TRA APPLICAZIONI DELLA INDUSTRY 4.0 E PERSONAL ROBOT IL FUTURO DELLA ROBOTICA È ALLE PORTE. LA CINA SI PREPARA. E NOI? PARTIAMO DALLA PAROLA “ROBOT”.

All’inizio furono la spoletta volante e il motore a vapore. Poi vennero l’elettricità, la diffusione dell’acciaio e lo sfruttamento del petrolio. Quindi, i tempi si erano fatti maturi e fu una valanga: energia nucleare, fonti rinnovabili, biotecnologie e, in modo ancora più clamoroso, telecomunicazione, informatica e digitalizzazione.

Con quasi tre secoli di esperienza alle spalle ci siamo abituati al susseguirsi delle innovazioni. Oggi gli interessati tengono gli occhi aperti e l’orecchio teso, pronti a raccogliere gli indizi della prossima rivoluzione industriale. Certo, il rumore di fondo resta alto e c’è sempre il rischio di sbracciarsi per un fuoco di paglia. Ma quando cambiamenti concreti in ambiti diversi iniziano a influenzarsi vistosamente gli uni con gli altri i dubbi cessano. È in casi come questi che si delinea in modo evidente un nuovo cambio di paradigma: quello della industry 4.0.

Gli sviluppi recenti nella tecnologia dei sensori e l’abbattimento del loro costo, uniti alle possibilità connettive di internet, hanno aperto le porte a una nuova generazione di robot che, dall’applicazione industriale a quella civile, promettono di diffondersi esponenzialmente nel futuro prossimo, prospettando ancora una volta cambiamenti radicali di massa nella vita dell’uomo. Cambiamenti con cui è necessario fare i conti anche a livello culturale.

Robot: lavoratore al servizio dell’uomo

Pensando ai robot l’immaginario tradizionale della cultura di massa ha sempre ricondotto al classico automa antropomorfo dal passo pesante e il corpo metallico, magari decorato con la giusta dose di led, pronto a rispondere agli ordini impartiti con una voce più o meno sintetica.

Ma da dove viene questa parola? Fu lo scrittore ceco Karel Čapek a coniare il termine nel 1920 per la sua opera teatrale “RUR”, acronimo de “I Robot Universali di Rossum”.

Stando alla trama, tale Rossum è uno scienziato che si adopera per ideare una fabbrica che, attraverso l’assemblaggio di organi prodotti artificialmente, produca individui sintetici che possano sostituire l’uomo in tutti i compiti più faticosi. Non a caso l’etimologia della parola è robota, cioè “lavoro in ceco.

Ma questo tentativo di affrancarsi definitivamente dalle fatiche fisiche fallisce, come è prevedibile, quando gli schiavi si rivoltano contro i padroni con la forza, arrivando a sterminarli per ottenere il dominio della Terra. Un esito catastrofista che non ha aiutato l’opera a guadagnarsi il successo, né allora né trent’anni dopo, quando Isaac Asimov la commentò come “terribile”, riconoscendole il solo merito di aver dato al mondo e alla letteratura quella parola.

Ieri gli aspirapolvere, oggi i droni. Domani…

Oggi, a quasi un secolo dallo spettacolo di Čapek, l’opinione pubblica è ben fornita di esempi concreti di robot, che rischiano però di passare inosservati se si prendono a modello le forme immaginate dalla fantascienza del secolo scorso. Pensiamo agli aspirapolvere automatici, disponibili sul mercato ormai da quindici anni, o la più recente diffusione di droni volanti, come i quadricotteri, accolti con grande entusiasmo dal mercato consumer. Al punto che due anni fa una famosa casa editrice italiana pubblicò una collana che forniva componenti e istruzioni per assemblarne uno. Forse non è così che lo si immaginava, ma possiamo prendere atto di vivere nel futuro.

Uno dei trending topic di quest’anno è proprio il settore dei personal robot, cioè quelli destinati al grande pubblico, forti di un design accattivante e un’interfaccia intuitiva che, assieme al prezzo contenuto, incoraggiano l’uso e il consumo. Un esempio è il robot Segway, annunciato a gennaio e in uscita in developer edition completo di SDK nella seconda metà di quest’anno, che promette di essere, oltre che un mezzo di trasporto, una macchina autonoma predisposta all’installazione di arti e con un’autonomia di 30 km.

Che ci troviamo nel pieno dello sviluppo della robotica è dimostrato anche dai dati. Prendiamo ad esempio il mercato dei droni: nel 2014 ammontava già a 3,6 miliardi di dollari, ed è previsto che entro il 2021 arrivi a superare i 16. Allo stesso modo si prospettano in crescita anche l’applicazione a scopo educativo e ad uso medico, che vanteranno nel 2020 quote di mercato rispettivamente di 2,4 e 7,6 miliardi. Ma la fetta più grande della torta è quella dei robot industriali, cioè quelli che possono essere programmati per svolgere lavori fisici di produzione senza la necessità di un intervento umano. Un settore, questo della industry 4.0, che arriverà a sfiorare il valore di 80 miliardi entro il 2022 (per chi fosse interessato, qui ci sono i dati completi di aziende top player del mercato).

Il dragone d’oriente recluta un esercito di robot

Un dato che la Cina ha avvalorato annunciando enormi investimenti per l’ammodernamento delle proprie industrie. Il vicepresidente della Repubblica Popolare, Li Yuanchao, ha affermato pubblicamente il dicembre scorso che la robotica sarebbe diventata “una priorità per lo sviluppo economico”, ponendosi l’obiettivo di far conquistare al proprio paese il primato mondiale del numero di automi entro il 2017. Una strategia pragmatica il cui scopo è potenziare i processi produttivi automatizzati per reagire al graduale aumento dei salari che sta sperimentando la popolazione. A questo si aggiungono gli investimenti esteri, con 20 milioni di dollari stanziati in Israele – definita come “robotic startup nation” – per l’istituzione di un centro di ricerca e sviluppo.

Una strategia in linea con i dati registrati dal 2013 al 2014, in cui l’acquisto di robot industriali sul mercato cinese segnò un aumento del 56% rispetto all’anno precedente, arrivando a superare le 57 mila unità. Un incremento superiore a qualunque altro paese, ma che ha inciso poco sul rapporto fra numero di robot e numero di operai (in inglese: robot density). Considerando in particolare l’industria automobilistica si è registrata l’installazione di sole 305 macchine ogni 10 mila dipendenti. Per dare un metro di paragone i primi quattro posti in classifica dell’anno scorso sono stati occupati dal Giappone, che ne ha contate 1414, dalla Germania con 1149, dagli USA con 1141 e dalla Corea del Sud con 1129.

Un progetto di questo tipo, per quanto ampiamente foraggiato dal governo, rivela numerosi ostacoli e sviluppi imprevedibili. La Foxconn aveva entusiasticamente abbracciato una politica di implementazione verso la industry 4.0 qualche anno fa, annunciando nel 2011 di volersi affrettare ad affiancare al suo milione di dipendenti un numero equivalente di robot, salvo poi ridimensionarsi a un ben più modesto cinquantamila unità, installate fino al 2015. Il motivo? La destrezza che gli operai aveva sviluppato nel compiere alcuni piccoli movimenti di precisione si era dimostrata ancora insuperabile.

Nonostante questo sembra che i cosiddetti foxbots siano stati commercializzati con successo per la produzione di spaghetti, rifornendo ufficialmente una famosa catena locale di ristoranti.