Fra le personalità che ragionano sul futuro dell’educazione nella società contemporanea, Ken Robinson è senza dubbio una delle più brillanti a livello internazionale. Autore di best seller sul mondo dell’istruzione e della formazione, consulente di governi in Europa, Asia e Stati Uniti, Robinson ha una salda convinzione: i sistemi scolastici di tutto il mondo stanno andando nella direzione sbagliata.

Ospite di TEC, la scuola di formazione del gruppo Bosch, lo studioso britannico è venuto in Italia nei giorni scorsi a raccontare la propria visione e a mettere in discussione qualche luogo comune. Il punto di partenza della sua analisi è un apparente paradosso. Se da un lato l’educazione è riconosciuta come una leva cruciale per progettare il nostro futuro, dall’altro lato le istituzioni non si sono finora dimostrate in grado di ripensarla in modo coerente con le sfide che la attendono. In questo senso aveva ragione il grande scrittore di fantascienza Herbert Wells, secondo il quale la civiltà è diventata ormai una gara immane fra educazione e catastrofe.

I nostri figli vivono in un mondo di ineguagliata complessità. Tale complessità è aumentata in misura esponenziale nell’ultimo secolo insieme ai fattori che concorrono ad alimentarla: la crescita demografica e lo sviluppo tecnologico. Questo secondo fattore, in particolare, ha un ruolo cruciale, dal momento che le conseguenze delle tecnologie non sono mai del tutto prevedibili. Ecco perché le sfide cognitive per le nuove generazioni sono senza precedenti. L’educazione è lo strumento con cui possiamo e dobbiamo affrontare tali sfide.

Chiamiamola pure crisi. Anzi, secondo Robinson quella dell’educazione è l’“altra” crisi climatica, nel senso che è destinata ad avere un impatto enorme sul futuro dell’umanità: un impatto non inferiore a quello causato dal riscaldamento globale e dai conseguenti sconvolgimenti atmosferici. Non è un caso che i maggiori paesi del mondo siano impegnati nella riforma dei loro sistemi educativi. Il punto, secondo Robinson, è che i principi su cui si basano tali riforme sono sbagliati.

L’errore principale consiste nella ricerca della standardizzazione, la quale è nemica della creatività. E un efficace sistema educativo che non faccia leva sulla creatività dei singoli non può esistere. L’educazione basata sul principio della linearità, uniformità e misurabilità della performance fallisce i propri obiettivi. Per Robinson ai modelli standardizzati e accademici deve sostituirsi un approccio basato sulla personalizzazione, l’incontro con l’inatteso e il desiderio individuale. “Dobbiamo educare i nostri giovani – afferma lo studioso britannico – senza pretendere di pianificare il corso delle loro vite”.

Peraltro la creatività ha a che fare con la tecnologia. Le tecnologie digitali, poi, interagiscono in modo peculiare con i nostri processi creativi, dal momento che estendono le capacità della nostra mente e quindi la nostra immaginazione. Ciò significa che, nell’ambito dell’educazione in senso lato, assume un’importanza particolare l’educazione all’uso delle tecnologie digitali. Questa non va intesa tanto come formazione tecnica, quanto come accrescimento della consapevolezza tecnologica.

Un bell’esempio di interazione fra processi educativi e nuove tecnologie? Robinson cita il caso di Minddrive Social Fuel, un’iniziativa promossa negli Stati Uniti per contrastare la dispersione scolastica. Scopo del progetto è stimolare il pensiero critico e l’autoconsapevolezza di giovani a rischio di drop-out attraverso il loro coinvolgimento diretto in attività ad alto impatto. In più Minddrive Social Fuel fa leva sui meccanismi virali e la massa critica della Rete. Ecco dunque un gruppo di ragazzi che costruiscono una vettura elettrica alimentata dalle condivisioni online: l’energia dei social media si trasforma in forza motrice, abbastanza da portare i giovani protagonisti del progetto da Kansas City fino a Washington D.C.

MindDrive Social Fuel Tour from Young & Rubicam Group on Vimeo.

Qual è dunque lo scopo dell’educazione, oggi? Robinson identifica quattro dimensioni-obiettivo, sulle quali lavorare. Vi è una dimensione materiale, che consiste nel rendere gli individui economicamente responsabili e indipendenti. Sul piano culturale si tratta invece di educare i giovani a comprendere e apprezzare la loro cultura, ma anche a rispettare la diversità delle altre. Dal punto di vista sociale, l’obiettivo è educare a diventare cittadini attivi e compassionevoli. Infine esiste una prospettiva personale dell’educazione, che lavora sulla capacità di interagire con il proprio mondo interiore e con il mondo circostante.

È una sfida che ci riguarda da vicino. Anche in Italia il sistema educativo ha bisogno di essere ripensato con il contributo di tutti: istituzioni, privati e imprese. Nel nostro paese la dispersione scolastica raggiunge livelli del 17%. Ciò si traduce nel fatto che, in questo momento, quattro milioni di giovani hanno rinunciato a formarsi ma non hanno trovato lavoro. E la disoccupazione giovanile resta al livello record del 43%.

Ben vengano dunque iniziative come Allenarsi per il futuro, promossa da Bosch Italia per integrare meglio la scuola e l’esperienza lavorativa in azienda. Si tratta di un programma ambizioso, nell’ambito del quale Bosch ha finora incontrato 28mila studenti di 141 scuole secondarie in tutta Italia, offrendo 280 tirocini.

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