India, dal colonialismo alle missioni spaziali: storia della Jugaad Nation

da | Gen 28, 2019

Un passato di schiavitù, un’unificazione sanguinosa, la ricerca di un ruolo da protagonista nel rodeo tecnologico dell’Intelligenza Artificiale. Così l’India si reinventa come Jugaad Nation nel XXI secolo.

L’India è spesso definita la Jugaad Nation, un paese che ha trasformato l’arte di arrangiarsi in innovazione efficace. Un paese che oggi, secondo un rapporto di Nasscom, rappresenta il terzo più grande ecosistema di startup tecnologico del mondo. Il termine jugaad potrebbe essere tradotto, dalla lingua hindi, con l’espressione italiana «soluzione semplice, frugale e flessibile». Può indicare anche una persona che è in grado di improvvisare e risolvere un problema in modo brillante, senza bisogno di ingenti risorse.

Tecnologia, sviluppo e democrazia

Ma quale realtà identifica, oggi, la definizione di Jugaad Nation? Una realtà in cui l’innovazione ha un ruolo decisivo, ponendosi sempre di più come motore dello sviluppo economico e sociale del paese. In India le imprese tecnologiche guidano la crescita, creano posti di lavoro, garantiscono un maggiore accesso a risorse, istruzione e sanità. Con conseguente diminuzione dei livelli di povertà e miglioramento degli stili di vita.

Una democrazia in grande sviluppo, quindi, che presto potrebbe superare la Cina in ambito tecnologico. E che, oltretutto, è di fatto oggi una delle potenze nucleari del mondo. Ma l’India non è sempre stata una democrazia. Anzi, possiamo dire che non è sempre stata nemmeno una nazione.

L’India è una regione con una geografia e una storia unici, che deve alla colonizzazione e all’occupazione straniera tragedie ma anche le infrastrutture che le consentiranno di svilupparsi in una potenza, e di fatto, in bene e male, nell’unificazione di imperi e principati in un’unica grande nazione.

Prima della colonizzazione, infatti, il subcontinente indiano (non lo chiamiamo nemmeno India ancora) era diviso tra Imperi e tanti piccoli principati, spesso in guerra tra loro.

Dalla colonizzazione inglese alla dichiarazione di indipendenza

L’India è un paese complesso, con quasi 30 lingue ufficiali e con almeno mezza dozzina di religioni ufficialmente riconosciute. L’idea stessa di India come nazione, compreso il senso di appartenenza indiano, è molto recente. Per capire anche solo in modo approssimativo la mentalità indiana è fondamentale un accenno al suo passato. In 200 anni l’India si è formata fondendo due elementi: da un lato il tessuto culturale di un subcontinente estremamente composito, dall’altro la mentalità britannica che, nel bene e nel male, ha lasciato tracce indelebili nella formazione dell’India moderna.

La Compagnia britannica delle Indie Orientali

Essendo al centro delle rotte per le spezie, l’Oceano Indiano era frequentemente navigato dalle navi delle Compagnie delle Indie Orientali[1] delle principali potenze europee. Tuttavia la Compagnia britannica delle Indie Orientali (nota anche come Honourable East Indies CompanyHEIC) era arrivata tardi per ritagliarsi una fetta del mercato delle spezie malese, praticamente monopolizzato dalla Compagnia olandese[2].

La HEIC aveva quindi “ripiegato”[3] sul subcontinente indiano, stabilendo legami commerciali con l’impero Moghul[4]. Tuttavia, nonostante fosse inizialmente un ripiego, il mercato indiano si rivelò redditizio soprattutto nel commercio dei tessuti, e la Compagnia realizzò cospicui profitti nei primi decenni di commercio pacifico.

I tempi cambiano

L’impero Moghul era però in decadenza, e con esso la sua forza unificatrice andava svanendo, lasciando il posto a una moltitudine di conflitti territoriali locali. La HEIC vedeva in questi conflitti un danno al proprio commercio, e si prodigò per mantenere la pace, spesso ricorrendo a mercenari locali. In tal modo la Compagnia riuscì a imporsi come forza di mediazione sempre più potente, diventando un po’ alla volta, de facto, la forza principale.

A questo proposito, è curiosa e indicativa la storia di George Graham, uno dei tanti avventurieri secondogeniti[5] della Scozia del tempo: Graham infatti, dopo un iniziale fallimento in Jamaica, era riuscito a far fortuna proprio in India. Tuttavia, la sua fortuna non fu dovuta al commercio coi locali, ma alla fornitura di divise per l’esercito privato della Compagnia delle Indie.

Infatti è qui che la storia cambia: quella che era stata una storia di commercio diventava ora una storia di conquista.

Divide et impera: il Company Raj

A quel tempo i nababbi[6] indiani erano praticamente tutti allineati con britannici o francesi, pretesto spesso usato dalle due potenze per metterli gli uni contro gli altri. Nel 1756 il Nawab del Bengala Suraj-ud-Daula, favorevole ai francesi, aveva attaccato una fortezza britannica a Calcutta, imprigionando i soldati catturati in una piccola stanza, nell’incidente divenuto poi noto come “il buco nero di Calcutta“. Vero o falso, accurato o esagerato, l’incidente fu il pretesto per la reazione della Compagnia, che nella battaglia di Plassey ottenne una vittoria decisiva. Vittoria che spazzò via i francesi dal Bengala, spianando di fatto la via alla conquista del resto del territorio indiano.

Ricostruzione della battaglia di Plassey

Sembra quasi incredibile che una società privata potesse godere di un proprio esercito, con tanto di facoltà di dichiarare guerre e sottoscrivere armistizi. Eppure la HEIC, con una serie di guerre sparse[7], riuscì progressivamente a spingere la Francia in un angolo e a estromettere le altre potenze dal subcontinente divenendone quindi la forza europea dominante. Ma la storia non era naturalmente destinata ad esaurirsi qui.

Alla fine del XVIII secolo infatti, le due potenze indiane più forti (Mysore e Marathas) erano oramai in declino, e il Duca di Wellington ne approfittò per portare sotto la corona quanto più territorio indiano possibile. Infatti, con due grandi guerre conquistò in India più territorio di quanto Napoleone ne avesse conquistato in Europa, inaugurando un dominio di oltre cento anni, noto come il Company Raj.

La liquidazione della Compagnia

Nel 1857 la Compagnia aveva già conquistato gran parte del territorio indiano, gestendolo con un’amministrazione efficiente, e costruendovi una serie di infrastrutture che si riveleranno decisive per lo sviluppo del paese anche dopo la dichiarazione di indipendenza del 1947.

Gli storici infatti, localizzano la nascita dell’India moderna tra il 1848 e il 1885. La nomina del marchese di Dalhouisie come Governatore Generale della Compagnia delle Indie Orientali pose le basi per i cambiamenti essenziali alla nascita di uno stato moderno. Questi cambiamenti tra le altre cose inclusero l’educazione dei cittadini, e l’introduzione di tecnologie come le ferrovie, i canali e il telegrafo.

Tuttavia, l’efficienza di questa amministrazione non era esattamente nel migliore interesse dei locali, e lo sfruttamento brutale (come quello che portò alla grande carestia del Bengala nel 1770) perpetrato dalla HEIC aveva generato non pochi risentimenti. Questi risentimenti crebbero progressivamente portando ai moti indiani del 1857, una serie di rivolte[8] su larga scala. Queste rivolte furono infine soppresse nel sangue, ma richiesero alla Compagnia diversi mesi per venirne a capo.

India all’inizio e alla fine del Company Raj

A rivolte sedate fecero seguito una serie di processi in Inghilterra, al termine dei quali il parlamento decise, tramite il Government of India Act 1858 di trasferire il controllo di tutta la regione sotto la corona britannica, liquidando (o nazionalizzando?) la Compagnia. Nasceva così il Raj Britannico.

British Raj

L’istituzione del Raj Britannico portò all’incoronazione della regina Vittoria a imperatrice dell’India nel 1877. Nella seconda metà del XIX secolo gli effetti della rivoluzione industriale arrivarono anche in India, continuando il processo di modernizzazione già iniziato sotto la HEIC. La Gran Bretagna inoltre preferì inizialmente fare in modo che il proprio controllo fosse il più indiretto possibile, iniziando a inserire indiani nelle amministrazioni locali con il Councils Act del 1892. Inoltre il 1885 aveva visto la nascita del primo partito indiano: il Congresso Nazionale Indiano. A seguire il Councils Act del 1909 che aumentò il coinvolgimento indiano nel governo. Quest’ultimo, assieme all’introduzione di un sistema educativo, non aveva tanto lo scopo di favorire una vera indipendenza indiana, quanto quello di creare un ceto borghese indiano che supportasse il governo britannico.

Tuttavia, il ceto borghese che si andava formando diventò gradualmente una forza di opposizione più che di sostegno.

Prima Guerra Mondiale: La partecipazione indiana

La guerra del ’14-’18 si rivela uno spartiacque nelle relazioni tra India e Gran Bretagna: l’India infatti contribuisce con più di un milione di soldati alla vittoria degli alleati, e le immagini di soldati indiani che combattono spalla a spalla con gli inglesi fanno il giro del mondo. L’India guadagna visibilità, il Government of India Act del 1919 espande la partecipazione indiana al governo, e getta le basi per l’inizio di un “governo responsabile”. Inoltre l’aumento di visibilità permette all’India di partecipare alla fondazione della Lega delle Nazioni come entità autonoma, sotto il nome di “Les Indes Anglaises” (Indie britanniche). Tutto questo contribuisce non poco alla nascita di un senso di appartenenza all’India come nazione, che prima non esisteva.

Il massacro di Amritsar

Il 3 aprile del 1919 segna un punto di non ritorno nelle relazioni tra India e Impero. Migliaia di civili, per la maggior parte SIkh, era confluito ad Amritsar (Punjab) per le celebrazioni del Vaisakhi, oltre che per una protesta pacifica contro la deportazione dei due leader nazionali Satya Pal e Saifuddin Kitchlew. Venendo da fuori, la maggior parte era probabilmente ignara della legge marziale imposta da Dyer per timore di rivolte. La reazione di Dyer fu brutale: gli inglesi bloccarono la folla radunata nel Jallianwala Bagh (giardino pubblico della città, con un solo ingresso, molto stretto) e aprirono il fuoco per più di dieci minuti, fino ad esaurimento delle munizioni.

Questo “incidente” fece inferocire la popolazione, portandola a dubitare delle vere intenzioni dell’impero, e fu la miccia che avrebbe portato alla caduta della dittatura britannica.

Gandhi e la disobbedienza civile

Mohandas Gandhi si era formato come avvocato nel sistema educativo britannico, e aveva già sperimentato sulla propria pelle la discriminazione bianca nei suoi viaggi in Sudafrica. Rientrato nel paese nel 1914, aveva constatato le condizioni di estrema povertà in cui era ridotto il paese e aveva già iniziato a organizzare proteste pacifiche contro le eccessive tasse sulla popolazione. Il massacro di Amritsar lo portò a dirigere parecchie manifestazioni di disobbedienza civile, seguendo la filosofia del Satyagraha, ovvero della non violenza, e nel 1921 assume la leadership del Congresso Nazionale Indiano. Il consenso popolare cresce e nel 1930 Gandhi conduce quella che diverrà nota come “Marcia del sale”, portando moltissimi indiani ad aderire al movimento. Il Government of India Act,1935 non soddisfò pienamente la popolazione, e nel 1937 si tennero le prime elezioni, con il Congresso vincitore quasi ovunque.

La Seconda Guerra Mondiale e il movimento Quit India

La seconda guerra mondiale vede l’India come uno degli attori più significativi nello forzo alleato contro l’Asse, con più di due milioni di indiani al fronte. Nel settembre ’39, allo scoppio della guerra, il viceré il carica Lord Linlithgow, dichiarò guerra per conto dell’India, senza consultare gli stessi leader indiani. I leader del Congresso diedero le dimissioni per protesta, mentre la Lega Musulmana decise di supportare la Gran Bretagna. Data la forte divisione interna, Churchill inviò una delegazione[9] a trattare col Congresso allo scopo di ottenere il pieno supporto indiano nella guerra. Alla vaghezza delle proposte britanniche, Gandhi interruppe le trattative e chiese l’immediata instaurazione di un governo indiano (principio dello Swaraj, autogoverno) in cambio del supporto in guerra.

Fallita la trattativa, nell’agosto 1942, col suo famoso discorso, Gandhi lancia il movimento Quit India, in cui si chiede l’uscita immediata della Gran Bretagna dall’India. Gandhi fu imprigionato assieme a migliaia dei leader del Congresso, e le violenze che ne scaturirono furono represse in meno di sei settimane. Tuttavia, il seme era oramai gettato, e nel 1946, al termine della guerra, si tennero nuove elezioni.

British Indian Empire

L’Impero Indiano britannico nella sua massima estensione

La fine di un Impero: la partizione dell’India e la nascita del Pakistan

Nelle elezioni del ’46 il Congresso risultò vincitore in 8 delle 11 province. Tuttavia, le trattative tra il Congresso e la Lega Musulmana di Jinnah si arenarono sulla questione della spartizione. Con l’obiettivo ufficiale di evidenziare pacificamente la necessità di un territorio musulmano in India, Jinnah proclama il Direct Action Day, che si tramutò purtroppo in un bagno di sangue a Calcutta, le cui vere cause ancora oggi dividono gli storici. Le divisioni fra la popolazione Hindu e quella musulmana erano oramai esplose.

Nel 1946, esausta per la guerra appena conclusa, e con una ricostruzione da affrontare, la Gran Bretagna dichiara che avrebbe trasferito il potere governativo all’India non più tardi del 1948. Tuttavia, la crescente preoccupazione britannica sulla capacità dell’esercito di fronteggiare la situazione, e l’apparente impossibilità di Jinnah e Gandhi di trovare un accordo, portarono il viceré Lord Mountbatten ad anticipare i tempi, concedendo poco più di 6 mesi.

“2nd of April, 1947. I’ve now completed my first week in office. I should like to be able to paint an encouraging picture of my first impressions, but feel it would be misleading if I did so. The scene here is one of unrelieved gloom. At this early stage, I can see little common ground on which to build any agreed solution for the future of India. The only conclusion I have been able to come to is unless I act quicly, I may well find the real beginnings of a civil war on my hands.” – Lord Louis Mountbatten.

In maggio, qualsiasi tentativo di creare un’India unificata aveva oramai fallito, e Gandhi si ritirò dalla vita politica. Il 3 giugno del ’47 Mountbatten annunciò il 15 agosto come data di indipendenza indiana. Allo stesso tempo, fu presentato il piano di partizione, che prevedeva dei referendum per la decisione finale sulla spartizione, nonché la data finale per la dichiarazione di indipendenza.

Al termine delle consultazioni, nonostante il parere contrario di Gandhi, il primo ministro Nehru e Jinnah si accordarono sulla spartizione, e le disposizioni principali di quello che sarebbe passato alla storia come l’Indian Independence Act del 1947 furono le seguenti:

  • Suddivisione dell’India britannica nei due nuovi dominions sovrani di India e Pakistan, con effetto 15/8/1947
  • Spartizione delle province di Bengala e Punjab tra i due nuovi stati
  • Installazione come rappresentante della Corona, di un governatore generale in ciascuno dei due stati
  • abolizione del titolo “Imperatore dell’India” da parte del monarca britannico

Su basi interamente religiose era stata decisa una spartizione territoriale tra indù e musulmani. Di fatto fu creato un Pakistan occidentale nel Punjab, e un Pakistan orientale nel Bengala, poi divenuto Bangladesh. Le due regioni musulmane erano separate da più di 1000 km di territorio indù, e le due colossali migrazioni in senso contrario, dei musulmani scacciati in Pakistanin fuga dall’India, e degli indù in fuga dal Pakistan diventarono teatro di una delle stragi più sanguinose della storia.

Dopo quasi 200 anni di dominio, gli inglesi lasciavano l’India praticamente di corsa.

Dall’indipendenza a oggi: da terzo mondo a futura superpotenza?

Nel 1950 entrava in vigore la nuova costituzione: l’India era ora una “repubblica secolare sovrana, democratica e socialista”.

Il dominio inglese era terminato, e insieme a un’eredità di tecnologie e infrastrutture, e aver involontariamente contribuito a creare una nazione e uno spirito nazionale indiano (quasi) unito, si lasciava dietro cicatrici profonde e ferite difficilmente rimarginabili. Le stragi e il sangue versato durante la spartizione avevano diviso gli indiani hindu e musulmani per sempre: le guerre per Jammu e Kashmir andarono avanti fino al 1965 (interrotte solo dall’ONU), il 1971 vide la guerra di liberazione del Bangladesh, e l’ultima guerra (per il Kargil) è solo del 1999.

Crescita economica e tecnologica

Dalla dichiarazione di indipendenza l’India ha attraversato un periodo estremamente turbolento, tra guerre e catastrofi naturali pazzesche[10]. Tuttavia, il processo di liberalizzazione iniziato da Narasimha Rao nel 1991, ha fatto crescere esponenzialmente il PIL indiano, portando l’India ad avere il 4° PIL mondiale nel 2010 e il 3° nel 2012. I grandi progressi sono evidenziati per esempio nel campo aerospaziale: nel 2017 infatti l’India lancia in orbita 104 satelliti in un solo razzo, battendo il record russo del 2014 di 34, a 1/3 del costo totale.

nasscomI giovani usciti dalle università laureati in IT, hanno quasi tutti acquisito esperienza lavorando per aziende straniere, e con questa hanno iniziato a produrre innovazione in India. L’India oggi conta diversi Hub Tecnologici di grande rilievo, un progetto nazionale da oltre 15 miliardi di dollari di ripianificazione urbanistica per 100 smart cities, il terzo (secondo NASSCOM) ecosistema di startup tecnologiche del mondo, e un progetto di rete ad alta velocità entro il 2019.

Innovazione – La Jugaad Nation

Lo spirito innovativo non è mai mancato negli indiani, ed esiste un termine apposta per questo: la Jugaad, ovvero l’arte di trovare soluzioni ai problemi con qualsiasi cosa si abbia sottomano. Non è poi strano che in un paese così pieno di diversità, e anche di scarsità di ogni tipo di mezzi, si sia evoluta questa capacità di arrangiarsi. Anche nel campo tecnologico questo tipo di “frugal innovation” ha generato la capacità di produrre innovazione efficace e a basso costo, seppure non propriamente seguendo dettami di design thinking.

Esempio pratico di Jugaad

Il sistema di incubatori e acceleratori per le startup tecnologiche

L’India gode di un sistema di gestione delle startup molto articolato ed attivo, secondo NASSCOM oggi il terzo al mondo.

Si prevede una crescita fino a oltre  11000 startup per il 2020. Con 100 acceleratori, 200 business angels, e oltre 150 Venture Capital, Il sistema di incubatori e acceleratori sta portando un notevole contributo a questa crescita, per quanto abbia avuto qualche ricaduta durante il 2016.

Hub tecnologici

Ad oggi, Bangalore è considerata la Silicon Valley indiana“, sede di molte delle maggiori corporation del settore, come Intel, Google India, EA, Apple Inc, Dell, Ericsson, Goldman Sachs, HP, Cognizant, Sony, Accenture, IBM. Hyderabad è diventata il più grande centro di sviluppo software di Microsoft, dopo quello di Redmond, mentre Mumbai è la capitale finanziaria del paese, e recentemente moltissime aziende IT vi hanno stabilito uffici.

GIFT City è un hub finanziaro nel Gujarat dovrebbe diventare la prima smart city funzionante in India. Attualmente in costruzione, conterrà parchi tecnologici software per le industrie IT principali, zone finanziarie etc.

GIFT City, concept

A Pune sono ospitati molti parchi tecnologici IT dedicati, come EON Free Zone, Aundh, Business Bay, Magarpatta, nonché il parco tecnologico più grande dell’India, che è il Rajiv Gandhi IT Park a Hinjewadi. Altri hub importanti sono Chennai per le infrastrutture e l’outsourcing, e la NCR (National Capital Region), comprendendo Delhi, Noda e Gurgaon.

Smart Cities

Come ancitipato sopra, il governo di Modi sta spingendo molto per la realizzazione della Smart Cities Mission, ovvero la realizzazione di 100 Smart City nel paese. Inizialmente l’idea era di realizzarle tutte ex-novo, ma le numerose critiche hanno portato il governo a rivedere la proposta e spostarsi su un “retrofitting” di città (inizialmente solo specifici quartieri) già esistenti. Il progetto rimane comunque estremamente ambizioso, e non è stato finora esente da critiche.

Tecnologia nucleare

Da un punto di vista politico l’India ha sempre cercato di rimanere equidistante dai due poli di alleanza, contribuendo nel 1961 a creare il NAM[11] (Non-Aligned Movement), per il libero scambio di tecnologie tra i paesi aderenti, cosa che gli ha consentito di mantenere buoni rapporti sia con Russia (trattato di amicizia nel 1971), che con USA, che con Cina. Dopo i vari test nucleari condotti tra il 1974 e il 1998 (che portò a varie sanzioni), nel 2006 l’India ha sottoscritto un accordo con il governo americano per l’accesso alle tecnologie nucleari, con la condizione di tenere chiaramente separati utilizzi militari e civili.

Digital India

Un altro progetto su cui sta lavorando il governo è Digital India, un progetto di modernizzazione digitale, che prevede 9 pilastri:

Connettività

Bharatnet è uno dei progetti più ambiziosi di connettività. La mission ufficiale è nientemeno che:

  • Connettere a 100 Mbs tutti i Gram Panchayat, ovvero tutte le amministrazioni locali
  • Fornire servizi B2B in maniera non discriminatoria
  • Facilitare la proliferazione di servizi B2C e P2P a banda larga nelle aree rurali.
  • Fare da catalizzatore per incrementare la penetrazione della banda larga in aree rurali per facilitare lo sviluppo socioeconomico.

Sul sito ufficiale è possibile verificare lo stato aggiornato del progetto.

Wifi gratis per tutti

La connettività in India rimane un problema enorme, ma non è sentito solo dagli indiani: la mancanza di connettività infatti crea difficoltà enormi a fornire servizi anche a società come Amazon e Google (che infatti ha provveduto a installare hotspot wi-fi gratuiti in più di 100 stazioni ferroviarie), che infatti spingono per accelerare il processo. Il governo d’altro canto sta varando il progetto Digital Village, per fornire Wi-fi gratuita a più di 1000 villaggi nel territorio.

TeamIndu e la corsa alla luna

L’industria aerospaziale ha sicuramente un ruolo importante, e la storia di TeamIndu è abbastanza inconsueta. Quando Rahul Narayan venne a conoscenza del premio Lunar XPrize istituito da Google, Rahul Narayan decise di tentare, pur non avendo assolutamente alcuna conoscenza di viaggi spaziali (lui stesso racconta di avere iniziato cercando su… Google). Oggi Team Indu è uno dei competitor per i 6 milioni di dollari previsti in totale.

Inchiostro dallo… scappamento!

India è un paese fortemente urbanizzato e… fortemente inquinado. Graviky labs ha pensato che l’inquinamento poteva essere anche una risorsa, producendo Air-Ink, un inchiostro basato proprio sui fumi esausti inquinanti delle auto.

This is ink from 30 mins of Bangalore car pollution

Esami mammografici alla portata di tutti

In India non sono molti i centri in grado di effettuare esami mammografici, e i casi di tumori al seno arrivano in ospedale oramai in stato già avanzato. Innovazioni come IBreast Exam consentono di effettuare dei pre-screening praticamente a domicilio, ad un costo molto basso.

Segaossa innovativi

La tecnologia XRayto3D di AlgoSurg permette di realizzare modelli tridimensionali tramite stampanti 3D, a partire da lastre e altre immagini bidimensionali. La piattaforma, cloud-based è disegnata per aiutare il chirurgo ortopedico a pianificare e prendere decisioni accurate in operazioni chirurgiche di impianti e correzione di deformità.

Note

[1]: Il termine “Indie Orientali” era spesso usato in epoca coloniale per indicare l’arcipelago Malese, in contrapposizione alle “Indie Occidentali”, che indicavano i Caraibi.

[2]: Nota anche come Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie, abbreviato in VOC.

[3]: Il subcontinente indiano era considerata inizialmente una specie di “premio di consolazione” rispetto al mercato malese, considerato molto più ricco.

[4]: L’impero Moghul al suo apice si estese su quasi tutto il subcontinente indiano e parti dell’Afghanistan. Fu il secondo impero più grande ad esistere nel subcontinente indiano, coprendo all’incirca quattro milioni di chilometri quadrati all suo apice.

[5]: In quel periodo era usanza per le famiglie lasciare tutta l’eredità al primogenito maschio, mentre gli altri dovevano cercarsi il proprio posto nel mondo da soli.

[6]: Un Nababbo, o Nawāb era in origine un subedar (governatore provinciale) o un viceré di una subah (provincia) o regione dell’Impero Mughal. Divenne poi un’alta titolatura attribuita a nobili musulmani (cit: Wikipedia).

[7]: Note anche come guerre del Carnatic, combattute tra il 1756 e il 1763, parallelamente alla guerra dei sette anni.

[8]: Interessante la differenza di termini tra le fonti inglesi, che le chiamarono “ammutinamento” dei Sepoy e quelle indiane, che le riportano come “prima guerra d’indipendenza indiana“.

[9]: Capeggiata da Sir Stafford Cripps, fu nota come “Cripps’ mission“.
[10]: il ciclone Odisha del 1999 che uccise più di 250.000 persone, e il terremoto del Kashmir del 2006 che ne uccise più di 100.000.

[11]: L’organizzazione è nata ufficialmente per “assicurare l’indipendenza nazionale e l’integrità territoriale dei paesi non allineati”

Links

Storia

Carnatic Wars – Heritage History

Sepoy Mutiny of 1857

Viewpoint: The myth of ‘strong’ British rule in India

Arthur Herman (2008): Gandhi & ChurchillThe Epic Rivalry that Destroyed an Empire and Forged Our Age. Random House Publishing Group

How the Partition of India happened – and why its effects are still felt today

70 years later, survivors recall the horrors of India-Pakistan partition

Khan, Yasmin (2007): The Great Partition: The Making of India and Pakistan Yale University Press

The Need to Rewrite Indian History

Tecnologia

ARE SMART CITIES THE SMART OPTION FOR INDIA?

50 Shades of Indian Startup Ecosystem [The 2017 edition]

NASSCOM – Facts & Figures

Why India is the fastest growing tech hub in the world

Technology, Media & Telecommunications – India Predictions 2018 report

Science and technology in India

Information technology in India

Digital India

Jugaad Nation: How India Became a Frugal Innovation Hub for Healthcare

Digital India Program: to prepare India for a knowledge and digitized future

Paolo Costa
Paolo Costa
Socio fondatore e Direttore Marketing di Spindox. Insegno Comunicazione Digitale e Multimediale all’Università di Pavia. Da 15 anni mi occupo di cultura digitale e tecnologia. Ho fondato l’associazione culturale Twitteratura, che promuove l’uso di Twitter come strumento di lettura attraverso la riscrittura.

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