«La notizia della morte di Tesla è fortemente esagerata», direbbe Mark Twain. Ma forse un ciclo si è davvero interrotto. La partita dell’auto elettrica è ancora tutta da giocare. E Elon Musk potrebbe uscirne sconfitto.

Grande è la confusione in Silicon Valley e dintorni, fra una Tesla che qualcuno vede prossima al fallimento, una Facebook nell’occhio del ciclone per il data breach verso Cambridge Analytica e una Amazon assurta a bersaglio preferito di Donald Trump, quasi che Jeff Bezos fosse diventato da un giorno all’altro più cattivo del leader supremo nordcoreano Kim Jong-un.

Sospettiamo che si tratti di una confusione voluta. Il classico polverone mediatico, insomma. Fatti che hanno cause diverse sono stati letti attraverso le lenti della semplificazione giornalistica, come se si trattasse di un unico fenomeno: la caduta degli dei di quella che un tempo si chiamava new economy. Ma intanto per ora nessuno è caduto. Non è caduto Mark Zuckerberg, ovviamente. Ma neanche Elon Musk, il fondatore di Tesla.

Che al Nasdaq i titoli di alcune imprese hi-tech abbiamo registrato cadute e rimbalzi nell’ultima settimana di marzo è del tutto fisiologico. Qualcuno ci avrà guadagnato parecchio, come di consueto. Si tratterà di vedere come il mercato si comporterà nel medio periodo, anziché concentrarsi sulle sue reazioni istantanee a questa o quella notizia.

I problemi di Tesla non sono quelli di Facebook e Amazon

Se i casi di Facebook, Amazon e Tesla sono diversi, occupiamoci solo di quest’ultimo. Da settembre 2017 a oggi (29 marzo 2018) il titolo della società di Elon Musk ha perso quasi un terzo del suo valore, passando dal massimo storico di 385 dollari a 266 dollari. Sono lontani i tempi in cui Tesla era il produttore automobilistico con la maggiore capitalizzazione di mercato. Evidentemente il mercato ritiene che la società abbia più di un problema. E si tratta di problemi fra loro collegati.

andamento titolo tesla

L’incidente mortale che, il 23 marzo scorso, ha visto coinvolta una Model X lungo la Highway 101 a Montain View suona come un campanello d’allarme. Non è chiaro se al momento dell’impatto con il guard rail laterale il SUV della Tesla viaggiasse con l’autopilota inserito. Lo accerterà l’inchiesta avviata dal National Transportation Safety Board (NTSB). [Aggiornamento del 2 aprile 2018: Tesla ha confermato che la vettura uscita di strada il 23 marzo aveva l’autopilota inserito, con il sistema adattivo di controllo della distanza di sicurezza impostato sul minimo. Il conducente avrebbe ricevuto diversi avvisi di pericolo a partire da sei secondi prima dell’impatto, ma li avrebbe ignorati mantenendo le mani lontane dal volante.]

Peraltro nel giugno scorso il National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) aveva assegnato proprio al Model X, primo SUV in assoluto a potersene vantare, il rating massimo in relazione alla sicurezza. Il punto è che l’ultimo incidente è stato letto come la conferma di un fatto abbastanza noto, ma spesso dimenticato: la strada verso un’auto a guida autonoma ragionevolmente sicura è ancora lunga. E la guida autonoma è parte integrante della promessa di Tesla.

Una fabbrica che brucia cassa

C’è poi un secondo problema, più grave. La situazione finanziaria della società di Elon Musk è pessima. Nell’ultimo trimestre del 2017 Tesla ha perso 619 milioni di dollari, a fronte di vendite per 2,98 miliardi di dollari. La società brucia cassa, insomma. Ciò dipende dalla combinazione di due fattori: da un lato il ritardo nei piani di produzione della Model 3, con conseguente effetto negativo sui flussi di cassa; dall’altro il debito generato dalla controllata SolarCity (si veda l’analisi di Jim Collins su Forbes).

La produzione della Model 3 è a livelli di 2.500 unità a settimana. La metà rispetto all’obiettivo di 5.000 fissato dal piano industriale. Per accelerare servono nuovi investimenti. Ma per investire servono utili: proprio ciò che manca a Tesla, la quale nella sua storia ha visto solo due trimestri con un risultato in nero, nel 2013 e nel 2016.

Il terzo problema di Tesla sono gli altri, ossia i costruttori che si spartiscono il mercato mondiale dell’auto. Un mercato nel quale le dimensioni sono essenziali per affrontare le sfide del futuro. Lo sa bene Fiat Chrysler Automobiles, che prima o poi dovrà riaprire il dossier di una nuova alleanza strategica (ammesso che non lo stia già facendo, magari con un partner cinese). Lo sanno bene Renault e Nissan, sempre più vicine alla fusione. Lo sa bene Volkswagen, che è impegnata in uno sforzo titanico dal punto di vista degli investimenti.

Mercato auto elettricheC’è di mezzo la Cina

A novembre 2017 il costruttore tedesco ha siglato una jont venture da 10 miliardi di euro con il gruppo cinese Anhui Jianghuai Automobile, per lo sviluppo di una nuova gamma di vetture elettriche. In Cina anche Ford e General Motors stanno investendo in modo massiccio nell’elettrico. Lo sforzo dell’industria automobilistica mondiale in quel paese è legato alla decisione del governo cinese di introdurre vincoli sempre più stringenti sulle emissioni inquinanti dei veicoli.

Complessivamente nei prossimi tre anni Volkswagen dovrebbe investire 34 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. 20 miliardi di dollari saranno spesi per assicurare la disponibilità di batterie per tutti i veicoli elettrici prodotti in futuro dal gruppo tedesco (da notare che il mercato delle batterie al litio sta letteralmente esplodendo). Entro la fine del 2022, Volkswagen produrrà i suoi veicoli elettrici alimentati a batteria in 16 stabilimenti in tutto il mondo.

Insomma, contro giganti simili Tesla rischia di avere armi spuntate. Perché, come detto, la capitalizzazione di borsa non è sufficiente a finanziare gli investimenti di una società che resta troppo piccola per il mercato automobilistico. In passato si diceva che certe banche sono troppo grandi per fallire. Forse nel mondo dell’auto è vero il contrario: Tesla rischia di essere troppo piccola per avere successo.