Hack ‘n’ Roll si è chiuso con un risultato straordinario, oltre le nostre più rosee aspettative. È stato un laboratorio di idee concrete, ragionate e brillanti sul futuro dell’auto e della sicurezza stradale.

Alla fine il riconoscimento per la proposta più meritevole è andato a Keeper, prototipo di rete mesh per la comunicazione dell’auto in assenza di copertura GSM. I componenti della squadra – Alejandra Aguilar Sotelo, Angelica Maria Blanco Garcia, Marco Boldrini, Alessio Ciavarella, Giovanni Forcelli, Emanuele Pastore, Andrea Prigione e Alessandro Rolando – si portano a casa cinquemila euro e i complimenti della giuria.

Ma anche gli altri progetti in campo avevano non pochi elementi di interesse. In particolare buona l’idea di lavorare sulla poltrona della vettura come collettore di sensori in grado di monitorare le condizioni del conducente in un’ottica preventiva. E buona anche la proposta del team che ha lavorato su un tema di grande attualità: gli incidenti causati dall’attraversamento improvviso di animali, specie nelle ore notturne.

L’evento, collocato nella cornice di Supernova Torino 2016, ha coinvolto una cinquantina di sviluppatori, designer e progettisti, che si sono organizzati in sette squadre. Giovani e meno giovani, studenti universitari o professionisti già inseriti nel mondo del lavoro, con una folta presenza di stranieri. Comunque, tutti bravissimi e appassionati.

Lo scenario presentato ai partecipanti era complesso, sia dal punto di vista concettuale sia per la sua articolazione tecnologica: si spaziava dall’ambito dell’IoT a quello del cloud. E infatti tanti sono stati gli spunti innovativi. C’è chi ha lavorato sul deep learning a partire dai dati di log catturati dalla porta seriale dell’automobile, chi ha pensato di concentrarsi sullo smartphone come dispositivo in grado di ospitare applicazioni ad hoc per gestire la sensoristica di bordo, che ha fatto scouting di componentistica già sperimentata, collocandola però in un contesto architetturale originale.

Tutti hanno affrontato la sfida con consapevolezza, anche quando le tecnologie non erano familiari. Ma soprattutto si è visto l’entusiasmo di chi ha voglia di mettersi in gioco, di mostrare ciò che sa fare. Alcuni team hanno lavorato per più di ventiquattro ore filate, senza interrompersi mai. Anche nel cuore della notte c’era qualcuno davanti a un monitor e a una tastiera, alle prese con un Raspberry Pi oppure impegnato a far funzionare un sensore. Perché in fondo, al d là dei risultati, questo è lo spirito più bello di un hackathon.