Al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano è di scena l’installazione di arte generativa di Streamcolors. L’immaginazione digitale alla ricerca delle particelle e della materia oscura, per rendere visibile l’invisibile.
Streamcolors ha colpito di nuovo, fedele alla propria missione: usare il software per manipolare colore e forma di ciò che vediamo, e smentire così l’idea che le immagini siano garanti di una rappresentazione oggettiva della realtà. Ma questa volta la performance di arte generativa dello studio digitale milanese si è posta al servizio della scienza, fornendole – per così dire – un linguaggio visivo.
L’installazione di Streamcolors ha infatti inaugurato l’esposizione permanente Extreme. Alla ricerca delle particelle, visitabile dal 13 luglio al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano Leonardo da Vinci. Un lavoro svolto in collaborazione con CERN e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. L’immaginazione creativa di Streamcolors ha provato insomma a rendere visibile la materia oscura: quella parte dell’universo che, non emettendo radiazione elettromagnetica, non può essere osservata in modo diretto. Della materia oscura sappiamo solo che, all’interno del modello standard della cosmologia o Lambda-CDM (quello del Big Bang, per intenderci), non può non esistere. Essa si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali. La materia oscura ha una sua massa (l’86% della massa dell’universo) e una sua energia, ma è priva di luce.
Esperienze immersive
Streamcolors è uno studio di arte digitale milanese che elabora forme di comunicazione visuale decisamente innovative. Recentemente la startup ha ottenuto il sostegno di iC-innovazioneCulturale, il bando di idee di Fondazione Cariplo giunto ormai alla sua terza edizione. Alle spalle c’è un’esperienza pluriennale maturata nel campo del videogame design e della rappresentazione 3D. Del resto Giacomo Giannella, fondatore dello studio insieme a Giuliana Geronimo, proviene proprio dal mondo del videogame. Combinando sensibilità artistica e sapienza tecnologica, software proprietario e soluzioni state-of-the art, Streamcolors realizza installazioni interattive per schermi e videowall. È una fabbrica rinascimentale di immagini digitali: immagini da mettere in scena e spettacolarizzare.
L’obiettivo è coinvolgere il pubblico. Non basta osservare: occorre immergersi nell’opera, contribuire alla sua generazione in tempo reale, prenderne possesso. In parte è un gioco, e non a caso lo strumento utilizzato per governare questa esperienza e il console joystick tanto familiare a ogni videogamer, oltre allo schermo multitouch.
In questi anni Streamcolors si è mossa fra arte pura e didattica, comunicazione museale e branding, installazioni al servizio degli spazi pubblici e scenografie teatrali. In tutti i casi, con esiti molto alti. Ecco, per esempio, il lavoro realizzato per Etro in occasione della sfilata milanese della collezione uomo primavera 2015:
Qui sotto, invece, presentiamo alcune immagini della Color Odissey. Il lavoro è stato realizzato durante l’ultimo Fuorisalone di Milano, insieme a DOOH.it e Music Architecture, per il teatro D Loft:
Ci siamo confrontati con Giacomo Giannella sul suo lavoro e sui programmi futuri di Streamcolors. Partendo dagli aspetti teorici che sono alla base dell’ispirazione dello studio. Perché Estreme è un’operazione concettualmente molto sofisticata. È uno spettacolo pieno di idee sul futuro dell’arte. In particolare sul rapporto fra arte e scienza.
Uno degli aspetti interessanti dell’immaginario artistico, infatti, è la sua disponibilità a fornire alla scienza un serbatoio di risorse linguistiche utili a comunicare i propri risultati. E non si tratta di un fatto esclusivo dell’epoca moderna e contemporanea. Famoso il caso di Keplero, che si immagina sulla Luna a osservare la Terra (esempio ripreso poi da una serie di installazioni interattive sullo spazio-tempo realizzate da Studio Azzurro nel 2007). Certamente il linguaggio digitale offre nuove possibilità. Pensiamo al medical imaging, che si colloca spesso a metà strada fra la comunicazione scientifica e lo spettacolo. Penso ai casi di Anatomical Travelogue e Nucleus Medical Media.
In principio fu Stanley Kubrick
D. Qual è la vostra posizione a riguardo? Che ruolo avete inteso giocare con l’installazione per la mostra Extreme?
R. Mi piace che tu abbia usato il termine “giocare”. Parto con una piccola premessa: Streamcolors è una metodologia di scomposizione del reale che da oltre 12 anni gioca con le tecnologie e la creatività per trasformare digitalmente il mondo che ci circonda.
Processi di grafica digitale e processi progettuali si sono ritrovati a creare un nuovo linguaggio visuale interattivo della realtà. Per farlo abbiamo sempre ricercato nella bellezza della natura, dei luoghi e della scienza per ottenere nuovi remix estetici in grado di emozionare e appagare con risultati inaspettati. Questa è la direzione estetica della nostra ricerca.
Con la scienza il discorso è diverso. Non siamo più alla ricerca dell’inaspettato e del bello. Qui siamo al servizio del reale e ci siamo messi in gioco per creare un software interattivo in grado di rispondere alla curiosità e al significato scientifico legato al tema della materia oscura e di come questa influenzi le galassie.
Questo tema di ricerca proposto dal Museo della Scienza e della Tecnologia ci ha ingaggiato da subito. Da anni Streamcolors progetta seguendo l’ispirazione da tematiche connesse al cosmo e allo spazio. In tutto il percorso di ricerca molte scelte di tipo progettuale sono state ispirate dal cosmo e dalle sue interpretazioni (in primis 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick).
D. Ma che cos’è, in pratica, il Dark Matter Simulator che avete presentato al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano?
R. Quando ci è stato chiesto di rappresentare come le galassie siano modificate dalla distribuzione della materia oscura nell’universo, per noi è stato come focalizzare una parte di ricerca che era già in atto e che a questo punto poteva diventare un prodotto per le persone. Da qui la nascita del Dark Matter Simulator, un sistema particellare dinamico che genera una galassia e che è pilotato interattivamente dalla quantità di materia oscura e dal suo accorpamento.
Detto così sembra complesso, ma provando l’installazione ci si accorge rapidamente del rapporto causa/effetto. Più materia oscura ammasso, più la velocità della galassia accelera. Oppure la disperdo e la galassia si sfalda. In questa relazione tra causa/effetto ciascun visitatore può trovare la propria dimensione e il proprio risultato. Creando così la propria unica galassia. Per questo motivo abbiamo ritenuto importante inserire nel software delle funzioni che permettessero una visualizzazione e un’esplorazione visuale della galassia, in maniera da percepire l’informazione attraverso il medium dell’esplorazione virtuale che contraddistingue tutti i lavori realizzati come Streamcolors.
Dall’arte astratta alla realtà “estratta”
D. Il vostro lavoro consiste in una manipolazione – per via digitale – del colore e della forma di ciò che vediamo. In questo modo smentite l’idea che le immagini siano garanti di una rappresentazione oggettiva della realtà e che, in ogni caso, rimandino a un referente esterno. Sconfessate l’immagine come parvenza della realtà, insomma, secondo il mito platonico della caverna. Paul Klee diceva: “l’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile”. Le immagini che proponete sembrano un artefatto della mente, qualcosa che muove da dentro: dall’interno verso l’esterno. Mi sembra che in ciò siate molto vicini all’espressionismo astratto del primo Kandinskij. Quanto pesa l’eredità del pittore russo nella vostra ispirazione?
R. Kandinskij è da sempre il maestro, la guida spirituale che interroghiamo alla ricerca del percorso di ricerca estetica intrapreso. Fin dai primi momenti ci ha accompagnato e si è rivelato la chiave di interpretazioni e teorie che di volta in volta si sono presentate nel corso della ricerca artistica del progetto Streamcolors.
Da sempre ho adorato l’arte astratta. Ha sempre avuto su di me una presa, una luce. La luce però diventava flebile quando poi alla fine cerchi di interpretare l’opera con strumenti che spesso sono legati a una propria prefazione e critica soggettiva. Questo è il fascino dell’astratto. Ed è da questo punto che Streamcolors parte, trasformando la realtà astratta in realtà estratta, ovvero una rappresentazione altra del reale. I nostri elaborati anche se iperastratti in realtà partono sempre dal reale dal reale.
A questo aggiungiamo le tecnologie real-time del gaming, perché crediamo che sia il linguaggio del futuro. Sta spopolando nell’entertainment e sarà la maniera più naturale per le prossime generazioni per fruire, assimilare e interagire con i concetti.
Il gaming come piattaforma estetica
D. Concordate con l’idea che l’arte digitale sia postmediale, nella misura in cui la softwarizzazione comporta la decostruzione di tutti i media – pittura, fotografia, cinema, televisione – e il loro collasso in un unico metamedium, il computer?
R. Credo che oggi i media siano tutti validi e maturi, ma come tutte le cose valide e mature tendono a raffinarsi e perdono strade evolutive del media che potrebbero portare una reale innovazione. Per questo motivo come Streamcolors abbiamo abbracciato il medium del game e lo stiamo portando a fare cose nuove. Una sorta di primo sbarco sulla luna. Abbiamo la possibilità di creare orde di zombie virtuali che ci inseguono, ma la nostra attenzione è creare esperienze che siano diverse, altre in grado di rivoluzionare ed espandere le barriere del percepito.
Grazie all’alta specializzazione Streamcolors, che si avvale di professionisti nel settore gaming con oltre 20 anni di esperienza, tutto questo è possibile e può diventare una piattaforma in sviluppo e crescita in grado di portare il linguaggio e l’interattività del gaming anche in nuovi campi. Coinvolgendo, emozionando e innovando nei settori in cui si interviene.
Per questo motivo Streamcolors si sta strutturando in due forti anime, una sociale e una commerciale. La divisione sociale si applica di portare i prototipi e le soluzioni interattive in ambiti connessi alla cultura, aprendo così nuove strade ai contenuti e coinvolgendo così nuovi pubblici intorno al patrimonio culturale. La seconda anima invece, quella commerciale, svilupperà sempre più tool e applicazioni in grado di abilitare le persone a usare la propria immaginazione, il proprio tempo e la propria curiosità per fini connessi a un miglioramento della propria persona.
Dal design personalizzato al gaming passando da importanti progettualità per chi oggi innova ed è protagonista nel mercato della moda, della comunicazione e della didattica. Non escludiamo anche di studiare tool interattivi orientati verso l’arte terapia e l’esplorazione del proprio subconscio (giuro che è vero).
D. Quanto pesa la dimensione del caso e dell’errore (il glitch) nella vostra ispirazione?
R. L’errore è un passaggio necessario. A patto che questo errore sia frutto del fatto di esplorare nuovi scenari con nuove regole. In quel caso l’errore diventa la variabile unica e inaspettata in grado di creare una condizione di incanto. Per questo motivo in Streamcolors amiamo la dimensione del caso. I nostri lavori video contengono all’interno di piani sequenza errori dettati dal fatto che, essendo live, tutto quello che finisce a video è a rischio in ogni istante di errori. Inizialmente d’istinto ho sempre pensato di rimuovere le parti di errore, mentre oggi mi rendo conto che sono proprio queste parti a rafforzare il concetto che sta dietro ogni nostro lavoro.
Crediamo che l’errore sia il portale d’ingresso per la creatività è il digitale ci mette nella condizione di controllarli e processarli. In maniera da catturare l’inaspettato e irripetibile per sempre, portandolo nella propria vita come prova di aver vissuto un’esperienza altra è connessa in maniera esclusiva ed unica con la mia persona.
Live e social
D. Il nome del vostro studio evoca il concetto di streaming. Oggi l’attenzione è rivolta in particolare al live streaming, ossia a forme espressive e di comunicazione nelle quali il momento della realizzazione (il gesto dell’artista) coincide con quello della fruizione (il consumo da parte del pubblico). Diciamo anzi che il pubblico irrompe sulla scena: si impossessa del con- tenuto artistico e lo riperforma. In che misura tutto ciò corrisponde con la vostra esperienza?
R. Il nostro medium è da oltre dodici anni live. Possiamo pianificare quanto vogliamo gli shoot che registriamo per i video, ma questi saranno sempre live. Fare il passaggio successivo di questo è quello di creare dei momenti di esplorazione live condivisa e qui i social si stanno muovendo alla grande. Sicuramente questa sarà la direzione con cui vogliamo progettare per il futuro è lavoreremo perché un giorno siano le persone stesse a condividere le proprie esplorazioni, scoperte e creazioni.
Questa è la big picture Streamcolors. In questa direzione abbiamo già elaborato format live per eventi sotto forma di scenografie interattive (usati per Meet The Media Guru, ETRO e Martini) dove l’esplorazione tridimensionale era all’interno di contenuti fotografici dell’evento realizzati dalle persone presenti e gestiti attraverso un hashtag preciso. Questo permetteva alle persone di partecipare al caso e di influenzare l’evento a cui stava assistendo creando così un forte imprinting emozionale sulla serata. Oggi si apprende più facilmente se si è protagonisti.
D. Per le vostre produzioni utilizzate un software proprietario. Senza svelare segreti industriali, potete dirci quali scelte tecnologiche e architetturali avete adottato? Integrate la vostra piattaforma con l’uso di altre tecnologie di produzione e post-produzione?
R. Abbiamo una strategia di ricerca e sviluppo che porta avanti sia software proprietario ed altamente specializzato sia software di terze parti. Nel primo caso per il software proprietario possiamo sviluppare completamente liberi e svincolati da struttura. Questo porta grande libertà ma poca efficienza produttiva. Per la produzione realizziamo software usando soluzioni ibride di software esistenti con l’integrazione di codice custom in base alle varie esigenze. Per esempio per l’installazione Dark Matter Simulator abbiamo scritto e integrato il supporto del multitouch per l’Unreal anche su ambiente Windows, dove nessuno sviluppatore si sognerebbe mai di avventurarsi come scelta mainstream.