Con Moneyfarm il cliente assume il controllo dei propri risparmi. L’approccio è ibrido: componente umana, più robo advisior. Tanta innovazione, dalla Sardegna.
Oggi parliamo di Moneyfarm, altra startup nel fintech dalla Sardinia Valley. «L’industria dell’ICT ha già rivoluzionato i settori dell’entertainment, dei media e del commercio al dettaglio e, più recentemente, anche quello degli alberghi e dei taxi.» Così Martin Wolf, commentatore economico di punta del Financial Times. È il turno della finanza, che può trovare nella tecnologia un robusto appiglio per uscire dal vortice di una crisi autoindotta non solo di bilanci ma anche e soprattutto di immagine. Per riconquistare la fiducia di professionisti e risparmiatori, Moneyfarm ha scelto l’approccio ibrido di una consulenza finanziaria personalizzata che alla potenza di calcolo di una piattaforma di robo advisor aggiunge la sensibilità e l’esperienza di un Comitato Investimenti – quindi una componente umana e relazionale mediata dalla tecnologia.
«Le banche sono diventate inefficienti, costose, piene di conflitti di interesse, soggette a comportamenti non etici», sottolinea sempre Wolf. «E, ultimo ma non per importanza, sono in grado di generare crisi enormi.» Andrew Haldane della Bank of England è entrato nel merito della questione: «il costo unitario dell’intermediazione finanziaria è in continua crescita. A livello mondiale, gli istituti di credito ricavano l’astronomica cifra di 1.700 miliardi di dollari – il 40 per cento del totale dei ricavi – dalla gestione dei pagamenti: è un chiaro segnale di un’estrazione di rendite a danno del cliente finale.»
Su questa crepa del sistema fanno leva alcune società fintech, per far breccia, attraverso una metamorfosi digitale, nel mercato dell’asset management e, in particolar modo, del wealth management e riqualificarlo in termini di: abbattimento dei costi, trasparenza, semplificazione e, soprattutto, assenza di conflitto di interessi. Un esempio made in Italy? Moneyfarm. Nata in seno alla Sardinia Valley tra le braccia dell’incubatore di business “The Net Value”, dal 2011 offre un servizio di consulenza finanziaria indipendente a professionisti e piccoli risparmiatori. Oggi è una delle più grandi società europee online per la gestione patrimoniale, autorizzata e regolata dalla Financial Conduct Authority e vigilata in Italia da Consob.
Ma perché Moneyfarm? Secondo Raffaele Mauro, managing director di Endeavor Italia, il futuro è la disintermediazione dei flussi finanziari. Come il web ha consentito a milioni di persone di pianificare viaggi, effettuare acquisti e gestire le relazioni sociali, così Moneyfarm, attraverso una piattaforma tecnologica di investimento online, permette di assumere in maniera autonoma il controllo dei propri risparmi, disintermediando il sistema finanziario tradizionale; fatto, appunto, di costi di gestione elevati, commissioni sui prodotti e inquinato dal problema del conflitto di interesse. «Moneyfarm costa la metà di qualunque altro tipo di soluzione che esiste sul mercato», spiega Giovanni Daprà, CEO e cofounder di Moneyfarm. «Nell’asset management, in cui il tuo profitto è principalmente legato a quanto paghi, in un momento in cui i rendimenti di mercato sono comunque molto bassi, pagare la metà può voler dire risparmiare una percentuale non indifferente di soldi – in dieci anni, circa il 30% della somma inizialmente investita.» C’è quindi un tema di costi, c’è un tema di trasparenza, c’è un tema di semplicità e di imparzialità. «Il nostro metodo di investimento, legato all’asset allocation e alla diversificazione di un portafoglio composto da exchange-traded fund, è quello che, storicamente, da i migliori risultati.»
Tralasciando il carattere nativamente digital di Moneyfarm, sicuramente in linea con il profilo di un’azienda quale Spindox, un altro aspetto di questa società che ci ha incuriositi è la possibilità di utilizzare le piattaforme di robot advisory come degli strumenti di “iniziazione” alla gestione del risparmio; una valenza formativa intrinseca alla natura di un servizio che acquista così un particolare appeal anche per chi si affaccia per la prima volta al mondo della pratica finanziaria e non ha quindi un expertise consolidato o comunque sufficiente a intraprendere questa strada in completa autonomia.
C’è chi non è d’accordo naturalmente e guarda con scetticismo alla diffusione di un ecosistema fintech: «sono nell’industria del risparmio gestito da oltre vent’anni e sono esterrefatto che qualcuno stia prendendo davvero sul serio questo modello integrato di consulenza», afferma Yogi Dewan, amministratore delegato di Hassium Asset Management e come tale esponente del vecchio sistema. Di tutt’altro avviso è chi sottolinea invece come debba essere proprio il sistema bancario a collocarsi tra i principali fautori di questo ecosistema: «Per noi essere competitivi implica aprirsi alle partnership con le fintech – come già fatto per il nostro Wallet of Wallets (Wow) e per il servizio di robo advisory», sostiene Roberto Ferrari di CheBanca. »Creare un ecosistema significa offrire ai clienti una migliore user experience, sviluppando servizi sui canali digitali e creando una nuova interazione che unisce fisico e digitale.»
Un giorno dei Chatbot andranno a sostituirsi ai consulenti umani, rendendo così il sistema completamente automatizzato: realtà o fantascienza? Forse solo una piccola provocazione. A risponderci, indirettamente, sono sempre le parole di Ferrari: «La banca lavora con i soldi dei clienti, è un business costruito sulla fiducia: resterà quindi una componente umana e relazionale, ma mediata dalla tecnologia.»