Stoorm5 è la piattaforma IoT per la meccatronica, la logistica e il settore farmaceutico. Dall’università che fu di Pico della Mirandola, Nicolò Copernico e Erasmo da Rotterdam un bel segnale per l’industria 4.0 italiana.
Oggi chiunque abbia un software capace di gestire flussi di informazione e di scambiare un bit di informazione pretende di possedere una piattaforma IoT. Molte aziende ostentano, all’interno dei loro stack tecnologici e di offerta, una simile soluzione. Eppure, se si va a vedere nello specifico, non è tutto oro quel che luccica. «Ci sono tanti software che raccolgono dati, ma un software che raccoglie dati non è una piattaforma IoT». La considerazione è di Aldo Campi, CEO e co-founder di Stoorm5. E proprio a Campi abbiamo chiesto di raccontarci come deve essere, dal suo punto di vista, una vera piattaforma IoT. Soprattutto, gli abbiamo chiesto di parlarci di Stoorm5.
Il valore aggiunto – spiega Campi – risiede nei layer di servizio integrati nella piattaforma. «Nell’IoT e nell’industria 4.0 lo scambio dei dati è cruciale ma non può limitarsi ad un mero scambio di informazioni. Queste informazioni vanno protette, vanno storicizzate, vanno strutturate.» Si tratta di costruire attorno al prodotto tutta una serie di funzionalità e di componenti che spesso, tuttavia, vengono proposte a parte da fornitori scaltri che le spacciano come personalizzazioni ad hoc per il cliente. Quando invece, in una vera piattaforma ioT, la gestione delle informazioni non costituisce un extra ma in qualche modo fa parte del prodotto stesso. «Questo è ciò che differenzia un software che raccoglie dati da una piattaforma IoT», aggiunge il fondatore di Stoorm5.
Dalla teoria…
Quando è stata fondata (marzo 2015), Stoorm5 non aveva vecchi software da rimarchiare o un pregresso da dover in qualche modo armonizzare e rendere di nuovo attuale. «Siamo nati con la piattaforma e dalla piattaforma stessa. L’abbiamo creata da zero, ma da un punto di vista certamente privilegiato.» Stoorm5 è infatti il risultato di più di cinque anni di studio e ricerca – accademica e industriale – in seno all’Alma Mater Studiorum di Bologna. «Una posizione, questa, che ci ha permesso di scorgere anzitempo un orizzonte che si stava addensando di nubi e soli fra IoT e industria 4.0. Quando ci siamo resi conto che avevamo dell’expertise tecnologico per realizzare un prodotto competitivo anche a livello di mercato, siamo usciti dall’università e abbiamo iniziato a lavorare a una piattaforma di IoT che è poi diventata la nostra piattaforma di riferimento: Stoorm5, per l’appunto. In questa prima fase non siamo andati subito a mercato ma ci siamo focalizzati sulla creazione di un solido background tecnologico. L’aver studiato e affrontato prematuramente la questione ci permette oggi di essere un’azienda ancora piccola ma molto competitiva.» Soprattutto in un panorama – di nuovo, quello dell’IoT e dell’Industria 4.0 – che accoglie di fatto argomenti estremamente attuali ma su cui non ci sono competenze. «La gente le racconta commercialmente ma ne sa poco o nulla. E i clienti capiscono quando sono solo parole e quando invece hanno davanti un interlocutore serio e preparato che queste cose le ha veramente affrontate.»
…alla pratica
La provenienza dal mondo accademico è stata quindi certamente un grosso vantaggio per Stoorm5: “in fase di ricerca si ha tempo e modo di rimanere focalizzati sulla tecnologia. Non si hanno i tempi frenetici del lavoro in azienda.” Ma si è rivelata anche un grande svantaggio commerciale, perlomeno all’inizio. “Quando vieni dal mondo universitario, siccome l’azienda e l’università sono un po’ come l’acqua e l’olio, la gente ti guarda con diffidenza. Circola ancora il pregiudizio, che ha il suo fondamento di verità, per cui gli accademici trattino i problemi di ricerca in maniera non molto concreta. D’altra parte l’interlocutore che ha i soldi spesso e volentieri non ha una conoscenza tecnica approfondita. Guarda ai suoi tecnici, cui chiede un parere. Poi però fa altri tipi di valutazioni, di carattere imprenditoriale e commerciale.” In queste valutazioni il valore tecnico è un prerequisito di modesto valore. “Noi di Stoorm5 siamo stati in parte capaci, in parte fortunati e sicuramente caparbi a far sì che il nostro valore tecnologico potesse in qualche modo sopperire a questa diffidenza commerciale.”
Fare startup
Per fare una startup o, più in generale, per fare nuova impresa tuttavia non bastano i piedi buoni; non basta avere le idee migliori e più innovative: «se siete dei bravi tecnici ma non siete dei buoni imprenditori molto probabilmente siete in quel 96% di startup che falliscono», ammonisce Campi. In questo senso la testimonianza di Stoorm5 fa sicuramente riflettere: «provate a uscire con un prodotto innovativo in un mercato B2B enterprise; prima di riuscire a strappare un contratto il cammino è lungo – e quasi sempre in salita. Le aziende infatti vogliono avere a che fare con altre aziende; vogliono sapere che non sarete fra quel 96% che fallisce ma che rimarrete sul mercato. Ci sono tante, forse troppe forche caudine sotto cui passare quando si è nuovi. È allora di fondamentale importanza creare le condizioni perché essere una startup in Italia sia meno un rischio e più un’opportunità.»
Ormai Stoorm5 ha superato questa fase. Racconta ancora Campi: «Abbiamo tutta una serie di oggetti tecnologici nel nostro service layer che gli altri non hanno: layer di servizio di connessione multi-protocollo e multi-modale, layer di memorizzazione, layer di elaborazione, data model non strutturato, che ci permettono di realizzare delle applicazioni per i nostri clienti riducendo drasticamente tempo e costi – dai tre quattro mesi solitamente necessari per progetti di integrazione tra macchine con dashboard a 3/4 settimane. Questi oggetti tecnologici sono già presenti all’interno della piattaforma. Devono solo essere configurati e adattati di caso in caso.»
Per quanto riguarda i progetti in cantiere, Stoorm5 lavora su tre settori principali: industriale (meccatronica), logistico e pharma & health. Qualche esempio: «abbiamo avviato un progetto di localizzazione dei macchinari biomedici all’interno degli ospedali pubblici. Un ospedale pubblico, in media, è dotato di qualche migliaio di apparecchiature mobili. Siccome gli spazi sono grossi, capita che i tecnici per la manutenzione non riescano a trovarle. Tramite la nostra piattaforma è allora possibile conoscerne e monitorarne costantemente ubicazione e tasso di utilizzo. Siamo poi molto attivi in ambito manutenzione predittiva.»