I risultati del primo Osservatorio su open innovation e corporate venture capital presentati a Smau 2016. La ricerca di Assolombarda e Italia Startup fotografa il quadro italiano.
Open innovation e corporate venture capital, due strade diverse che rispondono allo stesso obiettivo: portare innovazione nelle imprese di ogni settore, siano esse PMI o grandi realtà. In Spindox ci chiediamo continuamente che cosa significhi fare innovazione. Lo abbiamo domandato anche ai nostri colleghi – Luca, Matteo e Olga, Flavio e Diego, Davide e Andrea – nell’ambito di Digital Jobs, la serie di interviste che danno spazio e voce ai nuovi mestieri portati dal vento della rivoluzione digitale.
In modo più strutturato la risposta a questa domanda arriva dal primo Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital: una ricerca realizzata da Cerved e Ambrosetti per conto di Assolombarda, Italia Startup e Smau. I risultati dello studio sono stati presentati il 25 ottobre, proprio in occasione di Smau 2016.
Perché open innovation e corporate venture capital sono fenomeni importanti? Perché entrambi mettono in collegamento il mondo delle startup innovative con quello più complessivo delle imprese e dunque favoriscono lo sviluppo dell’innovazione e la crescita dell’economia nel suo complesso.
Integrare startup e imprese strutturate
Lo spiega bene Pierantonio Macola, presidente di Smau: «le startup non sono fenomeni separati dal resto dell’economia. Al contrario, sono attori in grado di accelerare il settore dell’ICT e il mondo delle imprese nel suo complesso.» D’altra parte è importante conoscere la natura dei rapporti che si instaurano tra startup e imprese. «Commissionando questa ricerca – dice Macola – volevamo sapere se non ci fosse necessariamente una matrice territoriale di prossimità capace di produrre forte innovazione, con grande talento accademico e in grado di collegarsi alle imprese e al mercato esistenti.»
Il presidente di Smau invita a riflettere su alcuni dati, che danno la misura del fenomeno. Su 6.000 startup innovative più di 2.000 sono partecipate da imprese, che le utilizzano in ottica di open innovation. Nel 59% dei casi si tratta di matching tra imprese e startup che non operano nello stesso settore, e il 77% degli investitori è costituito da aziende manifatturiere che ricercano nelle startup servizi innovativi, R&D, apertura verso il paradigma digitale. Tutto questo per dire che il corporate venture capital può rappresentare una via verso la cosiddetta industria 4.0.
La ricerca di Cerved e Ambrosetti perseguiva due obiettivi: fornire la dimensione del fenomeno del corporate venture capital italiano in termini quantitativi e individuare modelli concreti e replicabili di open innovation.
Smau Milano, ottobre 2016.
Ma che cosa intendiamo, quando parliamo di open innovation. In estrema sintesi l’idea alla base dell’open innovation è che, nell’ambito dei processi che generano innovazione, chi detiene la conoscenza la deve condividere con altri soggetti. Si tratta di un approccio rovesciato rispetto a quello tradizionale, per cui la conoscenza è qualcosa di cui si detiene la proprietà e quindi va difesa e tutelata. È il modello del “brevetto”. Si brevetta un’invenzione per marcarne la proprietà e impedire agli altri di utilizzarla liberamente. In genere le aziende tendono a proteggere la conoscenza sulla quale si basa il loro vantaggio competitivo, segretandola. Nel modello dell’open innovation, invece, la conoscenza detenuta da un’azienda si condivide con altri soggetti.
A che cosa serve l’open innovation?
Integrando la propria conoscenza con quella degli altri si possono fare progressi altrimenti impossibili, specie quando non si dispone di una grande organizzazione e di ingenti risorse da investire. In un network in cui tutti condividono la conoscenza, il vantaggio è evidente: non solo si può beneficiare della conoscenza offerta dagli altri ma anche la propria acquisisce maggior valore. Le persone e le imprese valorizzano e potenziano.
Per le PMI innovative l’open innovation rappresenta un’importante – diremmo l’unica – possibilità per fare innovazione. Significa stare dentro network di innovazione, ecosistemi che hanno delle caratteristiche riconoscibili. Tra queste, gli attori che ne fanno parte. Attori di natura diversa che collaborano per lo stesso obiettivo.
In genere un campione tecnologico è al centro del sistema. In passato i grandi brand non si occupavano di open innovation. Ora anche le imprese di maggiori dimensioni cominciano a capire che, attorno al proprio patrimonio di conoscenze formalizzate e intangibili, conviene attivare comunità di open innovation. Dentro queste comunità ci sono aziende strutturate, come Spindox, che hanno la loro organizzazione, startup, università, istituzioni preposte a promuovere la ricerca scientifica e tecnologica.
Spindox ha scelto questa strada. L’hackathon di Trento, ad esempio, è stato concepito nel contesto di un ecosistema di questo tipo, nel quale Spindox ha deciso di operare. In Spindox innovazione si traduce in una serie di collaborazioni importanti: con la Fondazione Bruno Kessler di Trento, con l’Università di Pavia, con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Anche l’idea di aprire a Chicago un hub di sviluppo commerciale e di scouting tecnologico rientra nella nostra strategia di open innovation.
In questo senso siamo felici che nella ricerca promossa da Assolombarda, Italia Startup e Smau, Spindox sia stata identificata come un esempio interessante nell’ambito dell’open innovation.
L’analisi quantitativa di Cerved
La prima parte dell’Osservatorio è stata curata da Cerved. Per Guido Romano, Responsabile Studi Economici e Relazioni Esterne Cerved, si tratta della prima tappa di una mappa che deve essere creata nel sistema dell’innovazione in Italia.
Cerved ha censito 71 investitori specializzati in innovazione, tra cui incubatori certificati (39), fondi di venture capital (15) e altri investitori soci di Italia Startup (17). In base all’analisi condotta da Cerved è emerso che questi 71 investitori hanno partecipazioni dirette o indirette nel capitale sociale di 1.125 società, che producono un giro d’affari di 2,9 miliardi di euro. Le società partecipate definite mature, nate cioè prima del 2010, sono 549. Le società partecipate costituite dopo il 2010, definite startup, sono più della metà, 576. Queste startup sono candidabili all’iscrizione nel Registro delle Startup Innovative come “startup partecipate”. Non tutte però sono effettivamente iscritte: solo 289 di 576 si ritrovano nella sezione speciale delle startup innovative. Le rimanenti, pur essendo società innovative, non sono state iscritte al Registro per diverse ragioni, tra cui la mancanza di alcuni requisiti. Tra le partecipate mature, che generano il 90% del giro d’affari, ci sono le più grandi società italiane produttrici di innovazione.
Il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro ammonta a 6.753, considerando nel conteggio anche le 287 startup partecipate da investitori specializzati precedentemente non incluse nel sistema delle startup iscritte al Registro delle Startup Innovative e le 289 startup iscritte e partecipate. Infatti le startup iscritte al Registro delle Imprese sono 6.466 (6.177 startup iscritte non partecipate e 289 startup iscritte e partecipate) con 40 mila soci nel capitale delle startup. Confrontando i dati relativi alle startup iscritte alla sezione speciale del RI emerge che l’influenza degli investitori specializzati è più che positiva nel fatturato delle 289 imprese iscritte e partecipate: 192 mila euro rispetto a 64 mila delle 6.177 startup iscritte al Registro delle Imprese non partecipate. Gli investitori in CVC sono circa 5.149, 35 mila circa le persone fisiche con quote di partecipazione. I 5 mila investitori corporate concentrano le loro quote in 1.901 startup innovative, il 29% del totale della startup innovative iscritte al Registro delle Imprese.
Il 41% degli investitori corporate investe in startup geograficamente vicine ma solo il 4,5% investe in startup innovative operanti nello stesso settore merceologico.
Ambrosetti: fare innovazione, non parlarne
«Dobbiamo creare un modello di innovazione adatto alla nostra cultura […]. Fare innovazione non è solamente un’azione, ma una mentalità.» Così esordisce la ricerca qualitativa con cui Ambrosetti ha contribuito all’Osservatorio. «Il primo passo è necessariamente quello di creare una cultura dell’innovazione […]. Dobbiamo imparare ad apprezzare il fallimento come prova della nostra intraprendenza e stimolo alla resilienza.»
Che fine hanno fatto il genio creativo, le grandi menti del made in Italy, il coraggio che ci ha contraddistinti nei secoli scorsi? Partendo da questo e molti altri quesiti, la ricerca Ambrosetti ci guida in un percorso volto a diffondere conoscenza e stimolare la contaminazione e a fare open innovation quanto prima.
Posizionamento e strategie
A presentare il lavoro svolto è Alessandro Braga, management consultant Ambrosetti. Partendo dalle esperienze dirette delle aziende che compongono l’Advisory Board di Italia Startup è stato redatto un manuale applicato all’open innovation destinato alle imprese e agli imprenditori. In questo modo Ambrosetti ha cercato di elaborare dei modelli direttamente declinati sull’esperienza e sul territorio italiano piuttosto che partire da ecosistemi esteri per poi importarli in Italia.
Sono stati presentati i casi di quindici aziende ritenute interessanti per il concetto di open innovation in Italia. Tra queste anche Spindox. I racconti e le esperienze ottenute dalle aziende intervistate hanno fornito dati importanti per la ricerca che sono stati disposti in due matrici. La prima è la matrice di posizionamento, la seconda di strategia. La matrice di posizionamento è stata così elaborata: sull’asse verticale sono misurate l’esperienza diretta e la conoscenza dell’impresa con il suo mercato di riferimento, sull’asse orizzontale le competenze e il know-how tecnologico dell’azienda.
Fig. 1. Matrice del posizionamento. (Fonte: Manuale di Open Innovation, p. 13.)
In alto a destra viene indicata l’area di comfort dell’azienda, in cui si hanno a disposizione esperienza e competenze. Braga suggerisce alle aziende che si ritrovano in questo quadrante di non muoversi in direzione dell’Open Innovation. Così come l’azienda che ha poche competenze tecnologiche e poca conoscenza del mercato (quadrante in basso a sinistra) in quanto risulterebbe molto pericoloso investire in Open Innovation. I quadranti migliori per agire in ottica Open Innovation sono quelli in cui l’azienda ha maturato molta esperienza nel mercato in cui opera, si possono così utilizzare nuove tecnologie per l’inserimento in nuovi mercati (quadrante in alto a sinistra). E, specularmente, quello in cui si aprono nuovi mercati per l’azienda che dispone dei mezzi tecnologici e delle capacità (quadrante in basso a destra).
Da qui è possibile definire la propria strategia attraverso, appunto, quella che Ambrosetti ha denominato la “matrice della strategia” in cui ci sono l’asse dell’esperienza in Innovation Management e Open Innovation e l’asse dei fondi disponibili all’investimento. L’azienda deve essere in grado di comprendere, attraverso una profonda autoanalisi, quando ha l’esperienza specifica per posizionarsi e la disponibilità finanziaria per investire in OI.
In base alla matrice della strategia, Ambrosetti fornisce quattro approcci diversi da attuare in base al proprio posizionamento: “Guarda”, “Fai rete”, “Trova un amico” e “Corri!”.
Fig. 2. Matrice della strategia. (Fonte: Manuale di Open Innovation, p. 18.)
“Guarda” è l’approccio adatto a chi ha poca esperienza e pochi fondi, gli strumenti adatti sono le call for ideas, gli hackathon, lo scouting di idee. “Trova un amico” è adatto a chi dispone dei fondi ma non dell’esperienza, un’azienda che si trova in una situazione di questo tipo mira a trovare partner esterni, diventare follower di figure più esperte, entrare a far parte di consorzi oppure dare mandato a un venture capital affinché investa per lei in startup innovative. Le aziende che hanno “tutto al posto giusto” non devono far altro che mettersi in marcia e… Correre! Gli strumenti ideali per l’approccio “Corri!” sono corporate venture capital, corporate accelerator e incubator, azioni di mergers & acquisition.
Noi di Spindox cosa facciamo? Facciamo rete, creiamo network di innovazione, abbiamo le conoscenze per farlo ma insieme è meglio.