Dalla domus elettronica alla casa intelligente. Facciamo il punto sulla smart home alla vigilia dell’appuntamento di Trento.
L’appuntamento della Smart City Week di Trento è un’ottima occasione per fare il punto anche sulla smart home, cominciando col precisare che non si tratta di un modo contemporaneo e più chic di chiamare la domotica.
Di domotica si è iniziato a parlare negli anni ’80, indicando l’automazione applicata all’ambiente domestico. Un’innovazione resa possibile, tra l’altro, dall’introduzione dei cavi bus, che spezzavano il concetto di connessione punto-punto, che imponeva un interruttore separato per ogni dispositivo.
All’epoca automatizzare un ambiente domestico era costoso. Le nuove soluzioni erano applicate per lo più per razionalizzare i sistemi di illuminazione, impostando un timer per lo spegnimento delle luci o collegando queste a rilevatori di presenza. Grandi uffici o pochi – benestanti – appassionati di tecnologia potevano permettersi questi lussi.
Vent’anni dopo il mondo è passato attraverso la rivoluzione digitale e di internet. Così tutto è cambiato.
Taglia, ottimizza, risparmia
Che vantaggio avremmo ad automatizzare le nostre case? Principalmente l’automazione ci permetterebbe di risparmiare sul consumo di energia elettrica.
Nell’Unione Europea poco meno del 25% dei consumi energetici sono da attribuire all’uso domestico (per completezza ecco il resto dei dati: il 33% consumato dai trasporti, il 26% dall’industria, il 13% dal settore dei servizi, il restante per agricoltura o altro. Fonte: Eurostat): diffondere cambiamenti virtuosi in questo ambito significa poter tagliare notevolmente gli sprechi.
Secondo l’Agenzia statunitense per la Salvaguardia dell’Ambiente, solo la corretta programmazione dei termostati potrebbe far risparmiare tra il 10 e il 30% dell’energia.
Ecco spiegato come uno dei dispositivi smart di maggior successo degli ultimi anni sia stato il termostato Nest, che contribuisce all’ottimizzazione del riscaldamento in base al clima esterno e al numero di persone presenti in casa. Stando ai dati di febbraio 2015, questo apparecchio ha permesso di tagliare in media del 12 e 15% i costi di riscaldamento e raffreddamento nelle case dove è stato installato.
Alla termoregolazione si aggiungerebbe il contributo di altre funzioni. Ad esempio la possibilità di mandare automaticamente l’intera casa in modalità standby – con luci, elettrodomestici e condizionatori spenti – quando non ci fosse nessuno al suo interno, evitando il rischio di sprechi causati dalla distrazione. Oppure ancora esistono lampadine smart a intensità regolabile che si possono impostare in modo da adattarsi automaticamente alle reali necessità della stanza – per citarne una: la Philips Hue, che permette anche di scegliere tra 16 milioni di colori diversi.
Costruire una casa connessa
Molte cose sono cambiate, dicevamo, rispetto ai primi anni della domotica. Oggi l’IT in generale è più economica e le connessioni più veloci, le comunicazioni wireless sono la norma e gli smartphone un prodotto di massa. È questo lo scenario che ha permesso lo sviluppo dell’Internet of Things e la diffusione del concetto di smart home.
Per smart home quindi, si intende una casa in cui tutti i servizi e gli elettrodomestici sono costantemente connessi alla rete e controllabili da remoto attraverso un dispositivo sincronizzato, come uno smartphone o un tablet.
Va da sé che per essere collegato ad altri dispositivi, un elettrodomestico deve essere predisposto per farlo. Il primo passo per rendere smart la propria casa è quindi dotarsi di lavatrici, scaldabagno, forni elettronici connessi, oltre a stereo, citofono, interruttori e lampadine.
A questo punto è possibile connettere questi apparecchi ad una centralina di controllo, altrimenti detta smart home assistant.
La ricerca dell’assistente perfetto
Gli home assistant sono gli attuali protagonisti nella scena della smart home contemporanea. Sono piccoli apparecchi connessi a tutti gli smart object della casa, ai quali inviano comandi quando ricevono l’input dell’utente, generalmente via smartphone. Uno strumento che Amazon ha tentato di bypassare quando, nal novembre del 2014, ha lanciato “Echo”, un assistant in grado di ricevere comandi vocali, riconoscendo la voce del padrone di casa.
Per tutte le operazioni che Alexa riceve – questo è il nome della voce femminile con cui il dispositivo risponde – da avviare la lavatrice a una data ora, a informare quanto tempo ci metterà il partner a tornare a casa dal lavoro, Echo si appoggia all’infrastruttura cloud di Amazon Web Services.
Con tre milioni di esemplari venduti in meno di due anni, Echo è riuscito a conquistare il primato in un mercato in crescita, che si prevede varrà 122 miliardi di dollari entro il 2022.
Per stimolare la competizione si attende l’uscita di Google Home, l’assistant di Mountain View, annunciato in uscita entro la fine dell’anno.
Parlando di big non poteva mancare Apple, attiva nel settore della smart home dal 2014, quando, rilasciando iOS8, ha reso disponibile Apple Homekit, un framework di sviluppo per app di home automation. La casa di Cupertino è partita avvantaggiata nella creazione di un ecosistema smart, forte di una vasta gamma di prodotti già totalmente compatibili tra loro.
In pratica con l’app “Home” debitamente installata sul proprio iPhone è possibile controllare tutta la casa, creando anche preset o sequenze di ordini personalizzate a piacere, mentre i comandi vocali sono abilitati dalla AppleTV.
Per chi si trovasse al di fuori del mondo della mela ci sono altre soluzioni per impartire ordini complessi agli smart object. Uno dei più diffusi è l’IFTTT (leggasi “ift”).
Acronimo di “If This Then That”, è un servizio web che permette di far partire un comando se si presentano determinate condizioni, creando delle “ricette”. Ad esempio permette di cambiare il colore delle luci quando si rileva del gas in casa o farle spegnere quando si accende l’automobile, oppure ancora si può creare una ricetta per ricevere una notifica quando uno specifico sensore di movimento rileva attività imprevista.
Troppo presto per dire “smart”?
Non mancano le critiche alla smart home. Christopher Mims del Wall Street Journal si chiede se controllare l’illuminazione attraverso lo smartphone sia vera innovazione o non significhi solo aggiungere complessità a un gesto semplice come premere un interruttore.
Altri dubbi vengono sollevati sull’uso spesso improprio della parola “smart”, che farebbe riferimento a un paradigma specifico. Questo si realizzerebbe solo quando i dati sul comportamento delle persone-utenti, raccolti in tempo reale, fossero elaborati da una macchina e usati per adattare automaticamente i vari dispositivi ai cambiamenti in corso. Si tratta cioè di un sistema di sensori, machine learning e intelligenza artificiale, ben più complesso di quanto presentino la maggior parte degli apparati definiti di “smart home”.