Graydee, social media, video verticali e selfie. La digital agency di Spindox alle prese con La Sfida – A Vertical Short Film. Il corto.

Graydee: ‘La Sfida – A Vertical Short Film‘ è un cortometraggio di Graydee. La domanda è: “perché un cortometraggio”?

Daniel: «L’idea del cortometraggio nasce da uno studio dei video verticali. In Graydee ci siamo posti la domanda di conoscere approfonditamente questo nuovo tipo di formato, il video verticale per l’appunto (ne parlavamo già qui, ndr). C’è da dire che la nostra parola d’ordine è sperimentazione e andando in questa direzione abbiamo saputo dell’esistenza di un festival di cinema verticale a Roma, il primo al mondo sul tema: il Vertical Movie Festival. Ci siamo detti “partecipiamo!”. A essere sincero, la storia vera devo ancora raccontarvela.

Tutto è partito da un’e-mail: “ragazzi, approfondiamo il tema dei video verticali” ci ha esortati il nostro direttore creativo, Luca Lisci. Io ho risposto: “Sì, il tema è molto caldo in questo periodo. Ho scoperto che esiste anche un festival”. “Bene, ci ho iscritti!” ha prontamente risposto il Lisci».

Graydee: Vediamo che nel corto si vengono a creare e, a sovrapporre, una serie di temi differenti. Tutti sono collegati tra loro ma qual è l’elemento che ha fatto da fil rouge nella scrittura della storia?

Daniel: «Va detto che non esiste un tema unico che possa riassumere il senso del corto. Durante la lavorazione ci siamo posti una serie di domande alla quale abbiamo cercato di dare risposta nel, e con il, cortometraggio. L’idea del corto parte da una serie di input che ci portavamo dietro da tempo: da una parte avevamo la sperimentazione dei video verticali, dall’altra il tema del selfie. Tra le due si è sviluppata, in corso d’opera, l’idea dei gemelli.

Partiamo dal tema del selfie. Da tempo stavamo riflettendo su questa forma espressiva, tipica del nostro periodo storico, che se vogliamo è anche un po’ rètro oggi. Perché in effetti si tratta di un tema che qualche anno fa era decisamente molto più caldo ma a noi, che adoriamo lo stile rètro, è sembrato subito quello adatto alla sperimentazione. E da qui abbiamo sviluppato la storia del cortometraggio. Siamo partiti dal selfie. Io in parallelo ho iniziato a leggere ‘La furia delle Immagini. Note sulla postfotografia di Joan Fontcuberta, nel quale un intero capitolo è dedicato proprio a questa pratica. Nel selfie c’è tutta la retorica della fotografia come rappresentazione e specchio della realtà, unita al discorso del rappresentare se stessi. Se stessi e quindi ‘l’altro io’. Da qui, la nostra riflessione si è mossa verso il concetto di doppio, della rappresentazione della realtà contro ciò che ipotizziamo essere reale. Tema chiave, anch’esso, della nostra epoca, della nostra società dominata da social network. Da immagini e video che raccontano e rappresentano la nostra vita, ma che effettivamente vita non sono.

Poi, abbiamo iniziato a interrogarci su quale fosse la condizione nella quale esiste una versione parallela di se stessi, un sé alternativo. Questa condizione si verifica nel caso dei gemelli. Così portiamo alla luce il secondo tema del corto: il gemello, l’altro da se stesso».

Estratto da 'La furia delle Immagini. Note sulla postfotografia’ di Joan Fontcuberta.Estratto da ‘La furia delle Immagini. Note sulla postfotografia di Joan Fontcuberta.

Graydee: A chi è destinato il video?

Daniel: «Sapevamo fin dall’inizio che avremmo condiviso il cortometraggio sugli account social di Graydee. Il video è nato come una sfida – citando anche il titolo del corto – ed è stato pensato per essere fruito come tale, da un pubblico vasto».

Graydee: Il video non va preso troppo sul serio?

Daniel: «Non va preso troppo sul serio, esatto. Oltre tutta la filosofia che si può fare, e che faremo, va detto che il video era un gioco. E io mi sono divertito a giocare».

Graydee: Riformulando la domanda, il cortometraggio è destinato a tutti coloro che siano disposti a giocare e a trovare nuove interpretazioni?

Daniel: «Sì, a persone che si divertano a co-creare nuove storie e non vivano i contenuti solo in modo passivo. Gente che si diverta a giocare con noi. Ci piace dare nuove interpretazioni e ci piace trovarle insieme».

Graydee: Qual è stato il tuo ruolo nella produzione di ‘La Sfida – A Vertical Short Film’?

Daniel: «Sono stato incaricato di ideare e realizzare un cortometraggio che potesse partecipare al Vertical Movie Festival di Roma. Sono stato il performer (ci ho messo la faccia!), l’operatore (ho fatto le riprese), l’editor (ho montato il video), il postproducer (postproduzione dei colori e altro). A monte sono stato anche l’autore della storia. Non c’è un copione ma uno storyboard di massima è stato fatto. In realtà sarebbe giusto, parlando di ruoli, raccontare come anche la mia collega Beatrice è stata coinvolta».

Graydee: Non preoccuparti, non occorre. Andiamo avanti…

Daniel: «Ma no, va raccontato al pubblico com’è stata la lavorazione. Una lavorazione molto sofferta, molto dura perché l’idea iniziale era diversa dal risultato finale, in corso d’opera tutto è stato stravolto. Ci sono state una serie di disavventure perché avrei dovuto fare le riprese e realizzare il cortometraggio durante le ferie estive – voglio che questa cosa venga messa agli atti! – è stato un periodo di sofferenza e angoscia. Sto rendendo tutto volutamente drammatico ma, scherzi a parte, inizialmente avrei dovuto girare il corto in cinque città diverse. Avrei dovuto seguire i miei spostamenti durante le ferie e fare le riprese in ognuna di esse. Eravamo d’accordo io e la segretaria di produzione – la qui presente Beatrice Barzon, nonché mia intervistatrice – che ci saremmo sentiti durante le ferie per riuscire a realizzare questo lavoro. Lei mi avrebbe dovuto coordinare e aiutare a tenere i tempi della lavorazione. Così è stato, ma le cose si sono complicate lavorando alla produzione durante la chiusura estiva e in luoghi diversi. Il primo piano di produzione, infatti, è saltato completamente: il progetto dipendeva interamente dalla mia vita privata. La mia vita privata è diventata un casino, di conseguenza è diventata un casino anche la produzione del corto [ride, ndr]. Si è deciso allora di semplificare il progetto in corso d’opera. Ho elencato le mie responsabilità ma c’è stato – come dicevo – anche il ruolo di un’altra persona che ha accettato di prendere parte a questa follia, Beatrice».

Graydee: Sono sicura che tutti si stessero chiedendo chi fosse stata la tua segretaria di produzione. Grazie per la precisazione, Daniel!

Daniel: «Assolutamente! Ho sentito nei corridoi chiedersi chi fosse [ride, ndr]. Ma sì, torniamo a noi. Ho girato il corto in tre giorni, in una casa che avevo preso in affitto per le mie vacanze estive in Calabria. Io non sono andato al mare, ci andavano gli altri. Ero in casa come uno dei gemelli. Anzi, entrambi restano a casa. Io ero entrambi quei due gemelli. Ero a casa arrabbiato, pranzavo da solo.»

La Sfida – A Vertical Short Film‘, cortometraggio prodotto da Graydee.

Graydee: Perché nel cortometraggio non è così evidente la presenza di un gemello?

Daniel: «Facciamo un passo indietro. Durante la lavorazione tendevo a presentare proposte piuttosto complesse al nostro direttore creativo, Luca Lisci, per il tempo narrativo che permetteva un cortometraggio di massimo dieci minuti. Soprattutto la realizzazione non poteva essere così complicata visto che, appunto, me la sarei portata dietro durante le ferie. Lisci mi ha consigliato di non concentrarmi sullo spiegare il perché di ogni singola cosa, ma di pensare piuttosto alla sensazione che avrei voluto trasmettere. L’ho ascoltato. Non era così importante che al pubblico arrivasse che si trattava di una gara di selfie tra gemelli.»

Graydee: Quindi, qual è la sensazione che volevi trasmettere?

Daniel: «Come dicevo, il video è nato come un gioco. Una sfida, la possibilità di sperimentare un nuovo stile. Solo in un secondo momento ho capito quali messaggi avrei voluto fare arrivare. Primo fra tutti, il senso di solitudine dell’individuo. Poi, la moltiplicazione dell’immagine di questa persona, attraverso i selfie. Infine, l’entusiasmo che tale ricerca avrebbe portato.

Nella prima parte del video c’è una calma pressocché noiosa, accentuata dal fatto che la scena è ambientata in una località marittima con spiagge molto belle e il personaggio rimane in casa, imbronciato e insoddisfatto. Il messaggio che volevo trasmettere consisteva nel convincere il pubblico a giocare con noi, a guardare oltre il piattume – quasi tangibile – della parte introduttiva del video».

Graydee: Se guardassi il corto con gli occhi del pubblico, cosa percepiresti?

Daniel: «Le sensazioni che ha provato Daniel, come spettatore, sono esattamente quelle appena accennate: solitudine nelle scene iniziali del corto; entusiasmo nel gioco, durante la parte centrale; senso di costrizione nell’ultima. Alla fine, è come se partecipare al gioco fosse diventato un dovere. Ormai ero chiuso dentro, dovevo giocare. Quest’interpretazione mi affascina perché crea un parallelismo con il mondo dei social network: essere nel trip dei selfie e continuare a farli, rimanere lì sul divano ad aspettare un’ispirazione per il prossimo selfie e non vivere appieno la realtà.»

Graydee: E come autore del cortometraggio?

Daniel: «In questo caso, non posso dire di avere creato una narrazione nella quale tutte le possibilità fossero chiuse. Se una storia risponde a tutte le domande dopo averla letta, ascoltata, ammirata, dall’inizio alla fine per me è una storia monotona. Quello che io mi aspetto da spettatore è che ci siano delle finestre aperte che mi lascino intravedere una serie di direzioni nella quale continuare a muoversi. Se si segue la storia e le si vuole dare un’interpretazione univoca, significa che la storia è monodimensionale. Lo scopo non è sedersi e accettare passivamente un racconto, nonostante il video sia per sua natura il contenuto che più si presta alla passivizzazione dello spettatore, al contrario mi gratificherebbe se servisse come stimolo».

Graydee: Hai due persone davanti a te che stanno provando a interpretare il corto. Come reagisci?

Daniel: «Mi piacerebbe molto se dalla loro conversazione emergessero due significati diversi, senza giungere a una soluzione definitiva. Questo significherebbe che la storia potrebbe avere almeno due sfaccettature. Una storia che inizia e che finisce è una storia morta, dal mio punto di vista. Una storia viva è quella che permette al suo pubblico di aggrapparsi a possibilità altre. Appigli che conducono il pubblico verso interpretazioni nuove, verso sensi diversi e stratificati. Una storia con più interpretazioni, ha più dimensioni. E più dimensioni ha, più esiste. Più sfaccettature ha, più è completa. Se uno spettatore contribuisce a scoprire nuove sfaccettature, crea qualcosa di ancora più grande. Il video diventa un’opera collettiva».

Graydee: La casa malmessa vuole rappresentare qualcosa?

Daniel: «Non è importante chiedersi perché i personaggi siano finiti lì. Io credo che nel momento in cui uno spettatore guarda una storia, deve dare una chance alla narrazione di andare, dall’inizio alla fine. Il flusso della narrazione lo porterà da qualche parte – se è disposto a lasciarsi andare – e sarà solo allora che potrà metterla in discussione. Se vogliamo rfilettere insieme, la casa può essere interpretata anche come metafora psicologica del proprio io: una casa malmessa rappresenta una vita interiore priva di equilibrio. Uno dei due gemelli rimane chiuso in casa e si concentra sui lati negativi della sua condizione attuale. Sbuffa per il contesto in cui si trova, senza fare niente per cambiare la sua situazione. L’altro gemello non si vive l’estate, tantomeno la realtà, ma con la scusa dei selfie trasforma la sua condizione da orrenda ad accettabile. A posteriori si può dire che nessuno dei due si salva, sono entrambi condannati. La differenza però è che uno dei due vive la sua condizione in maniera positiva, l’altro solamente negativa. Ma queste sono solo mie digressioni».

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La Sfida – A Vertical Short Film’ – locandina del teaser.

Graydee: Ci saluti con?

Daniel: «Il video non va guardato, va percepito» [ride, nrd].