Esiste un famoso aforisma che recita “se vuoi ottenere qualcosa di nuovo devi smettere di fare qualcosa di vecchio”. Innovare significa tutto e niente al giorno d’oggi. Il termine è strausato e rischia ormai di perdere il suo vero significato.
Siamo andati allora a scoprire che cosa nel 2015 le aziende italiane intendono per innovazione. Il 5 maggio scorso sono stati presentati al Campus Bovisa i risultati della ricerca 2015 dell’Osservatorio GeCo (Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione). La School of Management del Politecnico di Milano ha provato a interpretare gli ingredienti che ben 400 imprese nazionali hanno usato e usano tuttora per innovare.
Scopriamo allora che esistono limiti superabili nei processi all’interno di un’azienda. Questi limiti sono per lo più legati agli sprechi, spesso sinonimo di una gestione non ottimale dei progetti. Qual è lo scenario italiano? Quali sono gli sprechi più frequenti in una PMI?
Quello che viene riconosciuto dalla maggior parte delle realtà intervistate, ben il 91%, come problema che si ripete è la perdita di tempo dovuta a cambiamenti di requisiti, dati e priorità di un progetto in corso d’opera. Per l’83% invece lo spreco è dato dai tempi necessari per allineare i nuovi assunti al modus operandi aziendale.
Al terzo posto, con il 78% delle aziende, troviamo invece lo spreco dovuto alla necessità di rifare progetti dopo aver scoperto di aver lavorato con dati che si rivelano non corretti o incompleti.
Il 72% considera un importante spreco di tempo inserire informazioni del progetto in più sistemi informativi manualmente. Al quinto posto troviamo poi, con il 70%, lo spreco di risorse che deriva da una sovra-progettazione di un prodotto/progetto con una relativa crescita dei costi di sviluppo.
Quali sono quindi i cinque maggiori problemi generati da questo spreco di risorse per un’azienda? Per il 95% delle aziende, le troppe richieste di modifica dei progetti; per l’88%, un sovraccarico dei progettisti; per l’84%, lo sforamento dei costi stimati. Troviamo poi a seguire il superamento dei tempi stimati, che è un problema per il 73% delle aziende, mentre il troppo tempo speso in documentazione dei progettisti è stato riscontrato dal 67% delle realtà.
Le aziende considerano questi sprechi come evitabili nella maggior parte dei casi. Per poterlo fare però bisogna innanzitutto essere in grado di riconoscerli. A tal proposito durante il convegno del PoliMi viene presentato il metodo MyWaste creato proprio a livello universitario in collaborazione con alcune medie e grandi realtà aziendali che ne hanno provato il risultato.
Una volta individuati i propri punti deboli si può lavorare a migliorare determinati processi ed ottimizzare le risorse all’interno della propria azienda. Vengono così presentati quattro modelli che risultano ii più adatti a tale scopo. I responsabili della ricerca hanno deciso di utilizzare la metafora dei “fantastici quattro” per comunicarli in maniera più creativa. Troviamo quindi il modello di “progettazione orientata al cliente”, la Cosa, che consente di mantenersi competitivi nei costi e nelle tempistiche con un orientamento alla customizzazione che deve avvenire con una puntualità e qualità al di sopra dei competitor.
Abbiamo poi Mister Fantastic che viene rappresentato da “un approccio formale e pianificato alla progettazione”, come spiega la responsabile della ricerca Monica Rossi: «con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante scritto dei progetti: consente risparmi di costi e tempi e flessibilità nei progetti, e quindi un vantaggio competitivo soprattutto di innovatività».
Il terzo modello, la Donna Invisibile, si basa sulla “progettazione collaborativa”. Parliamo dell’esplorazione simultanea in team di diverse alternative che permette di essere competitivi in flessibilità. Si tratta del modello più utilizzato dalle PMI con ben il 33% di queste che ne fa uso.
Infine troviamo il modello dell'”innovazione sostenibile”, la Torcia Umana, che si basa sulla sostenibilità e l’innovazione dei prodotti attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda parte del ciclo di vita del prodotto. “Questo modello permette di essere competitivi nella differenziazione dei prodotti, ottenendo un vantaggio sui competitor per quanto concerne la qualità e la varietà dei prodotti stessi” conclude Sergio Terzi, responsabile Scientifico dell’Osservatorio GeCo.