Mobile enterprise. O, più brevemente, “MobEnterprise”. Com’è ovvio, non ci riferiamo ai mostri malefici chiamati mob nei video game. Né ai mob intesi come agglomerati di folla, per usare la terminologia sociale. Ma neppure alla logica dei gadget. Per noi mob è molto di più di una semplice app per smartphone. Nella nostra visione il neologismo MobEnterprise descrive uno nuovo tipo di organizzazione, che fa leva sulla tecnologia mobile come nuova fonte di vantaggio competitivo.
Quasi tutte le aziende, oggi, intendono giocare la loro parte nella arena del mobile. Molte dichiarano di essere già a pieno titolo in tale arena. Tuttavia per dimensionare l’opportunità occorre valutare la propria posizione da tre punti di vista: consapevolezza, predisposizione del contesto e predisposizione dell’organizzazione. Questi sono i tre fondamenti del successo dei ogni mobile enterprise.
In psicologia si parla di mindfulness. Con questa espressione si intende una strategia mentale che permette di mantenere il giusto focus sulle emozioni, senza ignorarne l’importanza ma neppure consentendo loro di prevaricarci. Metafora psicologica a parte, la mindfulness di un’organizzazione è la consapevolezza che essa esprime rispetto ai proprio obiettivi, alla propria cultura e al proprio approccio operativo.
Il primo punto ha a che fare con la strategia. E non c’è strategia, fintanto che non si impara a sfruttare il paradigma mobile come driver di innovazione. Il mobile fine a se stesso è una perdita di tempo e soldi. Meglio lasciare perdere. Perché dovremmo andare verso l’impresa mobile? Perché ne ricaviamo un vantaggio, ovviamente. Ma questo vantaggio si consegue ridisegnando il business e l’organizzazione in funzione del nuovo scenario. Proviamo a porci alcune domande. Stiamo sfruttando l’opportunità mobile per ridefinire o automatizzare i nostri processi? Stiamo pensando a nuovi prodotti o servizi? Usiamo il mobile per rendere più ricca e gratificante l’esperienza dei nostri clienti? Da ultimo: stiamo innovando la catena del valore che caratterizza il nostro business? Se non siamo in grado di formulare una risposta chiara a queste domande, forse dobbiamo riconsiderare la nostra strategia.
Anche la cultura è cruciale per abilitare l’ambiente mobile. Non c’è mobile enterprise, infatti, senza un modo di essere coerente con il nuovo modello. Un principio, questo, che si declina in vari modi. Per esempio cultura mobile significa vivere l’open source come un’opzione possibile, spesso come la più ragionevole. Soprattutto, non dobbiamo temere un certo grado di apertura dei nostri sistemi. A volte ciò si traduce nella disponibilità di accesso al codice, lasciando che sia la comunità a perfezionare e personalizzare le nostre applicazioni. In altri casi vuol dire dare accesso alle applicazioni via API pubbliche e ben descritte. La cultura mobile, poi, comporta anche una certa idea riguardo alle metodologie progettuali e di sviluppo, sempre più spesso di tipo agile o collaborativo. Così come il mobile suggerisce un approccio basato sulla analisi attenta del comportamento degli utenti. Ultimo, ma non ultimo, il grande tema del BYOD, che non deve essere visto come un tabu, ma valutato con grande attenzione.
C’è poi il tema delle competenze tecniche richieste per sostenere una strategia mobile. Prima di tutto occorre una visione dei problemi il più possibile olistica. Occorre ragionare a livello di azienda, non di dipartimento o funzione. Il che non significa operare subito a livello aziendale. In un primo momento, anzi, può essere più opportuno adottare un approccio mirato, che consenta di ridurre i rischi. L’importante è essere pronti a scalare a mano a mano che partono nuove iniziative. Adottando una modalità di progettazione centrata sull’utente, focalizzata e iterativa, fondata su un metodo per prove ed errori, l’azienda ottiene in breve tempo il feedback necessario a correggere l’impostazione di partenza, per cicli di approssimazione successivi. Ciò implica spesso l’adozione di un ambiente di sviluppo rapido (RAD) e una robusta infrastruttura in grado di rispondere all’interdipendenza tra sviluppo software e operations. In questo senso Spindox ha definito una strategia di delivery per i propri clienti fondata su due partnership strategiche: una con Amazon Web Services (che fornisce la giusta infrastruttura sul cloud) e Kony (che mette a disposizione una potente piattaforma di sviluppo mobile). È altresì importante adottare una logica di personalizzazione delle soluzioni guidata dai dati e fare leva su tutte le funzionalità dei terminali, comprese quelle più evolute.
Ma l’opportunità mobile va valutata anche in relazione all’adeguatezza del contesto. Non esiste una strategia sostenibile che sia valida per qualsiasi mercato, in ogni situazione, sempre e dovunque. La domanda è dunque: il contesto italiano è sufficientemente maturo per avventurarsi nell’arena mobile? Ebbene, la buona notizia è che l’Italia non è più – ammesso che lo sia stata in passato – la Cenerentola del mobile. Anzi: anche nel nostro Paese la capacità di interagire dentro e fuori l’organizzazione attraverso il canale mobile diventa un fattore critico di successo. I dati presentati un mese fa da Osservatori.net parlano chiaro. Oggi lo standard LTE è disponibile per oltre l’80% della popolazione ed è offerto all’interno di piani tariffari più che avvicinabili. In Italia sono in uso 40 milioni di smartphone e 10 milioni di tablet. E gli accessi a Internet in mobilità stanno superando quelli fissi, contando per circa 18 milioni di utenti giornalieri, circa un terzo della popolazione totale. Da ultimo è interessante notare che il 56% della forza lavoro italiana, pari a 13 milioni di persone possa essere ricondotto alla categoria dei mobile workers.
L’ultima dimensione riguarda la predisposizione dell’azienda. In questo caso ciascuno deve fare i conti in casa propria. L’organizzazione fornisce già applicazioni mobili per i propri utenti interno o esterni? E sulla base di quale strategia? Si tratta di un approccio di respiro aziendale, oppure di progetti isolati? Ma soprattutto: tale approccio è sostenuto da una piattaforma di sviluppo e gestione delle applicazioni e attraverso una chiara governance dei progetti?
Analizzando i driver della domanda su cui si basa la strategia attuale, possiamo renderci conto meglio di cosa stiamo dimenticando. Oppure scoprire che il focus è sbilanciato su obiettivi di tipo tecnologico, mentre trascura quelli di business. A tale scopo è utile stilare una lista dei benefici possibili e classificare quelli raggiunti, quelli solo perseguiti ma ancora da raggiungere, quelli fuori dalla nostra strategia.
Insomma un qualche esercizio di auto-verifica è sempre utile. Spindox ha messo a punto una mappa di posizionamento basata su una matrice a due dimensioni. La prima dimensione riguarda appunto la quantità e il peso dei benefici considerati. La seconda, invece, si riferisce al focus strategico. Esso può incidere più su obiettivi di tipo IT o – viceversa – su obiettivi di business. Ovviamente sono possibili diverse situazioni. Scarsi risultati e un focus sbilanciato sull’IT, per esempio, potrebbero significare un atteggiamento troppo timido e diffidente. In questi casi una ricognizione preliminare dei possibili obiettivi, magari con l’aiuto di Spindox, può aiutare a definire la giusta roadmap. D’altra parte se il focus è sugli obiettivi di business ma i risultati continuano a essere modesti, forse stiamo sottostimando le sfide implementative e dovremmo dunque preoccuparci di irrobustire la nostra infrastruttura. Se poi otteniamo buoni risultati a livello IT, ma non siamo focalizzati sul business, probabilmente stiamo perdendo delle opportunità.