L’osservatorio Startup del Polimi ha presentato i risultati 2016. Gli investitori aumentano, le startup vogliono nascere. Ma senza gli incentivi adatti si procede ancora a rilento.

L’Osservatorio Startup Hi-tech è nato con l’obiettivo di fare cultura e accelerare l’innovazione delle aziende italiane. Organizzata dal Politecnico di Milano in collaborazione con Italia Startup, l’edizione 2016, la quarta, si è appena conclusa.

Il primo fattore analizzato sono stati i finanziamenti alle startup, distinti in due categorie: formali e informali.

Facendo i conti

Complessivamente gli investimenti stanno superando il periodo di oscillazione del triennio 2012-2014, attestandosi a 147 milioni di euro nel 2015 (+22%). Per il 2016 si stima che raggiungeranno i 182 milioni, un nuovo, incoraggiante aumento del 24%.

In particolare sono i finanziamenti informali a fare la differenza. Cresciuti costantemente negli ultimi quattro anni, si stima che nel 2016 supereranno i 100 milioni.

Un ulteriore contributo è arrivato da finanziamenti provenienti da attori internazionali, che quest’anno hanno contribuito all’ecosistema italiano con 35 milioni.

Il totale del 2016 è, ad oggi, di 217 milioni di euro. Certo può sembrare pochissimo, a confronto con gli investimenti generati in altri paesi (non solo gli Stati Uniti). Tuttavia quella che conta è la tendenza alla crescita.

Una conferenza dal politecnico di milano riguardo le startup

Dall’Osservatorio Startup Polimi.

Le regioni che investono di più nelle startup sono quelle del nord (58% del totale nazionale), seguite da sud e isole al 36%, in crescita lenta ma costante. Il settore che riceve più finanziamenti è quello del digitale.

Ma quali sono gli effetti di questa crescita?

Prima di tutto l’indotto occupazionale.

Dai 1565 posti di lavoro a tempo indeterminato del 2014 si è arrivati ai 2420 di oggi. Apparentemente pochi. Tuttavia occorre tenere presente che si tratta solo dei dipendenti full time che risultano a bilancio. E si sa che le startup sono composte in gran parte da lavoratori occasionali, giovani che cercano la svolta o appassionati che coltivano i loro sogni fuori dal tempo che dedicano a un altro lavoro. Considerando anche loro, si stima che il numero sopracitato si moltiplichi per sei: così più di 14 mila persone sarebbero coinvolte nel settore.

Gli esempi di startup che hanno conquistato gli investitori non mancano: Moneyfarm, TalentGarden, nousCom, Movendo, Musement, Rigenerand, Credimi, Mosaicoon, Silk, BeMyEye. Tutte sostenute da finanziamenti tra i 6,5 e i 23 milioni di euro.

L’ecosistema startup italiano

L’ecosistema delle startup hi-tech italiano sta crescendo e ha voglia di farlo, ma non ha ancora raggiunto le dimensioni a cui ambisce. Soprattutto, come dicevamo, non compete con le cifre di altri paesi.

In Francia nel 2015 si sono contati due miliardi di investimenti, che potrebbero raggiungere i 2,5 miliardi nel 2016. Sempre nel 2015 in Germania i finanziamenti formali e informali hanno raggiunto i tre miliardi, di cui 2,1 solo in startup nate a Berlino.

La crescita c’è anche nel nostro paese, ma bisogna pianificare bene come accelerarla. In questo senso un altro dato interessante è che il 70% delle imprese finanziate dagli investitori è iscritta nel registro delle startup innovative. Non molte, secondo i relatori. La politica di incentivi fiscali in atto potrebbe non essere quella più adatta per favorire lo sviluppo del settore.

Paolo Gesess di United Ventures, sostiene che è la prospettiva a lungo termine a mancare. «Le startup per crescere hanno bisogno di tempo, più che di soldi. Serve fare esperienza e crescere. In un orizzonte temporale non di due anni, ma di dieci».

Gesess suggerisce agli startupper di ambire da subito al panorama internazionale, sia per cercare finanziamenti, sia nel progettare la propria crescita. «All’estero le grandi imprese investono in startup molto più che in Italia, comprese le istituzioni finanziarie. Il problema è che rischiamo di farci sottrarre delle occasioni».

Il riferimento è a MoneyFarm, che è cresciuta grazie all’investimento di Allianz, invece di essere sostenuta da finanziatori italiani.