Per l’Osservatorio Artificial Intelligence le grandi aziende investono su tanti progetti pilota. I chatbot sono la soluzione (acerba) più diffusa. Intanto l’ecosistema startup internazionale raccoglie 2,2 miliardi di dollari.
“L’artificial intelligence è il ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità tipiche dell’essere umano (interazione con l’ambiente, apprendimento e adattamento, ragionamento e pianificazione), in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni che, fino a quel momento, erano solitamente affidate agli esseri umani”
Con questa definizione si è aperto l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nato nel 2017 da una collaborazione tra la School of Management e il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria.
In questo primo anno di attività si sono catalogati i conseguimenti dell’AI e i suoi ambiti di applicazione.
I risultati della ricerca
L’Osservatorio ha studiato i casi di applicazione dell’intelligenza artificiale, prendendo in esame un campione di 337 grandi aziende italiane e internazionali, che avessero rispettivamente un fatturato di 1,5 e 15 miliardi di dollari. I 469 casi d’uso emersi sono stati quindi catalogati in base allo scopo dell’applicazione degli algoritmi di AI.
Di seguito le otto classi di soluzioni risultanti, con la rispettiva percentuale di casi di applicazione riscontrati.
- Intelligent Data Processing (35%): predictive analysis, fraud detection, pattern discovery, in generale ogni caso in cui si debbano scandagliare grandi quantità di dati ed estrarne informazioni.
- Virtual Assistant/Chatbot (25%): software che interagiscono con utenti attraverso l’uso di linguaggio naturale (un tema che abbiamo già introdotto qui).
- Recommendation (10%): soluzioni che registrano le preferenze degli utenti e le usano per avanzare suggerimenti, come accade su Amazon.
- Image Processing (8%): dal riconoscimento di elementi nelle immagini alla biometria.
- Autonomous Vehicle (7%): mezzi di trasporto a guida autonoma.
- Intelligent Object (7%): oggetti immobili che reagiscono con l’ambiente tramite l’uso di sensori.
- Language Processing (4%): comprensione, traduzione o produzione di linguaggio scritto.
- Autonomous Robot (4%): dai gadget ai robot che aprono le porte da soli.
Questa la classifica quantitativa, che tiene conto del numero di progetti iniziati.
Se guardiamo allo stato di avanzamento, la maggior parte dei progetti a regime riguarda gli ambiti recommendation (62%), language processing (50%), intelligent data processing (42%), virtual assistant/chatbot (40%). Gli ambiti in cui più spesso si è ancora fermi al progetto pilota sono gli Autonomous Robot (nel 74% dei casi) e l’Image Processing (57%), oltre all’Autonomous Vehicle, fanalino di coda (100%).
L’Italia sembra mostrare meno iniziativa rispetto ad altre nazioni europee. In Francia e in Germania il 70% delle grandi aziende studiate utilizza AI nei loro processi, mentre nel nostro paese siamo al 56%, con più della metà (52%) delle iniziative già a regime.
L’intelligenza artificiale per le aziende
Per l’Osservatorio Artificial Intelligence solo nel 20% dei casi l’IA è adottata per incrementare l’esperienza d’uso o la performance dei prodotti, mentre è scelta soprattutto (40%) per rendere più efficaci i processi di marketing, sales e customer service, o come sostegno (il restante 40%) ad aspetti di gestione interna quali R&D, HR, operations.
Il banking e l’automotive sono i settori che stanno lanciando più progetti AI, contando rispettivamente il 21% e il 12% del totale individuato.
Con 118 dei 469 casi presi in analisi, i chatbot sono la soluzione AI più utilizzata dalle imprese.
I virtual assistant trovano impiego nel service (customer care e corporate knowledge), nel sales marketing (shop assistance) e nell’HR management (recruiting e talent management). Si tratta di prodotti ancora molto acerbi, nel 50% dei casi progetti pilota o prototipi di software ancora molto rigidi nell’interazione con gli utenti.
In conclusione, citando la ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence:
«Ci appare evidente che le soluzioni di intelligenza artificiale vengano oggi utilizzate per lo più come leva competitiva esterna (servizio e qualità), piuttosto che come strumento di efficienza interna.»
Gli effetti sul mercato del lavoro
Non è mancata l’occasione per fare qualche considerazione sugli effetti che la quarta rivoluzione industriale avrà sul mercato del lavoro, in particolare sulle professioni ad alto contenuto intellettuale.
Si tratta di attività complesse nelle quali è un insieme di competenze e abilità a permettere di portare a termine una varietà di task specifici. In questi casi non è il posto di lavoro nella sua interezza ad essere minacciato, quanto i singoli compiti che cadono sotto la sua responsabilità che potrebbero essere automatizzati.
In questo senso ciò che si prospetta è una ristrutturazione delle mansioni e delle competenze ricercate dalle aziende. Pensiamo alla ricerca Capgemini di settembre dello scorso anno, che ha rilevato come l’l’introduzione dell’AI ha comportato per 83 imprese su 100 un aumento delle assunzioni in ruoli senior o manageriali.
I big fanno sognare, le startup crescono
Nonostante l’entusiasmo è estremamente difficile trovare soluzioni off-the-shelf sul mercato delle AI.
I casi di successo fanno il giro del mondo, ma i nomi sono sempre quelli: l’auto a guida autonoma di Google che ha percorso quattro milioni di miglia, l’applicazione di Deepmind per prevenire il sopraggiungere della cecità su soggetti diabetici, i video dei robot avveniristici di Boston Dynamics.
Intanto però le startup di artificial intelligence si moltiplicano. Dal 2013 ad oggi 460 startup da tutto il mondo hanno raccolto 2,2 miliardi di dollari e un finanziamento medio in crescita, dai 5,5 milioni del 2016 agli 8,8 del 2017.
Nello specifico le startup che mirano a realizzare l’auto a guida autonoma sono quelle che attraggono maggiormente gli investitori, con un valore medio di 37,7 milioni di dollari.