Meet the Media Guru ha aperto il ciclo di incontri Future Ways of Living 2016 con John Thackara. L’autore ci ha raccontato la sua idea di futuro: ecosostenibilità, bioregioni e maggiore connessione con la Terra.
John Thackara ha una formazione da filosofo e dieci anni di esperienza da giornalista. Inglese, vive da anni nel sud della Francia e si definisce un narratore di professione. In pratica viaggia per il mondo per raccogliere testimonianze sul modo in cui le persone si stanno organizzando, dal basso, per costruire un futuro ecosostenibile.
Da trent’anni osserva la nascita di network e comunità in tutto il mondo, portandone testimonianza nei suoi libri, al Royal College of Art di Londra, alla Musashino Art University a Tokyo e sul suo blog, che è diventato un punto di riferimento per il tema dell’ecosostenibilità.
La ricerca di Thackara parte da una constatazione: il bisogno di energia e risorse naturali per l’uomo è aumentato moltissimo lungo l’arco della sua evoluzione.
I consumi insostenibili
Per soddisfare i propri bisogni un cittadino del primo mondo di oggi consuma sessanta volte la quantità di risorse di cui faceva uso un essere umano in epoca preistorica. Consumi che, si suppone, continueranno ad aumentare. Basti immaginare un futuro in cui anche gli abitanti del secondo e terzo mondo possano vivere con lo stesso livello di benessere materiale delle grandi metropoli occidentali.
Però solo un pazzo o un ignorante, sostiene Thackara, potrebbe progettare coscientemente una società in cui i consumi aumentano senza limiti, sordi alla sopportazione dell’ecosistema del pianeta. “È un problema di consapevolezza. Siamo arrivati a questa situazione a causa di una disconnessione con l’ambiente che ci circonda, una disconnessione fisica ed emotiva”, racconta al pubblico di Meet the Media Guru.
Ci sono però moltissimi segnali positivi dei tentativi di riconnessione con la Terra. Thackara li individua in piccole azioni di gruppo e le elenca minuziosamente: la coltivazione in proprio di prodotti biologici è una riconnessione col suolo, i movimenti di riforestazione – presenti dalla Scozia alla Cina – sono una riconnessione con le foreste, la filosofia maker e il nuovo amore per l’artigianato e il fai da te sono una riconnessione con gli oggetti. E continua parlando di come, in tutto il mondo, abitanti di città, paesi, campagne, entrano in contatto tra loro per progettare e scavare nuovi canali di scolo per la pioggia o argini di fiumi, creare delle reti WAN o scambiarsi idee su come rendere le abitazioni più ecosostenibili.
L’economia dipende dall’ambiente
Partendo da questa panoramica Thackara tratteggia la sua idea principale: non possiamo più dividere l’aspetto sociale della vita da quello ecologico, né da quello economico. Stimolare una maggiore empatia con l’ambiente e più connessioni con i luoghi e tra le persone è la via da percorrere per ridisegnare i rapporti tra questi tre aspetti.
In basso, sotto quel volto da cordiale sessantenne inglese, batte ancora il cuore di un giovane degli anni settanta. Lo sa, John Thackara, e ne sorride quando ci parla di come la salute dell’ambiente sia la nostra stessa salute, del fatto che è un bene comune e quindi un valore condiviso. “La cura dell’ambiente è creazione di valore”, dice, e arriva a parlare di economia.
“Bisogna riconsiderare da capo l’amministrazione economica, innestandovi la consapevolezza che gli esseri umani vivono all’interno di grandi ecosistemi, basati sulla produzione e il consumo delle risorse naturali”. Thackara Le chiama bioregioni.
Le bioregioni e i network della natura
Una bioregione è un’area il cui confine è definito da elementi geografici, come fiumi, montagne o laghi, e da fattori ambientali, come la composizione chimica del terreno o le relazioni ecologiche tra flora e fauna. È un’idea di suddivisione territoriale che nasce fra i gruppi ambientalisti californiani degli anni ’70, ancora oggi sostenuta da vari movimenti verdi, specialmente negli USA, ma mai istituzionalizzata.
Thackara trova nelle bioregioni non solo lo strumento ideale per migliorare la gestione delle risorse naturali, che – sottolinea ancora – rappresentano le radici dell’economia, ma anche la struttura su cui ridisegnare le filiere di produzione e distribuzione. L’idea è che le reti di connessioni costruite dall’uomo dovrebbero nascere sul solco dei network fisico-biologici presenti in natura. Un esempio è quello delle filiere di prodotti a chilometro zero, facilmente tracciabili e di gran lunga più sostenibili rispetto agli alimenti spostati in container da un capo all’altro del mondo.
Ma ci elenca tanti altri esempi che rientrano nello stesso paradigma economico-ecologico-sociale: sharing economy, circular economy, cultura peer to peer, local money, transition towns, hackers e makers. In ciascuno di questi casi è presente la stessa mentalità interconnettiva, la stessa necessità di ristrutturare il rapporto tra individui e tra l’uomo e lo spazio che abita.
Quando arriva il momento delle domande, qualcuno chiede come si possa organizzare questo cambiamento e chi dovrebbe farsi carico di gestirlo e orientarlo.
“Nessuno”, risponde John Thackara. “È sbagliato pensare che ci sia un sistema standard che vada bene ovunque: in ogni parte del mondo deve svilupparsi un modello diverso e specifico per affrontare i problemi locali”.
Così conclude, lasciandomi addosso la sensazione che vi siano molte più persone rispettose della Terra di quanto non siamo abituati a pensare.