Le imprese coesive: come creare valore non solo economico

da | Set 20, 2021

Le imprese coesive sono quelle che creano valore non solo economico. Ciò avviene intessendo relazioni sia con i dipendenti sia con i portatori di interessi esterni, in un continuo dialogo e scambio di idee. Anche il territorio assume importanza, diventando uno degli asset intangibili di cui l’azienda può vantarsi.

I cambiamenti e la coesione

I cambiamenti climatici, sociali ed economici che si susseguono in modo sempre più drammatico hanno contribuito negli ultimi anni alla creazione di comunità che condividono idee, informazioni, esperienze e valori. E ciò è stato fondamentale per affrontare la lotta al Covid-19. Una grande risultato di questa cooperazione sono i vaccini contro il coronavirus, realizzati in poco più di un anno. Merito della collaborazione di ricercatori che hanno lavorato per un obiettivo comune e che hanno condiviso su piattaforme online ricerche e studi prima che fossero pubblicati ufficialmente.

Con questa determinazione l’Unione Europea si sta impegnando a combattere la crisi sanitaria a livello comunitario. Ha infatti indirizzato le risorse del Next Generation EU e del bilancio comunitario 2021-2027 per mettere in sicurezza le comunità e rilanciare l’economia, puntando sul rapporto tra coesione-inclusione, transizione verde e digitale, con l’obiettivo di eliminare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 e di creare un’economia che non lasci indietro nessuno. Creando così un’economia fondata sulla coesione.

Le statistiche dell’ILO mostrano che nel 2020 oltre 114 milioni di persone sono state licenziate. Di queste, un milione nel nostro paese. «In questo contesto la coesione rappresenta per le imprese un’occasione per accrescere il senso di appartenenza e soddisfazione di vita dei propri dipendenti (nel 2020 le erogazioni di welfare sulla base di contrattazione sindacale sono cresciute del 19,5%) per rafforzare le relazioni di filiera ma anche per competere in un mercato che premia sempre di più gli atteggiamenti virtuosi» si legge in Coesione è Competizione. Nuove geografie della produzione del valore in Italia 2021 della Fondazione Symbola.

La coesione è ricchezza

Aumenta infatti la fiducia nei confronti di aziende che dimostrano attenzione alla dimensione sociale e ambientale. Questo è dimostrato dagli investimenti che vengono fatti in questo tipo di aziende ma anche dai consumatori stessi. Infatti vengono scelti sempre più consapevolmente prodotti rispettosi dell’uomo e dell’ambiente e talvolta, con il crowdfunding, vengono supportate aziende più sostenibili.

Coesione e sostenibilità diventano sempre di più sinonimi di qualità. Due italiani su tre sono disposti a riconoscere alle imprese che hanno atteggiamenti coesivi un premium price sui prodotti e servizi offerti. Un differenziale di prezzo che in media è del 10% in più a favore delle imprese coesive.

Le imprese coesive: cosa sono?

Le imprese coesive sono imprese che valorizzano il dialogo interno verso i dipendenti e quello esterno verso molteplici attori tra cui imprese, amministrazioni locali, scuole, università, cluster, sistema bancario e mondo associativo. Si tratta di aziende che credono nel valore dei territori in cui avviene la produzione e che in questi investono creando rapporti fiduciari con le istituzioni, il sistema del credito, le comunità, i cittadini.

Sono aziende che prendono parte a investimenti e progettualità che hanno come obiettivo l’aumento del benessere sia dei dipendenti sia delle comunità territoriali. Promuovono progetti e attività nei campi della cultura, del sociale o dello sport. Questo significa essere oggi un’impresa coesiva: operare per creare un valore sostenibile ancorando il profitto ad un’idea di crescita e ricavo che guardi al lungo periodo, rifiutando approcci speculativi ed estrattivi miranti ad un guadagno immediato, e superando la tradizionale dicotomia che ritiene incompatibile la coesione con la competitività fine a sé stessa.

Nuovi modelli di business

È necessario orientarsi verso modelli di business più adattivi e flessibili. E la pandemia lo ha reso ancora più chiaro. Allo stesso tempo è emerso il valore di comunità attive capaci di far collaborare persone, istituzioni, imprese, associazioni di categoria, sindacati per sviluppare soluzioni nel modo più rapido possibile. Ma la crisi ha accelerato anche la trasformazione dei progetti in campo, selezionando nuovi modi di fare pubblica amministrazione, impresa e terzo settore.

Le trasformazioni più importanti riguardano le forme di partecipazione dei cittadini. Nascono quelle che Ezio Manzini ha definito “comunità ibride di luogo”. Esse rappresentano «insiemi di persone in contatto tra di loro nel mondo fisico e in quello virtuale, che condividono l’attenzione per il luogo e che, proprio per la loro natura ibrida e radicata, possono operare come comunità resilienti». Grazie a questa organizzazione i cittadini stessi diventano protagonisti e promotori della co-pianificazione. Ma anche della co-progettazione o co-management valorizzando conoscenze e risorse di cui l’amministrazione non potrebbe mai disporre. Sempre i cittadini si rendono attivi per le politiche del quotidiano. Creano così «società flessibili, aperte, inclusive e, per questo, socialmente sostenibili» come viene raccontato nello studio di Fondazione Symbola.

Ma i cittadini sono anche consumatori. E, al giorno d’oggi, il consumatore è partecipe alle scelte produttive inizialmente come testimonial ma diventa anche finanziatore ed azionista. Quindi il consumatore non aspetta passivamente di comprare i prodotti, ma partecipa direttamente alle scelte ed ai modi di produzione.  

Il risultato è la convergenza di logiche profit e non profit, che danno luogo a combinazioni ibride. Queste nuove società uniscono principi sociali e logiche imprenditoriali e si dedicano ad attività che si definiscono intenzionalmente sociali. Degli esempi sono le SIAVS e le società benefit, che affiancano agli obiettivi economici quelli sociali ed ambientali, tutti e tre previsti dallo statuto.

La governance e le imprese coesive

La nascita di nuove forme di cooperazione tra i vari soggetti pubblici, imprese, banche e terzo settore e cittadini rendono necessari sistemi di governo tipici delle comunità. Un esempio è la “governance sperimentale”, concetto elaborato da Charles Sabel. Si tratta di una forma «democratico-decisionale dove le istituzioni centrali attribuiscono autonomia ai vari attori in campo, per perseguire scopi generali espliciti che saranno monitorati e continuamente rivisti in base ai riscontri raccolti». La “governance sperimentale”può dunque essere intesa come uno strumento per individuare soluzioni a partire dal confronto tra pratiche differenti messe in atto da soggetti diversi e in contesti differenti ma con obiettivi simili.

Questo aumento di complessità dei contesti socio-economici rende necessario il coinvolgimento e l’ascolto di tutti gli attori coinvolti nella definizione di progetti. Ma anche nell’individuazione dei bisogni e nella generazione di beni e servizi sino ad arrivare al loro consumo. Allo stesso tempo viene continuamente aggiornato quanto è stato realizzato, grazie ai contributi raccolti dall’interazione con soggetti diversi. Questo è l’approccio tipico delle imprese coesive.

Le relazioni nelle imprese coesive

Aumentano le aziende che mettono al centro del loro modus operandi lo sviluppo e il mantenimento delle relazioni. Questo è metodo utilizzato dalle imprese per individuare i segnali provenienti dal mercato, per accrescere i valori tangibili ed intangibili che da quei territori arrivano e per dare nuovi significati ai prodotti e ai servizi offerti. Ma anche per rendere circolari le proprie filiere, per rendere protagonisti attivi del processo di innovazione ogni singolo dipendente e collaboratore, tutti i fornitori e gli stakeholder interni ed esterni ed i consumatori chiamati a contribuire concretamente al miglioramento continuo del prodotto e dei servizi offerti dal  mercato.

«Le imprese coesive sono aziende in grado di rendere la relazione fattore produttivo e generare valore condiviso. Sono quindi imprese più attrezzate ad interpretare i cambiamenti in atto» si legge nello studio di Fondazione Symbola.

Da luoghi a spazi

Il luogo di produzione definisce l’identità di un marchio e di un prodotto. Le aziende stanno cominciando a comunicare il loro valore attraverso le tradizioni economiche, produttive e culturali dei propri territori. Per questo motivo lo spazio della produzione comincia ad essere messo in primo piano. È quello che è accaduto nel mondo agroalimentare in cui i luoghi di produzione sono sinonimo di qualità, tracciabilità e certificazioni. Anche nel settore della moda si è diffuso questo fenomeno. Alcuni dei grandi marchi hanno definito la propria città o territorio di elezione. Per questi si impegnano nella promozione o nel sostegno di attività culturali. Lo spazio quindi non indica solo la provenienza ma il valore tangibile ed intangibile del prodotto e del suo marchio. Quindi non può esistere prodotto senza territorio, e non ci può essere territorio senza i suoi prodotto.

È la dimensione relazionale che permette di legare insieme i vari piani – economico, ambientale e sociale. Si passa così da un fare impresa legato esclusivamente agli spazi della produzione ad un fare impresa che costruisce legami e ripensa il proprio agire a partire dal riferimento ai luoghi. Ancora una volta è la dimensione comunitaria a fungere spesso da motore per la realizzazione di un’innovazione che garantisce una competitività alle aziende.

La rilevanza che ha assunto il territorio permette di comprendere le scelte, di invertire la tendenza alla delocalizzazione, investendo in luoghi portatori di know- how, tradizione e esperienza.

Si crea così un’interconnessione profonda tra imprese, comunità e luoghi, per cui ciò che accade alle prime ha ripercussioni sugli altri e viceversa.

Dal valore economico all’economia del valore

Il valore dell’impresa viene definito sempre di più attraverso asset intangibili come il capitale umano, i modelli organizzativi ma anche la qualità delle relazioni che l’impresa intrattiene con i suoi stakeholder. Uno studio di Brand Finance stima che gli asset intangibili hanno un valore pari al 76% di tutto il valore d’impresa delle società quotate in USA ed al 51% di quelle quotate in Europa.

Sono in crescita, sia in Italia che all’estero, le banche che finanziano progetti con l’obiettivo di massimizzare l’impatto sociale o ambientale piuttosto che economico. E questo è sicuramente molto importante in tempi di pandemia. Un esempio è banca Prossima, divisione Impact del Gruppo Sanpaolo.

«Comportamenti etici, difesa dei diritti, qualità delle relazioni e capacità di entrare in sintonia con le diverse comunità a cui partecipa l’impresa, quella dei dipendenti, quella produttiva delle proprie catene del valore, quelle territoriali possono avere oggi un valore di mercato e diventano un asset premiante nell’accesso al mercato dei capitali» viene raccontato dalla Fondazione Symbola.

Si legge dello studio già citato: «Dal 2015 a oggi le attività gestite dai fondi d’investimento ESG sono aumentate a livello globale di oltre il 170%. Da gennaio a ottobre 2020 in Europa questa categoria di fondi ha registrato afflussi netti di risparmio per oltre 150 miliardi di euro, l’80% in più rispetto all’analogo periodo del 2019, tendenza che secondo una recente indagine condotta da Black Rock è destinata a proseguire». Studi recenti dimostrano infatti che, a parità di altri fattori concomitanti, il rapporto prezzo/ utili di imprese con elevata reputazione di sostenibilità sociale e ambientale è mediamente superiore a quello delle imprese che hanno una reputazione sociale e ambientale più bassa.

Da addetto ad associato

La coesione ha un impatto diretto anche sulle relazioni tra impresa e dipendenti. Il lavoro non è più visto come un diritto, ma come un bisogno identitario insopprimibile della persona, con cui sviluppare a pieno le proprie capacità. E questo ha come conseguenza il superamento dell’organizzazione basata sulla rigida divisione e specializzazione fra chi dirige e chi esegue. Tale superamento implica un passaggio da un approccio di leadership a quello di communityship. Quest’ultima è una forma di leadership che si fonda su un’idea di management impegnato e diffuso.

Aumenta così la flessibilità dell’azienda e la rapidità nella creazione di risposte efficaci di fronte a nuove sfide o criticità. In questa nuova forma di relazione cresce la capacità espressiva del lavoratore che diventa co-decisore o associato. Il welfare aziendale rappresenta l’evoluzione di questo rapporto. Non si tratta solo di benefit scelti dall’azienda ma è l’occasione per una conoscenza più profonda dei lavoratori attraverso l’ascolto dei loro bisogni. In questo modo vengono realizzati servizi co-progettati.

Un’azienda solida al giorno d’oggi riesce a bilanciare leadership, capacità di gestire le comunità communityship e citizenship ovvero la capacità di pensarsi come un’unica comunità.

Il valore intangibile creato dall’evoluzione della relazione tra impresa e lavoratore simboleggia la premessa per il passaggio da un’azienda che si limita a creare e distribuire prodotti ad una che vuole costruire comunità in grado di creare valore per tutti, anche economico.

Non c’è solo la convenienza economica

L’interruzione delle relazioni dovute alla pandemia ha messo in evidenza la fragilità delle catene del valore lineari ma anche il valore e la resilienza di filiere più corte e compatte tenute insieme non solo dalla convenienza economica. 

Sono rinate le comunità produttive compatte, costruite su partnership collaborative e strategiche in cui si condividono valori, strategie e conoscenze. In questo modo si accresce il valore delle singole imprese ma, allo stesso tempo,  aumenta il valore complessivo di tutta la filiera con effetti positivi su prodotti, servizi e processi.

Da close a open innovation

L’aumento della produzione di beni immateriali, le nuove modalità di organizzazione del lavoro e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti hanno avuto come conseguenza un necessario coinvolgimento di competenze in tutti i segmenti dell’economia. Le grandi aziende hanno cominciato per prime ad attingere da idee nate da dipendenti, collaboratori, fornitori, ricercatori o start-up. Grazie a questa nuova strategia si può usufruire di tanta conoscenza non valorizzata prima. Si riducono così i tempi tra la fase di ideazione di beni e servizi e la loro commercializzazione. Questo nuovo sistema richiede un cambio di mentalità da parte delle aziende che devono diventare aperte, trasparenti, attrattive e capaci di dare valore a queste comunità.

Crescono così le partnership e le collaborazioni con le università, con i centri di ricerca o gruppi di ricercatori. A questi si aggiungono le diverse forme di collaborazione delle imprese all’interno dei distretti industriali e dei poli dell’innovazione. Ciò permette alle imprese che ne fanno parte di scambiare conoscenze e individuare sempre più rapidamente i cambiamenti che avvengono.

Un dialogo continuo con soggetti esterni diventa quindi fondamentale per l’individuazione delle conoscenze utili alla produzione. Si tratta quindi di un’apertura sotto tutti i punti di vista, nei modelli di business, nello stile di leadership, nel clima e nella cultura aziendale.

La conoscenza diventa così un bene di tutta la comunità aziendale con ricadute positive anche sulla competitività.

Un recente studio sulle aziende che adottano allo stesso tempo pratiche di open innovation e pratiche virtuose di gestione del personale ha dimostrato come le aziende coesive abbiano un livello di profittabilità (ROCE) quasi doppio rispetto a quello delle altre imprese. Questo «perché accogliere stimoli, domande, critiche esterne aiutano a migliorare nel tempo il funzionamento dell’impresa e le sue performance.»

Imprese coesive, dati alla mano

Il processo di identificazione delle imprese coesive si basa su un campione di 3000 PMI tra i 5 e i 499 addetti. A questo campione è stato applicato un indicatore sintetico di coesività  con l’obiettivo di misurare le relazioni tra le imprese ed i soggetti individuati: lavoratori, altre imprese, istituzioni, scuole e università, sistema bancario. Le aziende, quindi, sono definite tanto più coesive quanto maggiore è la varietà di rapporti che intessono con gli soggetti.

Nel 2020 il numero di imprese coesive è aumentato. E questa è una delle conseguenze del Covid-19. Per analizzare questo trend sono state identificate 1.000 imprese in comune tra la rilevazione del 2019 e 2020, alle quali sono stati posti gli stessi quesiti nei due anni analizzati. Quello che emerge è che è aumentata l’attenzione delle imprese nei confronti dei lavoratori, della loro salute e del loro benessere.

La dimensione delle aziende coesive sembra crescere nel tempo. Il 29% di queste imprese è rappresentato da microimprese (tra 5 e 9 addetti), il 41% da imprese con addetti da 10 a 49, il 66% dalla fascia 50-249 addetti, per arrivare al 71% delle aziende più grandi (tra 250 a 499). Si può notare come al crescere delle dimensioni aziendali cresca l’intensità delle relazioni con i vari stakeholder.

Le imprese coesive sembrano essere le aziende che nel 2021 si sono riprese maggiormente. Infatti queste aziende hanno subito una riduzione di fatturato minore rispetto alle imprese non coesive.

Emerge inoltre che le imprese con un valore maggiore dell’indice di coesività hanno una maggiore apertura verso i mercati esteri. Le imprese coesive esportano di più che le imprese non coesive (58% contro 39%).

Coesione è anche sinonimo di qualità. È infatti maggiore la percentuale delle imprese coesive che puntano sulla qualità rispetto a quelle non coesive – 58% contro 46%.

Altre informazione sulle aziende coesive

Le imprese coesive risultano più green oriented. La quota di aziende che ha investito in sostenibilità aziendale è maggiore nelle imprese coesive (il 39% delle imprese coesive contro il 19% delle imprese non coesive). Inoltre il numero di imprese che prevedono di investire in processi di risparmio energetico, idrico e/o minor impatto ambientale è maggiore nel caso delle imprese coesive (26% delle imprese coesive contro 12% delle imprese non coesive).

Nelle imprese coesive è inoltre maggiore la capacità di rapportarsi con il mondo della cultura. Queste aziende vantano anche una maggiore imprenditorialità giovanile: 14% contro il 9%.

La presenza femminile all’interno del management è cresciuto negli ultimi cinque anni più del doppio di quella maschile (7,2% contro 3,5%). Inoltre le imprese con presenza sia maschile che femminile nella proprietà, a prescindere dal genere in maggioranza, dichiarano più frequentemente di ritornare ai livelli pre-Covid-19, già nel 2021, rispetto alle imprese con esclusiva proprietà di un solo genere.

Le imprese coesive sul territorio italiano

L’indicatore sintetico di coesività a livello regionale evidenzia una distribuzione delle imprese coesive piuttosto eterogenea. Il 70% delle imprese coesive è localizzato al Nord, mentre oltre il 50% è incentrato in tre regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Tuttavia se analizziamo la presenza delle imprese coesive nelle regioni italiane in termini relativi, rapportando quindi la numerosità delle imprese coesive sul totale delle imprese manifatturiere, emerge come le regioni con una quota superiore di queste imprese sono tutte al nord, solo due appartengono al sud. Infatti le regioni che perfomano meglio in questi termini sono Trentino-Alto Adige seguito da Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta.

Beatrice Mingazzini
Beatrice Mingazzini
Laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione, è specializzata in design e moda. Appassionata del viaggio on the road, sempre alla scoperta di qualcosa di nuovo, nel tempo libero le piace sperimentare tecniche di pittura.

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