Una tavola rotonda per discutere del modo in cui si investe in innovazione in Italia, del rapporto fra imprese e mondo della ricerca e del cammino delle startup nel nostro paese, con tanti giovani che hanno ascoltato attenti e curiosi. Il tutto fra le aule austere dell’Università di Pavia, dove lo spirito accademico tenta di rifuggire dall’accademismo. Così si è aperto ieri l’anno accademico 2015-2016 di CIM-CPM, le due sigle che identificano il percorso triennale e quello magistrale di coloro che si laureano in Comunicazione nell’ateneo pavese.

Imprenditori, guru dell’innovazione digitale, investitori e studenti, con qualche provocazione per questi ultimi. “Quanti di voi hanno un account di LinkedIn?”, ha chiesto ai giovani in sala Alberto Onetti, presidente di Mind The Bridge Foundation. Poche le mani alzate. “Beh, abbiamo un problema – ha osservato Onetti. – Siamo nel 2015: non è concepibile che voi giovani non siate sul pezzo.” Onetti si è concentrato sulle differenze tra la Silicon Valley e l’Italia. Molte e insormontabili, a suo parere. Pare che tutto dipenda dalla mentalità e dalla cultura: troppo diversa la nostra, rispetto a quella che si respira nella Bay Area. Negli Stati Uniti non si ha paura di distruggere tutto e di rifarlo ogni volta. Onetti non ha dubbi: la malattia del Vecchio Continente si chiama conservatorismo.

I pilastri su cui si regge l’ecosistema delle startup nella Silicon Valley sono tre: università, mondo dell’impresa e finanza. Tuttavia i modelli che governano questi pilastri non sono rigidi. Anzi: quando si capisce che non sono più efficaci, questi modelli vengono ricostruiti da zero. Pensiamo alla Singularity University, per esempio. Nata come “accademia” della Silicon Valley, ha la caratteristica assai originale di non rilasciare alcun titolo al termine degli studi. Il “pezzo di carta”, quello a cui gran parte degli studenti (e delle loro famiglie) ambiscono, non esiste. Questo cambia tutto. L’attenzione si sposta sull’effettivo apprendimento di competenze e capacità che faranno la differenza nel mondo del lavoro o, ancora meglio, nella creazione di impresa.

Che un simile sistema, così diverso e lontano da quello europeo, funzioni sono i numeri a dirlo. Se consideriamo come criterio di misura il numero di cosiddetti unicorni, ossia di startup innovative che ce l’hanno fatta e che hanno raggiunto una valutazione superiore al miliardo di dollari, vediamo che più della metà si trova negli Stati Uniti. In Europa ce n’è appena il 30%, e nessuna in Italia.

Agli studenti pavesi Onetti ha voluto dare qualche consiglio: creare un team composto da persone valide, non aver paura di fallire e sognare in grande. Solo sognando in grande si possono realizzare grandi imprese. Un tema, quello del sogno, che è ritornato nei discorsi di altri opsiti. Il presidente di Mind The Bridge si è congedato con un’ulteriore frecciatina al sistema Italia: “Da noi – ha detto – non esiste rispetto per i giovani. In Silicon Valley anche un diciottenne, se meritevole, riesce a parlare con il vice presidente di una big company. In Italia quando si ha più di 30 anni si ha l’agenda piena e non si ritiene opportuno dedicare del tempo a chi è più giovane di noi. Questo fa di noi delle persone vecchie”.

Alla tavola rotonda – moderata dal nostro Paolo Costa, il quale divide il suo tempo fra Spindox e l’Università pavese – hanno preso parte ospiti importanti. Ciascuno ha proposto, dal proprio particolare punto di osservazione, la sua chiave di lettura. Unico il tema: il rapporto possibile tra innovazione, startup e mondo accademico. Claudio Bellinzona, fondatore di Musement, ha sostenuto che rientra tra i compiti dell’università quello di insegnare l’innovazione. Aggiungendo però che, per insegnare innovazione, occorre sviluppare un dialogo continuo fra l’università e l’impresa. Fra ricerca accademica e tessuto economico ci deve essere una forma di osmosi. Perché entrambi sono parte dello stesso ecosistema. Non si fa innovazione solo con le imprese, né solo con la ricerca universitaria. E neppure solo con i soldi.

Ma davvero l’Italia offre il contesto peggiore per lanciare un’impresa ad alto contenuto di innovazione? Forse non è così. Anche nel nostro paese qualcosa si muove. Nel 2014 le startup innovative sono cresciute del 36% rispetto all’anno precedente. E le società di capitale nel loro complesso sono aumentate in misura significativa. È cresciuto anche il numero delle donne imprenditrici che avviano una nuova società̀ di persone o di capitali, arrivando a toccare il 42% tra i nuovi imprenditori. Importante poi l’apporto dei giovani: oltre la metà dei nuovi imprenditori ha infatti meno di 35 anni. Infine oltre un terzo delle startup innovative registrate complessivamente presso le camere di commercio sono nate nel 2014.

Dunque che cosa manca? “Il problema dell’Italia sta nella testa delle persone”, ha detto Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup. Bicocchi ha insistito su due obiettivi. Il primo è passare in tre anni da un investimento complessivo in capitale di rischio pari a un miliardo di euro (oggi si aggira intorno ai 100 milioni). Il secondo obiettivo è – per usare le sue stesse parole – “fare innovative le grandi imprese e fare grandi le nuove imprese innovative”. Qualcuno obietta che arrivare a un miliardo di euro di investimenti in startup in qualche anno costituisce un obiettivo ambizioso. “Al contrario”, ha spiegato Bicocchi. “Si tratta di un sogno molto più realistico di quanto possiamo immaginare. I soldi non mancano, bisogna solo avere il coraggio di investirli”. A tutti l’invito ad associarsi ad Italia Startup: la quota individuale è gratuita e l’iscrizione può essere fatta direttamente sul sito Italiasartup.it.
D’altra parte per Fausta Pavesio, business angel italiana dell’anno, consulente e imprenditrice, “se tutti i top manager in pensione del nostro paese dedicassero anche solo una piccola parte del loro tempo e dei loro risparmi in startup faremmo già grandi passi avanti”. Pavesio ha cercato di rispondere alla domanda in un certo senso più difficile: perché un soggetto dotato di risorse dovrebbe investire in innovazione. Intanto per spirito di give back, ossia per la volontà di restituire alla comunità ciò che dalla comunità si è avuto in passato. “Poi – ha proseguito Pavesio – si investe in startup per una mera strategia di diversificazione del rischio finanziario, ma anche per l’opportunità di valorizzare le proprie esperienze manageriali e imprenditoriali, o magari per garantire il proprio sostegno al sistema paese e contribuire all’allineamento tecnologico con le nuove generazioni”.
Maurizio Maccarini, Professore di Marketing a CIM, ha spostato il discorso su un tema probabilmente più vicino alle sfide immediate dei numerosi studenti presenti. La comunicazione è una componente fondamentale in qualsiasi impresa di successo. “Ciò che differenzia una bella idea da un’impresa di successo – ha detto Maccarini – è il modo in cui questa viene comunicata. Imparare a comunicare è fondamentale se si vuole pensare di fare impresa”. E la comunicazione non va intesa solo come promozione del proprio progetto. La comunicazione è anche e soprattutto un fondamentale mezzo di lavoro interno del team. “La buona comunicazione esterna deriva da una buona comunicazione interna. Bisogna imparare a lavorare in team e comunicare bene per essere efficaci in quello che si fa”, ha concluso Maccarini.

Le domande degli studenti hanno reso il confronto ancora più vivo. Fabrizio Porrino, vice president di FacilityLive, pensa che contribuire alla costruzione di una società migliore dovrebbe costituire la migliore spinta per chiunque decida di fare impresa. “Non dovete pensare a come fare i soldi. Quelli sono solo un mezzo. Dovete pensare a come voi volete salvare il mondo. Noi proviamo a farlo con i big data. Voi come volete salvare il mondo?”

Qualcuno sta cercando di capire come si fa a lanciarsi, come si fa ad avere coraggio per diventare imprenditori e dedicare tutto quello che si ha al raggiungimento dei propri sogni, e lo ha chiesto agli ospiti in sala. “Il coraggio lo trovate dalla paura”, ha detto Marco Bicocchi. “Il primo bacio è coraggio, fare un figlio è coraggio. Non dovete avere paura di sognare in grande. Non fatevi dire da nessuno cosa potete o non potete fare. Fatelo e basta!”