Trasformare la maternità (o paternità) in un master formativo per l’acquisizione e l’accrescimento delle soft skill. L’intuizione di Riccarda Zezza e della startup Life Based Value. Una boccata di ossigeno in un paese vecchio, non solo demograficamente.

Soltanto in Italia, ogni anno, le aziende spendono più di un miliardo di euro in master e corsi per formare e allenare le cosiddette soft skill. Collaboratori e dipendenti si assentano per dedicare parte del loro tempo lavorativo a lezioni e programmi didattici volti all’accrescimento di queste competenze. Pochi pensano, ormai, che il tempo dedicato alla formazione sia sprecato o possa costituire una criticità. Riscoprendo forse l’acqua calda, la letteratura scientifica dimostra come più la pratica delle competenze è intensa e quotidiana – e diversificata (nel senso che non viene svolta esclusivamente in ambito lavorativo)  – tanto maggiori sono i benefici in termini di acquisizione e sviluppo delle stesse.

Eppure, se da una parte l’assenza anche prolungata per scopi formativi non è vista come un problema – anzi, spesso viene incentivata dalla aziende nell’ottica di accumulare e poter in seguito vantare titoli e certificazioni  (chi più ne ha più ne metta) – lo diviene, pesantemente e per assurdo, proprio quando il potenziale formativo e la finestra di sviluppo e di crescita di queste competenze sarebbero massimi (o comunque molto elevati).

Mi riferisco ovviamente al periodo della maternità (o paternità). Fior di studi in ambito neuroscientifico relativi alle scienze comportamentali provano come la genitorialità sia una delle migliori palestre in cui allenare e rafforzare tutta una serie di soft skill. Le stesse per cui le aziende sborsano un mucchio di soldi; le stesse per cui vengono costruiti percorsi formativi ad artem. Chi è scettico o prevenuto dia un occhio a questo libro.

Ora, l’intuizione sottesa al progetto di Maam (maternity as a master) è proprio questa: un master formativo per l’acquisizione di una determinata serie di competenze trasversali richiede un periodo di assenza dal lavoro. Come abbiamo visto in media ciò non implica alcun problema. Da parte sua la maternità (o paternità) genera anch’essa soft skill. Lo fa entro i limiti di una circostanza naturale (la nascita di una figlio) ed equivale quindi, perlomeno in termini di risultati e benefici, a un vero e proprio percorso formativo. Potremmo dire, allora, che la maternità è un master.

«Putroppo ancora oggi le aziende percepiscono la maternità e l’assenza lavorativa che ne consegue come un grosso problema», spiega Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value. «La tua azienda incomincia a vivere l’esperienza della maternità (o, di nuovo, della paternità) come un problema, ben prima che tu dimostri il contrario». Life Based Value è una startup innovativa che ha ideato e concepito il programma Maam, con l’obiettivo di trasformare tutto ciò in un’opportunità.

Riccarda ha lavorato per quindici anni in grandi aziende (Pirelli, Microsoft, Nokia), facendo la classica carriera da responsabile della comunicazione e ricoprendo ruoli di respiro internazionale. «Lungo il corso di questa carriera ho visto come in certe situazioni la diversità di sesso, ma non solo, comportasse di fatto complicazioni: essere napoletana a Milano, italiana in Finlandia, femmina in una sala riunioni con soli uomini. Fin qui, tutto sommato, vai avanti.»

In concomitanza con la nascita del secondo figlio, e quindi di fronte ai muri e agli ostacoli che ha dovuto affrontare nel corso di questa seconda maternità, Riccarda incomincia a prendere seriamente in considerazione la questione. «Mi sono guardata intorno e ho scoperto quanto questo della maternità fosse veramente un problema. A livello mondiale la nascita di un figlio ha un impatto sull’organizzazione del lavoro enorme, con costi altissimi per le aziende e per le persone. E col grande tema, poi, che l’occupazione femminile non sale e che le donne hanno stipendi più bassi fin dalla prima assunzione.»

Un problema che si trascina da trent’anni e che anzi si aggrava perché ci sono sempre più donne che lavorano. «Il ciclo di vita nel mondo del lavoro continua a essere concepito come lineare. L’interruzione, quindi, continua a essere crisi. C’è chiaramente un’inefficienza nel sistema. Da una parte infatti la società è cambiata: con le donne, la natalità è entrata a pieno titolo nel mondo del lavoro. Dall’altra quel mondo del lavoro non è cambiato. Il che significa che il nuovo viene visto come un’anomalia, una situazione di spreco che consuma risorse.»

Maam

Maam nasce come un metodo formativo. «Ho cominciato a lavorare alla teoria di Maam nel 2012, insieme ad Andrea Vitullo, executive coach. Abbiamo fatto un anno di ricerca, raccolta e documentata nel libro Maam: la maternità è un master che rende più forti uomini e donne (BUR, 2014).

Nel 2013 abbiamo incominciato a fare workshop nelle aziende. Il tema era: prendersi cura di qualcuno quotidianamente e costantemente. I workshop dimostravano che se tu consenti alle persone di attivare la capacità di trasportare alcune competenze da un ambito della vita all’altro, le competenze a disposizione delle persone crescono. Dopo aver fatto un paio di anni di workshop, quindi, ci siamo resi conto che il metodo funzionava e che ce n’era davvero bisogno – in Italia e non solo.»

Come fare però ad essere più capillari, più accessibili e più puntuali?  «Abbiamo trasformato Maam in un percorso digitale, quello che la startup innovativa Life Based Value oggi vende a diverse aziende.» Si tratta una piattaforma digitale che trasforma la nascita di un figlio in una palestra di competenze soft. Un vero e proprio master.

Per assurdo che sia, Maam ha il grande problema di essere estremamente innovativo. E il problema dell’innovazione è che, in quanto novità, presentandosi come qualcosa di informe e di non classificato, crea apprensione e confusione. Quando regole e leggi già vigenti cercano di comprendere questa informità che non ha precedenti e su cui non è ancora stato legiferato alcunché, spesso vanno i in tilt. Addirittura, non è strano che vengano a trasformarsi in un impedimento. Ciò che non è ancora stato codificato e sistematizzato, infatti, mette paura. Specialmente nel mondo del lavoro, per sua natura statico e storicamente tradizionalista.

«Come con tutte le vere innovazioni, quando all’inizio portavamo Maam dalle aziende ci trovavamo di fronte a muri di scetticismo o diffidenza. Cos’è? A che bisogno risponde? Che budget richiede? È welfare? È formazione?». Eppure, nonostante tutto, in due anni venticinque aziende hanno comprato questo programma. «Il che significa che stiamo rispondendo a un bisogno molto forte. Le donne e future mamme che conoscono Maam e si presentano a un colloquio di lavoro oggi dicono: ho in programma di fare un paio di master.»

Come funziona

Si paga un’iscrizione annuale. Ogni azienda così iscritta viene inclusa in un programma che comprende accessi illimitati alla piattaforma digitale di Maam. Su base volontaria, i dipendenti che rientrano nelle categorie target (quindi donne in maternità, neo-mamme e neo-papà con figli fino a tre anni di età) accedono a un percorso individuale focalizzato su dodici competenze. Inoltre vengono a far parte di un network. Per conto loro le aziende del circuito Maam diventano membri di un club molto avanzato, in cui dal concetto di conciliazione vita-lavoro si passa a quello di sinergia vita-lavoro.

«Oltre all’accesso alla piattaforma digitale, attraverso strumenti di comunicazione aiutiamo le aziende a raccontare il progetto internamente ed esternamente. Ogni tre mesi, poi, pubblichiamo un report sull’andamento del programma. E a cadenza annuale organizziamo un incontro con tutte le aziende clienti».

Il team di ricerca di Maam inoltre elabora e aggiorna costantemente i materiali didattici e formativi, a fronte dei dati raccolti e dei risultati sinora ottenuti. «A breve avvieremo anche una collaborazione con un’università italiana per testare in maniera oggettiva il percorso incentrato sull’intelligenza emotiva, rivolto in particolar modo, per lacune di genere, ai neopapà». Secondo alcune ricerche infatti (vd. libro), gli uomini che praticano la paternità come care giver primari, quindi con una presenza assidua – ai livelli di quella di una madre si intende – rivelano un miglioramento della connettività tra  il solco temporale superiore e l’amigdala, «importante centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni (è l’archivio della nostra memoria emozionale».

Mamacrowd

«Con la  piattaforma di equity crowdfunding Mamacrowd, oggi Maam cerca investitori disposti a scommettere sulla bontà dell’idea. Ha già raccolto adesioni per un ammontare triplo rispetto all’obiettivo minimo di 100 mila euro».