“Benvenuti nella mia nuova start-up.” con le parole di Marco Gualtieri, padrone di casa, inizia la prima edizione dell’innovativo evento Seeds&Chips. Il tema di fondo è il Food declinato in tutte le sue forme che oggi si interconnettono alle innovazioni digitali. Al MiCo tra il 26 e 29 marzo scorsi è stato possibile trovare tutto, o quasi, l’ecosistema food tech italiano. Seeds sta per semi, quelli che questo evento punta a piantare nella mente di tutti gli interessati e possibilmente anche degli stakeholders che possono muovere capitali importanti verso questo settore. Chips invece rimane ambiguo e sta sia per “Money”, necessari per fare la differenza, che per Microprocessore, una delle numerose invenzioni italiane e base fisica di quello che è il mondo oggi. Digital.
Fra gli ospiti dell’evento Riccardo Luna, Italian Digital Champion, il quale ha fatto rifeimento alle exit più recenti delle start-up food italiane. Negli ultimi mesi sono state acquistate ben quattro start-up made in Italy attive nel settore, tutte da colossi internazionali. La più importante tra queste operazioni ha realizzato un valore vicino ai 50 milioni di euro. “Il mio augurio – ha detto Luna – è che non ricapiti una seconda volta di lasciarci sfuggire una nuova Pizzabo senza nemmeno renderci conto del suo potenziale.”
Nel corso dell’evento si è svolta una tavola rotonda sui limiti del sistema italiano per lo sviluppo di start-up innovative in questo settore. Significativo, per esempio, il punto di vista di Roberto Liscia, presidente NetComm: “Il vero problema – ha detto Liscia – è che il sistema Italia ha difficoltà ad integrare strategie, tecnologie e modelli di business. Perché abbiamo una cultura fatta a compartimenti stagni, a silos.” Secondo Liscia siamo un paese frammentato. “Canali distributivi troppo forti. Le piccole imprese si fanno acquisire e non riescono a svilupparsi. Siamo un paese di prodotto, non di sistema, di modelli di business, di strategia.” Gli ha fatto eco Francois De Brabant, uno dei più autorevoli esperti di ITC in Italia, presidente di Between (Ernst&Young): “Siamo all’inizio del percorso. Dobbiamo stare dietro all’incredibile velocità di cambiamento e di consumi, e la velocità non è di sicuro una caratteristica forte del nostro paese. Noi siamo innovatori, lo siamo sempre stati, ma a mettere a sistema ci mettiamo una fatica pazzesca.”
Anche Davide Dattoli, co-founder di Talent Garden, ha detto la sua da un punto di vista più vicino alle start-up: “Stanno cambiando i modelli di business e come noi possiamo interagire con le cose. Se non sei globale vieni copiato o nel medio periodo muori. Le start-up italiane ci sono ma non vengono acquisite in Italia ma da big internazionali”.
Ma parlare di food tech significa anche fare riferimento al ruolo che le nuove tecnologie svolgono nella definizione di esperienze più vicine alle aspettative dei consumatori, ossia più semplici e più ricche al tempo stesso. Come sempre, la lezione viene da Amazon. Pensiamo, ad esempio, alla capacità di disegnare percorsi di acquisto sempre più rapidi, fino al limite del singolo clic. Il messaggio è, anche, che il consumatore è diventato più attento al prodotto, alla storia del prodotto nella sua filiera. Vuole sapere dove viene coltivato quello che sta mangiando o dove viene prodotto quello che indossa. “Quello che sta cambiando il mondo non sono le imprese ma il consumatore che obbliga le imprese a cambiare, ad evolvere.” ha osservato sempre Roberto Liscia.
Gli elementi nella testa del consumatore di oggi sono tre: benessere, salute, cibo. Perché dunque è così difficile sviluppare progetti che fondano la loro proposizione di valore proprio in questo ambito? L’opinione più diffusa è che ciò dipenda dalla mancanza di capitale di rischio e quindi dalla scarsa disponibilità di investitori. Una situazione, questa, resa più pesante dall’immobilismo delle aziende già affermate, le quali hanno spesso paura di cambiare, di evolversi e di rischiare. “Questa è la cultura italiana: mantenere la propria posizione di rendita e quindi grande difficoltà a cambiare business model. Cerchiamo di essere realisti, dobbiamo smuovere blocchi culturali, di rendita e dare una scossa anche a livello politico, di mercato e di imprese. La nostra cultura politica non è riuscita a fare quel passo verso la digitalizzazione che invece hanno fatto in altri paesi, dove oggi si può parlare di cittadino digitale. Questo cittadino digitale poi diventa consumatore digitale, imprenditore digitale etc. Questo processo in Italia ahimè è ancora in ritardo”, ha concluso Liscia.
Seeds & Chips è stata l’occasione di ascoltare dalla viva voce di alcune start-up del settore il racconto della loro esperienza. Interessante, per esempio, l’ambito del food delivery. Una delle più note realtà in Italia a livello di consegna a casa di alimenti, in questo caso a km zero, è Cortilia. Per adesso opera solo nelle regioni del nord ma ha una chiara strategia di espansione, come ha affermato il suo fondatore Marco Porcaro, ospite all’evento.
“Le imprese di maggior successo – ha detto Andrea Casalini, responsabile di Eataly.net – non si sviluppano a partire da idee particolarmente geniali, ma dalla capacità esecutiva, ossia di gestire i costi con raziocinio e di fare le scelte giuste al momento giusto.” Eataly.net parte ovviamente avvantaggiata, avendo un’importante nome alle spalle e un catalogo di prodotti molto ricco.
E se Eataly non vende prodotti freschi, questo è il business di PrimoTaglio. Non si tratta di freschi, ma freschissimi on demand. A Seeds & Chips era presente Antonio Romano, Project Leader di questo spin-off E-Food del già importante Gruppo Amodio. Con 15 dipendenti questa start-up punta a portare a casa dei propri clienti prodotti appena fatti, dai formaggi alla pasticceria. L’obiettivo non è però solo vendere prodotti freschi, ma far sentire speciali i propri clienti. In quest’ottica sono stati concepiti i “messaggeri del gusto” che consegnando a mano l’acquisto dedicano sette minuti del proprio tempo per raccontare l’origine dei prodotti ordinati e dare consigli sul loro utilizzo in cucina. C’è poi Svinando, presentata da Riccardo Triolo. Questa start-up punta iinvece alla vendita diretta di vini di alta qualità con un business model stile Privalia. “Offriamo un solo prodotto per volta e lo raccontiamo attraverso un accurata strategia di storytelling.”
Numerose anche le start-up presenti negli stand che raccolgono una certa affluenza. FancEat è un e-commerce che permette di prenotare un box che contiene gli ingredienti utili alla creazione di due menu per due persone. FancEat sta per lanciare il progetto a Torino per poi dirigersi a Londra dove punta a portare la cucina italiana direttamente a casa dei propri clienti. “Abbiamo preso spunto da modelli simili in UK e US. Per noi un grande valore prende lo storytelling. Puntiamo quindi a raccontare nel miglior modo possibile le ricette tradizionali che permettiamo ai nostri clienti di avere nella propria cucina.
VivEat infine non si occupa di food delivery ma di Internet of Things applicato all’ambito food. Nata nel 2014 a Milano, il suo obiettivo è rendere vivi i vini, come dice il payoff “Bringing wine alive”. Provano a farlo utilizzando un sistema NFC che permette ai produttori di la combattere la contraffazione salvaguardando l’originalità dei propri vini. Ogni bottiglia infatti avrà un adesivo NFC che, “letto” attraverso lo smartphone, offrirà al potenziale cliente una scheda prodotto dettagliata con la storia di quel vino, le sue caratteristiche tecniche e l’immediata garanzia di originalità del prodotto. Questo sistema punta a farsi spazio tra prodotti alimentari di diverso tipo, non solo vini.