Il pregiudizio di genere frena l’accesso delle donne alle professioni dell’ICT e alimenta persistenti discriminazioni. Così il digitale cresce storto. Un problema che nasce (e che può essere risolto) nel mondo dell’istruzione. I dati della ricerca Istituto Toniolo – Ipsos, promossa da Spindox e Repubblica degli Stagisti.

Che nesso c’è fra un pregiudizio di genere duro a morire, la scarsa presenza delle donne nel mondo dell’ICT e gli scivoloni della retorica digitale? Quel digitale che avrebbe dovuto cambiare il mondo, rendendolo più accessibile, inclusivo, intelligente e in definitiva migliore, e che invece mostra troppo spesso clamorose disfunzionalità? Un digitale pensato dagli uomini e per gli uomini: designer, ingegneri, architetti e sviluppatori, padri-padroni del software.

Valore di default: maschio

Se la trasformazione digitale è un fatto prima di tutto culturale, non c’è dubbio che quella fin qui espressa dal digitale sia una cultura squisitamente maschile. Dunque la domanda sul nesso è legittima. Come ci ricorda Simone de Beauvoir, gli uomini descrivono il mondo dal loro punto di vista e confondono tale punto di vista con la verità assoluta (Le deuxième sexe, 1949). Le donne sono l’altro di cui non si parla e non si tiene conto, da millenni. Per dirla in informatichese, il valore di default per il tipo umano è ‘maschio’.

In questo quadro, che sembra non cambiare mai, il digitale introduce una novità. E c’è il rischio che non si tratti di una buona notizia per le donne. Le situazioni in cui siamo immersi e di cui facciamo esperienza nel mondo digitale prendono forma intorno a noi a partire dai dati. Il paradigma digitale si fonda precisamente sulla configurazione di esperienze data-driven. In questo senso la logica del «default male» ha due conseguenze, messe in evidenza con grande lucidità da Caroline Criado Perez nel suo Invisibile Women. Exposing data bias in a world designed for men (Londra, Chatto & Windus, 2019). La prima è che i dataset su cui gli algoritmi lavorano sono viziati dalla sottorappresentazione del genere femminile, ossia da un’evidente carenza di dati relativi alle donne. Garbage in, garbage out, insomma. La seconda conseguenza è che il design delle tecnologie che abilitano la vita digitale è in gran parte affidato a uomini. E anche questo è un problema: «se vogliamo progettare un mondo che deve funzionare per tutti, occorre che nella stanza siano presenti anche le donne» ammonisce Criado Perez.

Dove nasce il pregiudizio

Dell’esistenza di un clamoroso pregiudizio di genere a sfavore della donna nel mondo dell’ICT si discute da tempo. In un post del 2015 ci domandavamo, in modo provocatorio, perché lo stereotipo del nerd rimandasse a un profilo indiscutibilmente maschile. In un altro post parlavamo di innovazione zoppa nel mondo dell’hi-tech.

La ricerca commissionata dalla Repubblica degli Stagisti e Spindox all’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, realizzata da Ipsos su un campione di 2mila giovani tra i 20 e i 34 anni in collaborazione con il Laboratorio di Statistica applicata dell’Università Cattolica, ha il merito di aiutarci a mettere a fuoco il problema. Non solo conferma la persistenza di un pregiudizio di genere, che allontana le donne dal mondo dell’ICT, ma evidenzia il fatto che questo pregiudizio è forte anche presso la popolazione giovanile, almeno in Italia.

Alla domanda «Secondo te tra maschi e femmine chi è più bravo in informatica?», oltre un terzo delle persone intervistate (34,1%) ha risposto che i maschi sono «certamente» più bravi. La percentuale sale al 38,8 considerando solo le risposte degli intervistati di genere maschile. Un misero 6,5% del campione ha invece indicato le donne come «generalmente» migliori degli uomini in informatica. Ancora più stupefacente un altro dato: la quota di donne che la pensano in questo modo è addirittura più bassa (5,7%).

Il sospetto è che proprio la scuola costituisca il brodo di coltura di un certo modo di pensare, nutrendo il pregiudizio di genere. Interessante, in tal senso, uno studio del 2002 segnalato da Angela Paladino, in cui si evidenzia un possibile nesso fra gli stereotipi che agiscono sugli insegnanti già nella scuola elementare e la percezione della performance dei bambini. Con la conseguenza che i maschi hanno più probabilità di essere incoraggiati allo studio della matematica (Joachim Tiedemann, Teachers’ Gender Stereotypes as Determinants of Teacher Perceptions in Elementary School Mathematics, in “Educational Studies in Mathematics”, 50-1, gennaio 2002, pp. 49-62).

L’impatto delle politiche educative

L’ambito della formazione è cruciale per determinare, in un senso o nell’altro, l’orientamento delle ragazze nei confronti dell’information technology. Lo conferma un’altra ricerca, The state of girls in K-12 computer science classrooms: making the case for gender-specific education policies, pubblicata a giugno di quest’anno dall’organizzazione Girls Who Code. K-12 è la sigla utilizzata negli Stati Uniti per indicare la scuola primaria e secondaria.

Lo studio, che analizza le politiche adottate in 300 scuole americane per incoraggiare la partecipazione delle ragazze alle lezioni di informatica, evidenzia come il semplice incremento delle ore dedicate a questa materia non sia sufficiente a colmare il gap fra maschi e femmine (attualmente la presenza delle ragazze è pari al 37,5% sul totale della composizione delle classi). Viceversa, si registra un impatto positivo nei casi in cui la legislazione prevede programmi educativi gender-specific e chiaramente orientati all’inclusione, come quelli suggeriti da Girls Who Code. In tali casi il rapporto fra maschi e femmine è vicino alla parità.

Un ulteriore rapporto di Girls Who Code, realizzato in collaborazione con Accenture, tratteggia un quadro allarmante. La quota di donne impiegate nell’ambito dell’information technology negli Stati Uniti rischia di scendere dal 24 al 22% entro il 2025. D’altra parte, le politiche educative pensate per avvicinare le ragazze all’informatica potrebbero triplicare il numero delle addette di sesso femminile nel settore, portando la quota di posti di lavoro occupati da donne dal 24% attuale al 39%.

Dal pregiudizio alla discriminazione

Il passo dal pregiudizio alla discriminazione nei luoghi di lavoro è breve: trattamenti economici ineguali, minori opportunità di crescita professionale, difficile accesso alle posizioni di leadership, atteggiamenti inappropriati, offensivi o umilianti da parte degli uomini nei confronti delle colleghe.

Lo studio già menzionato di Girls Who Code ha analizzato anche alcuni aspetti relativi alla condizione delle ragazze che svolgono tirocini in società di informatica negli Stati Uniti. I feedback delle intervistate sono preoccupanti. Emergono casi di molestie durante i colloqui di selezione, domande imbarazzanti relative alla vita privata, vere e proprie avance, come evidenzia il grafico sottostante. Inoltre viene segnalata la diffusa sensazione di essere sminuite in quanto donne, se non esplicitamente scoraggiate a intraprendere una carriera nel mondo dell’ICT.

Bias e discriminazioni di genere nei colloqui di selezione per gli stage nell’ICT (fonte: GHC, 2019)

Vengono in mente gli ostacoli che dovette superare Ruth Bader Ginsburg, oggi giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti e icona delle battaglie per i diritti delle donne, quando intraprese gli studi di legge alla Harvard Law School, negli anni Cinquanta. All’epoca, in un corso universitario di 500 persone solo 9 erano donne. E l’accesso alla biblioteca era vietato al pubblico femminile. Per comprendere il clima dell’epoca, consiglio vivamente di ascoltare il podcast di Francesco Costa dedicato a Ginsburg.

La domanda che ci dovremmo porre è fino a quando sarà tollerabile che nel mondo dell’information technology persistano atteggiamenti di questo tipo.

Il sogno di una nerd

Le donne possono contribuire a curare la cultura digitale, che si trova a un punto di svolta e deve decidere quale strada intraprendere. Sogniamo un nuovo tipo di nerd, quello descritto da Edward Ashford Lee nel suo bellissimo The Plato and the Nerd. The Creative Partnership of Humans and Technology (Cambridge Ma, The MIT Press, 2017). Le donne ci insegnano che la tecnologia non è qualcosa che si scopre. È qualcosa che si crea. E il vero nerd non è un minatore che scava per estrarre una conoscenza preesistente e nascosta. Dovremmo imparare che essere nerd significa esprimere una forza prima di tutto creativa. Una forza squisitamente femminile.