La sicurezza nelle automobili connesse rimane una delle principali preoccupazioni delle case produttrici.

Luglio 2015 – Andy Greenberg stava per fare un’esperienza che avrebbe messo a dura prova il suo autocontrollo e la sua sicurezza:

«Stavo guidando a 70 mph nella periferia di St. Louis quando, sebbene non avessi toccato il cruscotto, le ventole nella Jeep Cherokee iniziarono a sparare aria fredda al massimo, gelandomi il sudore della schiena attraverso il sistema di controllo climatico interno del sedile. Poco dopo la radio si sintonizzò da sola sulla stazione hip hop locale e iniziò a strimpellare Skee-lo al massimo volume. Girai la manopola di controllo, schiacciai il tasto di spegnimento, invano. Poi i tergicristalli si attivarono, e il liquido detergente iniziò a spargersi sul parabrezza…».

Ma era solo l’inizio: l’acceleratore smise di funzionare, la Jeep rallentava fino al passo d’uomo mentre il contagiri saliva assurdamente mostrando numeri irreali.

I ricercatori di sicurezza nelle auto miller e valasek
Charlie Miller e Chris Valasek all’opera

Tuttavia, per quanto terrorizzante, il comportamento della Jeep non era del tutto inatteso. Greenberg stava facendo da “cavia” volontaria a un esperimento di car hacking di Charlie Miller e Chris Valasek, comodamente seduti sul divano a diversi chilometri di distanza. I due hanno guadagnato notorietà nella comunità internazionale per le loro ricerche sulla sicurezza nel campo automotive, rivelando una serie di vulnerabilità in diverse tipologie di automobili collegate a Internet, ricerche che hanno valso a entrambi l’assunzione nell’Advanced Technology Center di Uber (Miller si è recentemente spostato nell’omologo centro ricerche in Didi Chuxing).

Sebbene entrambi ora lavorino alacremente per rendere sicure le automobili driverless nelle rispettive compagnie, in una recente intervista allo stesso Greenberg Miller avverte che «le automobili autonome sono all’apice di tutte le cose terribili che potrebbero andare storte».

Diffusione

Le smart car stanno prendendo sempre più piede. Dal 2018 le nuove auto dovranno essere dotate almeno di ecall per legge.

Le auto driverless sono previste sul mercato a partire dal 2020 (NVIDIA ha annunciato auto di livello 4 addirittura per il prossimo anno), e secondo un rapporto recente di Gartner, il numero di auto connesse (autonome o meno) dovrebbe aumentare dai circa 12 milioni dello scorso anno agli oltre 60 milioni nel 2020, prevedendo un’esplosione della domanda di servizi contestuali (riconoscimento immagini, geolocazione, realtà aumentata…), e nello sviluppo di innovazioni in tutta la catena dell’indotto.

Con la crescita del livello di automazione delle auto crescerà anche l’introduzione di sensori sempre più sofisticati, i quali genereranno via via un’esplosione di dati mai vista prima, i quali a loro volta richiederanno livelli di connettività sempre maggiori (Freescale per esempio ha rilasciato SABRE, un chipset in grado di fornire connettività per Auto Infotainment a 1,5 Gb/s).

C’è da preoccuparsi davvero? Districarsi tra cassandrismo e superficialità

Tutta questa connettività sta attirando l’attenzione sempre maggiore di hacker interessati ai dati sensibili che circoleranno, portando persino FBI e National Highway Traffic Safety Administration ad emettere un comunicato dove avvertono del rischio di attacchi al CAN-BUS dell’automobile.

La sicurezza è un problema fondamentale nelle auto connesse, che siano driverless o meno, problema che viene ancora oggi trattato in modo piuttosto controverso, da articoli intitolati “Car hacking is the future – and sooner or later you’ll be hit”, dove si citano diversi esperimenti e tecniche di hacking come prova dell’ineluttabilità di questo genere di compromissioni, ad altri come quello di David Pogue, dove addirittura su Scientific American distorce in maniera non troppo onesta annuncia che “a dispetto di alcune recenti dichiarazioni la vostra auto non verrà compromessa dagli hacker” (l’editore ha successivamente aggiunto una nota a pie’ di pagina dove spiega che l’articolo è stato aggiustato per correggere alcune “imprecisioni”, che di fatto però erano le principali prove a sostegno della tesi).

Purtroppo questo genere di controversie finisca spesso col generare confusione, rischiando nel peggiore dei casi di seppellire il problema sotto una cortina di rumore. Occorrerà essere consapevoli dei rischi, dalla salvaguardia dei dati sensibili all’incolumità fisica che questo genere di automazione comporterà.