La notizia della quotazione di H-Farm, l’acceleratore per startup fondato dieci anni fa da Riccardo Donadon, ha ottenuto in questi giorni un certo risalto. H-Farm chiede al mercato dai 25 ai 30 milioni di euro per cambiare pelle e fare il salto di qualità. La nuova organizzazione lavorerà su tre fronti: 1) investimenti nelle startup del futuro, 2) servizi alle imprese che vogliono innovare col digitale e 3) educazione.

Naturalmente anche Spindox fa il tifo perché questo sogno si realizzi. Ci sono tre ragioni, in particolare, per cui secondo noi la scommessa di Riccardo Donadon è importante. E intendiamo dire che è importante per il Paese. Esse hanno a che fare con il modello di acceleratore che H-Farm ha sviluppato in questi anni, diverso da molte altre esperienze in Italia e all’estero. Per questo speriamo che cambiare pelle non significhi cambiare sostanza.

La prima ragione è che H-Farm non persegue uno schema astratto. Certo, si capisce che l’esperienza della Silicon Valley è stata compresa e assimilata dalla squadra di Donadon. Ma a Roncade, dove l’acceleratore ha la sua sede, si segue una strada originale. Chiamatela la via veneta all’innovazione digitale. O, se preferite, la via italiana. Il fulcro di questo modello è la forte integrazione fra le idee di business che nascono dal basso e i valori del territorio. Donadon non cerca di fare le stesse cose che si fanno – generalmente con più risorse – in California, a Berlino o in Israele. L’obiettivo è fare ciò che in nessun altro luogo del mondo si può fare bene come in Italia. Il genius loci esiste e ha un valore: è fatto di creatività, gusto per le cose belle, capacità di tenere insieme la dimensione industriale e quella artigianale, attenzione ai tratti intangibili dell’esperienza. Pensiamo che, anche dopo la quotazione, H-Farm debba insistere lungo questa strada.

La seconda ragione per cui il modello di Roncade ci piace è che persegue con pervicacia l’integrazione fra le idee di business delle startup e i bisogni del tessuto industriale locale, fatto di tante piccole imprese ma anche di alcuni campioni, come Benetton, Diesel, Luxottica, Marzotto, De’Longhi e Riello. Gli hackathon organizzati da H-Farm in grande quantità altro non sono che un modo per mettere in contatto questi due mondi, per fare dialogare l’innovazione “disruptive” con la sapienza dell’impresa affermata. In questo modo crescono le opportunità sia per le startup sia per l’industria matura: le une hanno bisogno dell’altra.

Infine H-Farm ha deciso di puntare sull’educazione. Questa è la terza ragione per cui dovremmo prendere la sua proposta molto sul serio. Perché il vero gap del nostro paese non è legato alla carenza di capitali o di infrastrutture, ma a un ritardo di tipo culturale. E diffondere la cultura digitale nel mondo dell’educazione non significa, semplicemente, portare la banda larga e tanti tablet in tutte le scuole. Anzi, senza gli strumenti critici necessari a comprendere il senso del cambiamento, la disponibilità di gadget tecnologici rischia di essere addirittura controproducente. Ecco perché la scommessa di Riccardo Donadon nel campo dell’educazione è la più difficile, ma anche la più bella e la più importante.

Se andate a Roncade, poche centinaia di metri prima di raggiungere gli uffici di H- Farm vi imbattete nella sede di Digital Accademia, voluta alcuni anni fa da Donadon. È un posto magico: in mezzo ai campi sulla riva del fiume Sile si tengono corsi di coding, storytelling, robotica, pensiero digitale e molto altro. In Digital Accademia manager e bambini della scuola elementare imparano il digitale come nuova forma di artigianato, come modo di trovare soluzioni ai piccoli e grandi problemi del mondo. È da questo luogo, noi crediamo, che deve partire la prossima sfida di H-Farm.