbent e Fintech. Post-covid il desiderio di cooperare è aumentato. Questo perchè la digitalizzazione richiede nuove soluzioni in tempi ridotti. A mio avviso ci sono quattro problemi che ostacolano la collaborazione tra questi due soggetti. Il primo problema sono le differenze architetturali e tecnologiche che esistono fra incumbent e Fintech. Il secondo è un problema culturale, di lingua. Il terzo è un problema generazionale. Infatti i principali leader del mondo delle incumbent sono persone con una certa esperienza. Al contrario, il mondo del Fintech ha una predominanza di under 30, millenials e generazione Z. Infine, l’ultimo limite riguarda la mancanza di talenti per poter fare scale up».

Il 2021 per le Fintech

L’anno 2021 è stato un anno molto positivo per gli investimenti in Fintech, come detto precedentemente. L’Osservatorio Fintech PwC 2021 ha mostrato che quest’anno sono stati investiti più di 410 milioni di euro nelle Fintech italiane. Questo valore è più del doppio rispetto agli investimenti del 2019 e del 2020. Di questo valore, più del 54% deriva dal corporate venture capital. Un finanziamento inferiore ma non indifferente deriva dal venture capital nazionale ed internazionale, rispettivamente pari al 18% e 17%. La parte rimanente è legata ad investimenti privati ed equity crowdfunding.

Questi investimenti si sono concentrati su 19 deal rispetto ai 37 degli anni precedenti. Questo significa che gli investimenti sono aumentati in termine di volumi. Ma vuol dire anche che c’è una prospettiva di crescita per le Fintech italiane. La pandemia ha favorito gli investimenti da parte degli incumbent. Questo perché il Covid-19 ha messo in evidenza che la tecnologia – tra cui le insurtech, l’identificazione a distanza, il metodo di pagamenti digitali e la cyber security – è un’esigenza non più prorogabile. E visto che i soggetti tradizionali non sempre realizzano internamente queste nuove forme di tecnologie, collaborare con le Fintech è l’unica soluzione.

Si può dire che il 2021 è stato un anno molto positivo per gli investimenti in Fintech. E si prospetta che il 2022 lo sarà ancora di più. Questo perché si stanno affacciando al mercato non solo player nazionali ma anche internazionali.

Le start up italiane Fintech e Insurtech: quali prospettive

Attualmente in Italia ci sono 564 realtà attive nel Fintech & Insurtech. Tra queste il 53% si definisce start up, il 24% PMI innovativa, il 21% scale up ed il restante 2% corporate.

I fondi totali raccolti da queste realtà ammontano a 2 miliardi di euro. Queste risorse però non sono però state distribuite equamente. Da analisi effettuate dagli Osservatori emerge che più del 50% di queste realtà non hanno raccolto alcun finanziamento. Al contrario, ci sono realtà che hanno raccolto decine di milioni di euro. Risulta quindi evidente che il mondo delle start up italiane sia polarizzato.

Da un punto di vista geografico, le start up sono concentrate nel nord Italia, soprattutto nella città di Milano. Le realtà italiane con sede all’estero sono ancora poche ma ricevono una quantità di fondi elevata. Si può quindi affermare che il secondo fattore di polarizzazione dei finanziamenti è determinato dal luogo in cui la start up decide di collocare la propria sede. Infatti le start up italiane fanno più fatica delle start up italiane con sede all’estero a raccogliere fondi.

Ad oggi il 64% di queste realtà opera solo in Italia. Questo vuol dire che la maggior parte di queste realtà pensa all’Italia come suo unico mercato di riferimento. E questo è un pericolo. Perché l’Italia è un mercato ampio e importante. Ma non quanto quello europeo. Per cui sarebbe bene iniziare da subito a ragionare in ottica europea.

Un terzo fattore di polarizzazione è l’azionariato. Gli investimenti stranieri nel capitale delle startup italiane sono ancora pochi. All’estero invece è quasi una prassi che gli investimenti non siano tutti locali o del paese di provenienza della star up. In questo modo infatti si facilita la creazione di nuovi network, nuove opportunità e potenziali collaborazioni.

Alcune caratteristiche delle start up italiane

Le start up italiane si occupano di insurance, pagamenti, finanziamenti, asset management, crowd funding e open finance. Oltre a questo, è in forte espansione il mondo della regolamentazione, della compliance, delle criptovalute e del by now pay later.

I servizi che offrono le start up sono anche abbastanza sostenibili. Infatti il 32% delle start up italiane ha un servizio che è sostenibile in termini ESG. Questa percentuale non è molto alta ma dimostra una certa attenzione a determinati aspetti.

La maggior parte del Fintech italiane è B2B. Offre quindi servizi a banche, aziende, PMI microimprese e aziende del settore non finanziario – tra cui le utility e le Telco. Tuttavia ci sono Fintech cha hanno adottato un modello B2B2B e B2B2C. Si tratta di nuovi modelli ibridi che nascono da una volontà di forte collaborazione con l’utente finale.

Le tecnologie più utilizzate dalle start up sono quasi le stesse di quelle utilizzate dagli incumbent. Al primo posto ci sono le soluzioni API, per un 74%. A seguire cloud e big data analytics, a pari merito per un valore del 54%. Ed infine artificial intellingece e machine learning, per un valore rispettivamente pari a 45% e 41%.

La crescita nelle start up

 È importante distinguere tra crescita esterna e crescita interna.

La partnership è la prima strategia di crescita esterna. Essa rappresenta un valore del 70%. Questa percentuale in teoria così alta, nella pratica assume un valore basso. Infatti di questo 70%, la maggior parte sono idee di collaborazioni ma non progettualità.

Per la crescita interna servono competenze interne. Per questo motivo sono stati studiati i profili di cui le start up hanno bisogno. Le risorse di cui queste realtà necessitano si suddividono in tre mondi. Innanzitutto quello tecnologico, tra cui emergono le figure del data scientist e dello sviluppatore. Il secondo mondo è legato allo sviluppo di business. Il terzo è quello della user experience. Infatti una delle strategie su cui tante start up stanno lavorando è di rendere più semplice e più immediata l’esperienza dell’utente.

Numeri delle start up Fintech

Le start up Fintech sono realtà di piccole dimensioni. Solo il 2% di queste supera i 100 dipendenti. La maggior parte invece è composta da meno di 30 dipendenti, esclusi i fondatori.

La presenza delle donne nel settore Fintech è un tema abbastanza controverso. Esse rappresentano ancora una percentuale molto bassa degli operatori in questo settore. Negli attori più grandi le donne rappresentano il 35%. La percentuale si riduce nelle aziende più piccole. Analizzando i fondatori, emerge che sono molto più gli uomini che le donne.

Cosa sta succedendo nel mercato fintech italiano?

È ormai chiaro che la pandemia ha dato un forte impulso alla digitalizzazione del nostro paese. E questo è stato ampiamente dimostrato dalla analisi effettuate dagli Osservatori. Infatti i canali digitali hanno assunto un ruolo fondamentale nell’interazione tra le banche ed i propri clienti.

Già nel 2020, a causa della pandemia e del lockdown, la base di utenti online è aumentato notevolmente. E questo dato è continuato a crescere nel primo semestre del 2021. C’è stato un incremento sia del numero di utenti online che dell’utilizzo di home e mobile banking per effettuare determinate operazioni.

Durante l’emergenza anche le piccole e medie imprese italiane si sono digitalizzate, azzerando l’utilizzo della filiale. Questo però non significa che scompaia la componente umana della filiale.

Con il Covid-19 è cresciuto anche l’utilizzo di servizi Fintech e Insurtech. Nella ricerca è emerso che l’84% degli utenti italiani fa ricorso ad almeno un servizio Fintech. Il 66% addirittura a due. I pagamento tramite app, i chatbot e il trasferimento di denaro peer to peer sono i servizi più utilizzati dagli utenti. Questa trasformazione risulta essere più lenta per le piccole e medie imprese.

È già stata evidenziata l’importanza dei dati. Ma con chi i consumatori vogliono condividerli? Solo con attori che generano fiducia. E tra questi c’è il mondo finanziario come banche ed assicurazioni. Non generano la stessa fiducia i social media, che fanno più fatica a raccogliere dati. Nello stesso modo ragionano le microimprese. Dando fiducia al mondo finanziario e diffidando dai social media.

Beatrice Mingazzini
Beatrice Mingazzini
Laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione, è specializzata in design e moda. Appassionata del viaggio on the road, sempre alla scoperta di qualcosa di nuovo, nel tempo libero le piace sperimentare tecniche di pittura.

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