La selezione del personale incontra i social media. Si chiama social recruiting e si fa su LinkedIn (ma anche Facebook e Twitter). Un libro di Anna Martini e Silvia Zanella spiega come il digitale ha cambiato l’incontro fra offerta e domanda di lavoro.

In un mondo in cui tutto sembra diventato social, l’attività di selezione del personale non poteva fare eccezione. LinkedIn, ma anche Facebook, Twitter e – perché no? – Instagram sono piattaforme sempre più usate dalle organizzazioni di tutto il mondo per la ricerca dei talenti e l’identificazione dei migliori candidati all’assunzione. Siamo dunque entrati nell’epoca del social recruiting, la nuova frontiera della selezione in versione 2.0.

Ma, al di là della facile retorica, qual è il senso di questa nuova tendenza? Visto che il tema è ormai sulle tastiere di tutti, quando ci si occupa di ricerca e gestione del personale, abbiamo deciso di dedicare al social recruiting una serie di approfondimenti. Lo facciamo, in questa prima puntata, partendo da alcune riflessioni e dai molti dati forniti da Anna Martini e Silvia Zanella, autrici di Social Recruiter. Strategie e strumenti digitali per i professionisti HR, edito recentemente da FrancoAngeli.

«Ogni azienda è un social network». È questo il refrain del libro di Martini e Zanella. Ed è l’affermazione che meglio evoca ciò di cui vogliamo parlare in queste righe.

Social Recruiting

Il mondo del recruiting in Italia

Il mondo della selezione del personale oggi è completamente diverso rispetto a quello di vent’anni fa. E di certo questa non è una notizia. La funzione Risorse Umane (o Human Resouces, HR) nel suo complesso ha subito incredibili trasformazioni negli ultimi tempi. Un cambiamento importante è coinciso con l’avvento di Internet. Negli anni Novanta, in particolare, dall’America è arrivata una grande rivoluzione nella selezione del personale: l’online recruiting.

Nel nuovo libro sul social recruitingAnna Martini – impegnata nelle Risorse Umane da 17 anni, oggi Digital HR Manager & Personal Branding Strategist per il Gruppo Lavorint  scrive di questo cambiamento. E sottolinea come anche in Italia, esso sia arrivato con un leggero ritardo. Per questo job board (vere e proprie bacheche virtuali), annunci e agenzie per il lavoro hanno avuto e hanno tuttora notevole importanza nel sostenere l’incontro fra domanda e offerta: nella ricerca di un nuovo impiego da una parte e in quella del candidato ideale dall’altra.

Oggi però non basta più pubblicare un annuncio: il recruiter del 2018 non aspetta che il candidato risponda a una proposta di lavoro, scritta chissà su quale bacheca o portale. Il recruiter 2.0 sa che per trovare il giusto candidato deve attivare anche i candidati passivi: coloro che non stanno cercando lavoro. Come fa? Attraverso l’uso dei social network (78,3% dei recruiter secondo i dati della ricerca ‘Work Trend Study 2015’ dell’osservatorio di The Adecco Group: indagine realizzata su 2.742 candidati e 143 recruiter in Italia). Ogni selezionatore, infatti, ha il compito di trovare il candidato ideale nel minor tempo possibile. Oppure di fare in modo che siano i candidati a trovare loro.

Chiaro è che creare una relazione sui social è sicuramente più facile e comodo – anche logisticamente – che aspettare di farlo di persona. E questo non lo diciamo noi, lo confermano i dati: il 64% dei recruiter e l’80% dei candidati ricercano sul Web. I recruiter:

  • verificano i CV (75,5% dell’uso di LinkedIn)
  • la rete del candidato (67,1%)
  • i contenuti pubblicati (57,3%)
  • la web reputation dei candidati (50,3%)
  • scoprono i tratti della personalità dei candidati (35,7%).

Il 35% dei recruiter ha dichiarato, inoltre, di aver escluso alcuni candidati dalla selezione a causa delle informazioni contenute sui social. Viceversa, i professionisti utilizzano i social media per:

  • cercare lavoro (51%)
  • distribuire i CV (50%)
  • cercare le pagine dei potenziali datori di lavoro (47%)
  • informarsi sui recruiter (42%)
  • informarsi sull’azienda o sul datore di lavoro (36,4%).

Il 76% dei candidati dichiara di aver verificato la reputazione dell’azienda sui social.

Social recruiting: contaminazione tra HR e marketing

Le potenzialità dei social media, descritte da Silvia Zanella – International Marketing and Communications Director, Digital HR, Social Recruiting, Employer Branding per The Adecco Group – tratte dal rapporto del McKinsey Global InstituteThe Social Economy: Unlocking Value and Productivity” possono essere riassunte in 10 processi principali, trasversali a differenti settori di business: co-creazione, previsione della domanda, distribuzione, ricerche di mercato, interazioni con i clienti. Quindi se le potenzialità sono molteplici, perché non sfruttare i social media per la selezione del personale?

Ed eccoci qui, giunti al nocciolo della questione: i social media. I quali non sono solo gattini coccolosi e video virali su Facebook. Se sfruttati nel modo giusto, i social network possono diventare un’arma molto potente. Possono far trovare il candidato ideale, far incontrare e conoscere i valori di un brand per scoprire di condividerli fino al punto da spingere tale candidato a inviare la propria candidatura, nonostante non sia alla ricerca di un nuovo impiego. O, al contrario, possono far vedere chi si è veramente e scoprire che la vita digitale e quella reale sono ben diverse da come si vorrebbe far credere. La sensazione che emerge leggendo le parole di Martini e Zanella è che a volte le persone tendano a creare un profilo online che non corrisponde alla realtà: una sorta di profilo digitale, ideale.

In questo scenario un ruolo importante lo ricopre il marketing che interviene nel processo di reclutamento per far percepire una posizione vacante come un prodotto. Le offerte di lavoro, come quelle per i prodotti, devono essere pubblicizzate e rientrare in una strategia di brand awareness. Un datore di lavoro deve avere una buona reputazione e attrarre i potenziali candidati. Per questo i primi promotori di un’azienda sono i dipendenti della stessa: un dipendente gratificato, ha una relazione con il brand, relazione che spinge il dipendente a parlare del suo impiego anche sui social network, condizionando positivamente altre persone. Per questo diventa sempre più importante la figura del brand ambassador.

Anna Martini nel testo scrive: «chi si occupa di Risorse Umane ha il compito di far sì che il luogo di lavoro sia come una calamita, capace di attrarre e ispirare, rispondendo ai desideri di realizzazione, ma anche di socializzazione, dei singoli individui». E ancora, «quella tra azienda e collaboratori è un’alleanza inedita».