Social network decentralizzati: si chiama Bluesky la tentazione di Twitter

da | Dic 12, 2019

La logica dei social network decentralizzati alla base di Bluesky, nuovo progetto di Twitter. Un modello già tentato da altri per cercare di superare le disfunzionalità delle grandi piattaforme proprietarie.

Buone notizie, forse, per chi crede nel modello dei social network decentralizzati. Twitter ha deciso di finanziare lo sviluppo di uno standard aperto e decentralizzato per i social media. La missione è stata affidata a una piccola squadra indipendente di architetti, ingegneri e designer. Ad annunciarlo è stato lo stesso Jack Dorsey, fondatore e CEO di Twitter. Come sua abitudine, lo ha fatto con una serie di tweet concatenati.

I precedenti

Di che cosa stiamo parlando? L’idea non è nuova. Sul piano teorico se ne discute da almeno dieci anni. Interessante, per esempio, il paper Decentralization: The Future of Online Social Networking, cui contribuì nel 2009 lo stesso Tim Berners-Lee. Oggi esistono diversi social network decentralizzati, come Diaspora, Minds (basato su Ethereum e interamente sviluppato con tecnologie open source), All.me (interessante anche per il meccanismo di remunerazione degli utenti), Steemit, Mastodon (attivo da un paio di anni e molto simile a Twitter), il russo Golos e DTube (che punta invece a emulare YouTube).

Steemit e Minds sono definibili come incentivized social network. Entrambi, infatti, remunerano in criptovaluta gli utenti che contribuiscono con i loro contenuti. Steem, in particolare, è stata la prima piattaforma get-paid-to-blog che ha fatto leva sui pagamenti in valuta digitale. Nata nel 2016, conta oggi oltre un milione di iscritti, di cui oltre 500 mila attivi.

In tutti i casi non è prevista una gestione centralizzata dei dati degli utenti, come avviene invece nei social network tradizionali. I dati si trovano su server gestiti in modo indipendente, e ogni utente può scegliere su quale nodo registrarsi. Questo modello generale è poi declinato in diverse varianti, per cui non tutti i social network decentralizzati sono totalmente decentralizzati.

Nei social network decentralizzati gli utenti restano proprietari dei loro dati e non cedono ad altri alcun diritto sul loro utilizzo. I dati sono protetti da tecnologie crittografiche e possono essere condivisi solo se il titolare dei dati stessi fornisce un consenso esplicito. Il modello decentralizzato è lo stesso, per intenderci, sotteso dalla tecnologia blockchain.

Libertà a riservatezza

Questa circostanza scardina la logica su cui Facebook, Twitter e YouTube hanno costruito il loro modello di business: servizi gratuiti per l’utente, in cambio della disponibilità dei suoi dati (sfruttati poi dalle grandi piattaforme per generare valore attraverso la pubblicità e il brokeraggio).

Viene meno anche ogni forma di controllo sugli account e sui contenuti pubblicati. Mentre oggi Facebook ha la responsabilità di decidere se e quando bloccare un utente, ma anche di censurare determinate tipologie di contenuti, nei social network decentralizzati l’unico responsabile è l’utente stesso. Il quale opera in una cornice di libertà e riservatezza ben diversa da quella offerta dalle piattaforme tradizionali.

Nei social network decentralizzati – o, per meglio dire, in quelli totalmente decentralizzati – è possibile essere chi si vuole, senza usare necessariamente la propria identità. E si può interagire con gli altri nel modo che si vuole. Che ciò possa provocare un’esplosione di fake news e di abusi è tutto da dimostrare. Finora il regno delle fake news si sono rivelati proprio i social network tradizionali, i quali non riescono a trovare una soluzione ai problemi creati dai loro algoritmi.

Decentralizzato non significa distribuito

È importante insistere su un punto: l’adozione di un protocollo di questo tipo non fa dei social network decentralizzati dei sistemi distribuiti. «Decentralizzato» significa che non esiste un unico nodo in cui vengono prese le decisioni sui margini di libertà degli utenti e sull’utilizzo dei loro dati personali. Ogni nodo decide per sé e si assumere la responsabilità del proprio comportamento. Il “comportamento” del sistema risultante è la risultante aggregata dei comportamenti dei singoli.

Viceversa, in un sistema distribuito – per esempio i distributed ledger – l’elaborazione è condivisa tra più nodi, ma le decisioni possono ancora essere centralizzate. Un singolo nodo può utilizzare la conoscenza completa del sistema. È il modello di blockchain, una rete di registri separati che conservano gli stessi dati.

D’altra parte le espressioni «social network decentralizzati» e «social network distribuiti» (o «federati») sono spesso utilizzate in modo intercambiabile, generando una certa confusione. La voce di Wikipedia Distributed Social Network parla di federazioni di social network, in cui il servizio è decentralizzato e distribuito attraverso diversi fornitori, che condividono lo stesso protocollo di comunicazione.

Dietro la mossa di Twitter

Che obiettivi si pone Twitter con l’iniziativa Bluesky? Difficile a dirsi. Sicuramente Jack Dorsey sta cercando di marcare la distanza di Twitter da Facebook per quanto riguarda il modo di risolvere le disfunzionalità che almeno da tre anni animano il dibattito sui social media come spazio pubblico. Spindox ne ha parlato a più riprese (si vedano, per esempio, Fake news: il problema sono gli algoritmi o Facebook? e Facebook, per brand e celebrità è l’ora dei dubbi).

In sostanza sembra che Twitter – dopo avere inseguito per anni Facebook sul suo stesso terreno – voglia tornare allo spirito delle origini, nel segno dell’apertura. Ma è presto per giudicare il senso di questa nuova svolta. Nel suo tweet dell’11 dicembre, Dorsey spiega che la missione del team Bluesky è creare un protocollo di comunicazione che stia ai social network come l’SMTP sta alla posta elettronica: uno standard universale e non proprietario. Dopo di che, ciascun utente sarà libero di utilizzare il client preferito per condividere i propri contenuti con gli utenti. Esattamente come avviene oggi per la posta elettronica. Anche Twitter potrebbe, in questo senso, trasformarsi radicalmente e diventare appunto un client per l’accesso a servizi interoperabili.

Protocolli, non piattaforme

Come riferimento concettuale del suo ragionamento, Dorsey cita Protocols, Not Platforms: A Technological Approach to Free Speech, un saggio molto bello pubblicato da Mike Masnick il 21 agosto 2019 sul sito del Knight First Amendment Institute presso la Columbia University. In sostanza Masnick propone di superare il modello attuale dei social network, basato sul ruolo cruciale delle piattaforme, in favore di un paradigma aperto in cui regnano – come nella Rete delle origini – protocolli universali: non solo il già citato SMTP (Simple Mail Transfer Protocol), ma anche l’IRC (Internet Relay Chat), condiviso dai primi client di instant messaging, l’NNTP (Network News Transfer Protocol) di Usenet e lo stesso HTTP (HyperText Transfer Protocol) del Web.

Per Masnick si tratta di tornare a un mondo governato da protocolli non proprietari, anziché dalle piattaforme, le quali hanno eretto una serie di difese per impedire l’interoperabilità fra i servizi offerti. Questa trasformazione – o, per meglio dire, restaurazione – avrebbe una serie di vantaggi. Intanto comporterebbe una maggiore libertà di parola, e quindi una riduzione di fenomeni come il trolling, l’hate speech e la disinformazione su larga scala. Inoltre aiuterebbe gli utenti a riprendere il controllo della loro privacy. Infine, offrirebbe alle attuali piattaforme l’opportunità di monetizzare in modo diverso rispetto alla vendita dei dati.

Masnick ritiene che un’economia dei protocolli possa funzionare meglio di quella delle piattaforme per la semplice ragione che, mentre in un contesto aperto si attiverebbero meccanismi di autoregolazione virtuosi, l’esperienza di Facebook e Twitter insegna che né le norme interne dei social network né gli algoritmi sono in grado di contrastare tutti i fenomeni negativi appena citati.

Stephen Wolfram in Senato

Uno spirito analogo anima il ragionamento di un altro guru della rete citato da Dorsey nella sua catena di tweet: Stephen Wolfram. Il noto matematico britannico, ideatore fra l’altro del motore di ricerca Wolfram Alpha, è stato audito dal Senato USA nel giugno di quest’anno. Wolfram ipotizza che la soluzione ai problemi sempre più evidenti creati dalla selezione algoritmica dei contenuti non consista tanto nel rendere gli algoritmi più trasparenti in sé (obiettivo in sostanza non realizzabile), quanto nell’offrire agli utenti piena libertà di scelta.

«Perché ogni aspetto relativo alla selezione automatica dei contenuti deve essere fatto da una singola azienda?» si domanda Wolfram. «Perché non aprire la pipeline e creare un mercato in cui gli utenti possano scegliere da soli?» (si veda la sintesi della sua testimonianza in Senato: Testifying at the Senate about A.I.‑Selected Content on the Internet).

Il modello di Square

Dorsey non esclude che lo standard di comunicazione per i futuri social network decentralizzati esista già e che il compito di Bluesky sia quello di identificarlo. Se però così non fosse, aggiunge il fondatore di Twitter, si tratterà di progettare un protocollo del tutto nuovo. Un po’ come sta facendo Square nell’ambito di bitcoin.

In effetti perché creare un nuovo protocollo, dal momento che ne esistono già alcuni molto interessanti? é il caso di ActivityPub, nato in seno al Word Wide Web Consortium (W3C). Perché dunque non investire nei progetti in corso, anziché creare un misterioso team come Bluesky? È ciò che si sono chiesti gli ideatori dei social network decentralizzati già operativi, reagendo con un certo sarcasmo all’annuncio di Dorsey. Una sintesi del dibattito suscitato dalla nascita di Bluesky si trova nel post di Adi Roberson Twitter wants to decentralize, but decentralized social network creators don’t trust it (The Verge, 12 dicembre 2019).

 

Paolo Costa
Paolo Costa
Socio fondatore e Direttore Marketing di Spindox. Insegno Comunicazione Digitale e Multimediale all’Università di Pavia. Da 15 anni mi occupo di cultura digitale e tecnologia. Ho fondato l’associazione culturale Twitteratura, che promuove l’uso di Twitter come strumento di lettura attraverso la riscrittura.

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