Nasce Partnership on AI, sodalizio fra Amazon, Facebook, Google, Microsoft, DeepMind e IBM per promuovere la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale. Operazione culturale o lobby di interessi?

Si chiama Partnership on AI ed è nata ufficialmente il 28 settembre scorso. L’iniziativa è di quelle destinate a lasciare il segno, se non altro per i nomi dei suoi partner: Amazon, Facebook, Google, Microsoft, DeepMind e IBM. Ci sono tutti, insomma (o quasi: all’appello mancano solo Apple e OpenAI, l’organizzazione non profit finanziata da Elon Musk e Sam Altman). Tutti uniti sotto il vessillo dell’intelligenza artificiale, con l’obiettivo di promuoverne le pratiche migliori e di favorire la discussione pubblica sui suoi benefici per gli individui e la società.

La convinzione di fondo è che le tecnologie dell’intelligenza artificiale possano contribuire a migliorare la qualità della vita e a indirizzare i grandi problemi dell’umanità, dalla fame nel mondo ai cambiamenti climatici, dalle disuguaglianze ai nuovi bisogni nel campo della salute e dell’educazione. Va da sé che c’è molta retorica in questa convinzione. O forse c’è quella inguaribile fiducia nella tecnologia che è alla base della californian ideology: la tecnologia come fonte di salvezza. Nonostante le dure repliche della storia, si ripropone l’idea che dare più potere alla tecnologia sia una buona cosa in sé. E Partnership on AI nasce perché alla tecnologia sia data mano libera. Si scrive partnership, ma si legge leadership: a chi, se non ai big della tecnologia, il compito di guidare l’evoluzione in questo settore?

Qualche dubbio su questa alleanza, che sembra promuove una discussione “aperta” fra gruppi “chiusi”, può venire. Tim Hinchliffe, per esempio, esprime il suo scetticismo in un post di FuturisticTech Info, in cui bolla l’operazione come un consolidamento di potere di chi ha già in mano buona parte della ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale e tende in tal modo a legittimarsi come “autorità morale”.

Forse Partnership on AI è anche di un’implicita risposta alla recente pubblicazione del documento di indirizzo della Casa Bianca Big Data: A Report on Algorithmic Systems, Opportunity, and Civil Rights (maggio 2016) o alle prese di posizione di alcuni scienziati, preoccupati dall’eventualità che nel campo dell’intelligenza artificiale si stia creando qualcosa di incontrollabile. Pensiamo, in particolare, alla lettera aperta del Future of Life Institute Research Priorities for Robust and Beneficial Artificial Intelligence, firmata nel gennaio del 2015 da Stephen Hawking e dallo stesso Elon Musk.

Più in concreto la missione della Partnership on AI ritaglia quattro ambiti di intervento: coinvolgere esperti di ogni disciplina, per affrontare a tutti i livelli le sfide dell’intelligenza artificiale; sostenere – anche finanziariamente – gli studi di terze parti; allargare il dibattito a tutti i portatori di interessi, in rappresentanza dell’industria, degli utenti e della comunità scientifica; diffondere l’informazione sulle traiettorie di sviluppo dell’intelligenza artificiale.

La Partnership on AI ha anche fissato una serie di principi. Si tratta di regole di carattere generale, che dovrebbero impedire all’intelligenza artificiale di nuocere alla società. Come ha fatto notare Paolo Bottazzini su Pagina99, la cosa ricorda molto le famose tre leggi della robotica coniate dallo scrittore di fantascienza Isaac Asimov.

Ecco dunque, nella nostra traduzione, che cosa recitano le otto leggi dell’intelligenza artificiale della Partnership on AI:

1. Ci impegneremo a fare in modo che le tecnologie della AI forniscano benefici al numero maggiore di persone possibile.

2. Informeremo e ascolteremo l’opinione pubblica, coinvolgeremo tutti i portatori di interessi per avere il loro feedback sul nostro lavoro e daremo risposta alle loro domande.

3. Cercheremo un dialogo aperto sulle implicazioni etiche, sociali, economiche e legali dell’AI.

4. Renderemo conto dei risultati delle ricerche al maggior numero di portatori di interessi.

5. Faremo in modo di coinvolgere attivamente gli esponenti del mondo delle imprese, per rispondere alle loro preoccupazioni ed evidenziare le opportunità dell’AI per il business.

6. Per massimizzare i benefici dell’AI e indirizzare potenziali minacce, proteggeremo la privacy e la sicurezza degli individui, rispetteremo gli interessi di tutte le parti coinvolte, faremo in modo che il lavoro di ricerca si svolga sempre all’insegna della responsabilità sociale, sorveglieremo sulla robustezza e l’affidabilità delle tecnologie sviluppate, ci opporremo a qualsiasi uso dell’AI in violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani, promuovendone invece un uso pacifico.

7. Faremo in modo che le tecnologie dell’AI siano comprensibili alle persone.

8. Creeremo una cultura basata sulla cooperazione, la fiducia e l’apertura fra tutti coloro che lavorano nel campo dell’AI.

La Partnership on AI vede coinvolte in prima persona alcune figure di primo piano, che i partner dell’iniziativa hanno identificato come membri operativi. Spiace constatare che, con una sola eccezione, si tratti di uomini. L’eccezione è costituita dall’italiana Francesca Rossi, che insegna a Padova e Harvard, è ricercatrice presso l’IBM T.J. Watson Research Centre e ha collaborato anche con Elon Musk al Future of Life Institute. Noi diciamo “in bocca al lupo!” a Francesca Rossi, augurandoci che l’intelligenza artificiale sia femmina.