In principio il focus era su ricerca e sviluppo. Poi Modelway ha cominciato a scalare su importanti commesse industriali del mercato nazionale e internazionale. Oggi la startup si propone come ponte hi-tech tra mondo accademico e industria. E propone soluzioni innovative per il controllo e la modellazione di sistemi complessi.
Modelway è una società di software engineering. Nasce dieci anni fa come spin-off del Politecnico di Torino da un gruppo di professori e ricercatori esperti del mondo dei controlli e della modellazione dei sistemi complessi. Negli anni, successivamente, ha ampliato il suo bacino di competenze verso ambiti quali il machine learning a scopo di identificazione.
Modelway applica tecniche di machine learning per estrarre informazioni rilevanti per le funzionalità di un determinato sistema. Questo sistema può essere un’automobile, un aereo, un processo produttivo o un sistema ambientale. «Trattiamo dati per estrarre informazioni di alto livello, che possono servire per scopi di telemetria, monitoraggio, diagnostica o prognostica», spiega Ilario Gerlero, engineering manager della società. Lo facciamo nei più svariati settori industriali: i principali sono l’automotive e il mondo dell’industria 4.0, cui si aggiungono i settori aerospaziale, energetico e ambientale».
I dati sono utilizzati direttamente per la progettazione di modelli matematici attraverso una tecnica di propria matrice denominata NOSEM (NOnlinear SEt-membership Modeling), algoritmi di controllo automatico attraverso la tecnica STC (Self Tuning Control). Infine, e questo è forse l’asset principale di Modelway, per progettare sensori virtuali mediante la tecnica DVS (Direct Virtual Sensing).
Sensori virtuali
Un sensore virtuale è un software che, a partire da una serie di variabili di sistema facili da misurare, restituisce una stima accurata di valori difficilmente acquisibili o misurabili in maniera diretta. Possono essere informazioni che servono per migliorare il controllo motore o il controllo di stabilità di un veicolo; o che, in un processo produttivo, permettono di fare manutenzione predittiva.
Un sensore virtuale può essere integrato su un sistema in diversi modi. «Lavoriamo con molteplici software e integriamo poi tramite Matlab Simulink su diverse piattaforme, ovviamente in base alle esigenze del cliente. Possiamo installare i nostri sensori virtuali direttamente sulle centraline veicolo o sui server – quelli del cliente o quelli che gestiscono l’operatività di una macchina o di una linea di produzione. Inoltre è previsto anche un servizio in cloud.»
Ultima ma non meno importante, la possibilità di integrare il sensore virtuale su una piattaforma microcontrollore. In questo caso il sensore virtuale non è più solo un software ma diviene in tutto e per tutto un dispositivo elettronico. Prendendo come riferimento il mercato automotive, questo dispositivo può essere connesso alla rete del veicolo, leggere le informazioni di cui ha bisogno e restituire una stima della variabile di interesse. «È una soluzione embedded su hardware (Embedded Direct Virtual Sensor) che abbiamo sviluppato in partnership con STMicroelectronics», spiega ancora Gerlero. «La proponiamo ai nostri clienti come una soluzione indipendente dalle loro piattaforme software.» In questo caso, il sensore virtuale diviene un vero e proprio componente alternativo al sensore fisico. Però è a basso costo – da qualche euro a qualche decina di euro.
Alcuni esempi
Ci sono parametri che non possono essere acquisiti su un veicolo di serie. Per esempio, l’angolo di assetto, cioè l’angolo di deriva del veicolo. L’unico modo di misurare un parametro simile è tramite sensori fisici estremamente cari, lampade ottiche che costano decine di migliaia di euro. Solitamente vengono montate a sbalzo sui prototipi per il testing della dinamica veicolo. Attraverso tecniche di machine learning è possibile progettare un algoritmo matematico utile a correlare i dati di questi sensori “da prototipo” con delle variabili misurabili sul veicolo di serie. Il sensore virtuale è quindi una funzione matematica che, integrata in centralina, permetterà di stimare lo stesso parametro che si sarebbe ottenuto con un sensore fisico, ma a costi nettamente inferiori.
È evidente come in questo caso il sensore virtuale offra la possibilità di rilevare su più larga scala un’informazione altrimenti disponibile solo in laboratorio o su un campione estremamente di nicchia.
«Ci sono poi situazioni in cui il sensore fisico voglio tenerlo ugualmente, ma data l’importanza dell’informazione ho bisogno di una ridondanza. Utilizzando un sensore fisico e un sensore virtuale al posto di due sensori fisici è possibile realizzare una ridondanza a basso costo. In questi casi, inoltre, il sensore virtuale può anche fungere da watch dog verso il sensore fisico, aiutandomi a rilevare dei malfunzionamenti oppure per sostituire il sensore fisico nel caso di guasti o altri problemi.»
Un caso di interesse è quello relativo ai NOx (ossidi di azoto). La legge, giustamente, ne limita la produzione. Per ridurne l’emissione, tuttavia, è prima necessario sapere quante particelle tossiche un veicolo rilascia nell’aria. «Il sensore che misura i NOx costa, in media, circa 80-100 euro. Abbiamo allora concepito un sensore virtuale che, dalle variabili disponibili in centralina di controllo motore, ci consente di stimare la concentrazione di ossidi di azoto nei gas di scarico. Questo permetterebbe di sostituire il sensore fisico e risparmiare almeno 70 euro sulla produzione di ciascun veicolo.»
Insomma, ogni veicolo di serie registra, di default, una vasta gamma di variabili, sia lato power train – motore, after treatment, trasmissione – sia per quanto riguarda la dinamica (sospensioni, controllo di stabilità). A partire da queste informazioni correlate a misure sperimentali è possibile emulare in tutto e per tutto l’attività di un sensore fisico vero e proprio.
Non solo automotive
Abbiamo prospettato, a titolo d’esempio, una prima rapida panoramica sul settore automotive. Gli ambiti di applicazione della tecnologia di Modelway, tuttavia, sono molteplici.
«Esistono sensori virtuali che ci permettono di stimare il grado di comfort di un individuo all’interno di un edificio a partire dalle misure di temperatura, umidità e concentrazione nell’aria di anidride carbonica.» Per costruire questi modelli sono stati organizzarti dei living lab con gruppi di persone che potevano votare in diretta, attraverso un’applicazione mobile, il livello di comfort percepito all’interno dell’edificio. Le sensazioni così registrate sono state correlate con delle variabili fisiche e oggettive acquisite dall’ambiente dove queste persone studiavano, lavoravano, vivevano.
«È difficile modellare matematicamente un parametro soggettivo come la sensazione di comfort di una persona all’interno di uno spazio», spiega l’engineering manager di Modelway. Il machine learning tuttavia ci viene generosamente incontro. Se si dispone di una mole sufficiente di dati sul comportamento di una determinata classe di soggetti, è possibile infatti estrapolare un valore comportamentale medio. Attraverso complesse funzioni correlatrici questo valore medio verrà poi associato alle variabili ambientali proprie di ciascuno spazio.
Un altro esempio di sensore virtuale di Modelway applicato a un sistema ambientale è quello relativo agli impianti di riscaldamento. L’impianto di riscaldamento si regola sulla base della temperatura rilevata da un termostato. Il sensore di temperature del termostato è un sensore fisico. Può essere sostituito. «Ne basta uno, insieme ai valori delle temperatura esterna e dell’acqua in entrata e in uscita dall’impianto. Trovando la funzione matematica che aggrega queste variabili con il valore registrato dal termostato, ecco allora che è possibile costruire un sensore virtuale.» Con i dovuti accorgimenti sarà quindi possibile stimare e in seguito regolare il funzionamento dell’impianto anche in quei casi in cui l’edificio e gli appartamenti sono sprovvisti di un sensore fisico.
In conclusione: il sensore virtuale non si sostituisce completamente al sensore fisico, nel senso che non può prescinderne del tutto: se non ci fosse il sensore fisico, di input al sensore virtuale mancherebbe un valore fondamentale per poter funzionare correttamente. È invece una valida alternativa a basso costo in tutti quei casi in cui una proliferazione di sensori fisici su larga scala, per ragioni economiche ma anche logistiche o fisiche, risulterebbe critica. Inoltre permette di portare a bordo di un sistema delle caratteristiche di misura che altrimenti si avrebbero solo in laboratorio. È, in ultima istanza, un software che si fa hardware – un algoritmo che tuttavia non può prescindere dal dispositivo che, in alcuni casi, andrà a rimpiazzare.