QUELLA DELLA IMPRESA COLLABORATIVA COMINCIA A ESSERE UNA PUBBLICISTICA UN PO’ STUCCHEVOLE.

Sembra che basti aggiungere il suffisso 2.0 alla parola impresa per risultare innovativi e autorevoli. Che ci crediate o no, abbiamo scoperto che a Milano esiste addirittura una polleria 2.0. La verità è che non bastano due mani di marketing per trasformare un’organizzazione tradizionale in qualcosa di diverso. L’azienda è un mondo vitale, nel senso che muta con la stessa rapidità con cui muta l’ambiente in cui è immersa. Altrimenti è un’azienda morta.

Il riferimento al mondo vitale vale anche in altri due sensi. In primo luogo l’azienda non è una macchina, ma un sistema di relazioni. In secondo luogo la performance di questo sistema è guidata da convincimenti condivisi e da empatia strutturale.

Spindox è un’azienda cresciuta in fretta. Nata due anni fa, conta oggi oltre 400 dipendenti sparsi fra cinque sedi in Italia e due all’estero. Lo scorso anno abbiamo assunto 80 persone, altrettante nel 2014. Uno sviluppo così rapido comporta la necessità di creare un senso condiviso dello “stare insieme”, senza rinunciare alla diversità. Ogni persona porta con sé identità, cultura, visione. E si tratta di una ricchezza da non sacrificare. Al tempo stesso occorre creare un linguaggio comune. Non è solo questione di vocabolario, ma anche di metafore, gesti e sottintesi.

L’organizzazione collaborativa si sviluppa all’incrocio fra queste due forze: identità dei singoli e cultura dell’insieme. Per noi essere collaborativi significa innanzi tutto adottare comportamenti collaborativi a livello individuale. Comportamenti che devono essere favoriti da un sistema di regole chiaro e condiviso. Per essere collaborativi è necessario che l’organizzazione sappia fare emergere i contributi di ogni individuo, tratti tutti allo stesso modo e con rispetto, premi creatività̀ e innovazione. Un’impresa collaborativa valorizza sincerità̀, apertura e onestà delle persone, incentivandole a condividere i frutti del successo e a stabilire e mantenere relazioni con i colleghi.

Se poi ci domandiamo a che cosa serva essere collaborativi, la risposta è semplice: serve a innovare, a raggiungere obiettivi significativi a costi ragionevoli, a rendere più rapido il processo decisionale. In altri termini serve a restare vivi. Un’organizzazione incapace di nutrire i processi collaborativi al proprio interno è condannata all’irrilevanza o – peggio ancora – al declino. Ciò è tanto più vero nel settore dell’information technology in cui Spindox si trova a operare.

Un ulteriore punto merita di essere considerato: il valore della diversità. Collaborare fra uguali può risultare forse più facile, ma serve a poco. La collaborazione utile è quella fra diversi. Perché problemi complessi si risolvono mettendo in gioco punti di vista e chiavi di lettura alternative, secondo una logica multidisciplinare. I network orizzontali composti da persone con esperienze diverse hanno probabilità di innovare molto maggiore dei network verticali e uniformi. Come ha scritto Beth Comstock in un recente contributo su “Harvard Business Review”, l’innovazione nasce dall’incontro inatteso di menti.

Infine non c’è organizzazione collaborativa senza leadership adeguata. Anche in questo caso si tratta di un test prima di tutto culturale, perché è necessario mettere in discussione atteggiamenti manageriali spesso consolidati. Per andare nella direzione giusta occorre esprimere una leadership aperta alle idee nuove dei singoli, capace di stimolare l’apprendimento a livello organizzativo, la connessione fra le persone a tutti i livelli e il senso di appartenenza, ma anche disponibile a concedere autonomia e a premiare lo spirito di iniziativa. Viceversa, una leadership che genera insicurezza attraverso uno stile autoritario produce organizzazioni impaurite, chiuse di fronte alle sfide del mondo esterno.