Violenza online sulle donne: un fenomeno da combattere a colpi di cultura

da | Feb 1, 2022

L’aumento della violenza online sulle donne è una delle conseguenze peggiori della nuova routine onlife, ma possiamo combatterla. Serve una cultura diversa, globale, inclusiva e sostenibile a livello sociale.

L’ultimo secolo dell’esistenza umana ha visto il raggiungimento di traguardi senza precedenti sotto moltissimi punti di vista. In tecnologia, nelle scienze o nella medicina, lo sviluppo si è distinto per la sua velocità e penetrazione, un’impennata esponenziale delle conoscenze e capacità umane. Se si pensa che i computer che hanno supportato il primo allunaggio avevano le stesse capacità computazionali di una moderna calcolatrice, si può percepire la straordinarietà di questo progresso accelerato.

È anche per questo che assistere a fenomeni di arretratezza culturale e sacche di decivilizzazione fa ancora più male. Sembrano esserci due velocità, due mondi, due attori sociali: uno in grado di raggiungere eccezionali traguardi e l’altro capace di terribili ingiustizie. Una polarizzazione tanto sorprendente quanto pericolosa.

Non si tratta solo di contesti e regioni del mondo dove violenza e sopraffazione sono all’ordine del giorno, ma anche nelle aree e continenti che si ritengono più sofisticati, come ad esempio la civilissima Europa, i dati su questi fenomeni sono quanto mai impressionanti. Tra tutti, uno dei più evidenti è la violenza di genere, definita dall’UNHCR come ‘quegli atti di violenza diretti a determinati individui sulla base del loro sesso. Radicata nella disuguaglianza, nell’abuso di potere e in norme nocive, la violenza di genere è una grave violazione dei diritti umani e una minaccia pericolosa per la vita’. La violenza di genere quindi non è solo fisica, ma sociale, psicologica, culturale. L’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere ne descrive bene le forme e i numeri, portando alla luce aspetti decisamente sottovalutati o ignorati del fenomeno.

La violenza sulle donne si combatte a colpi di cultura

Una delle componenti più intuitivamente rilevanti della violenza di genere è quella sulle donne. Talvolta, però, lo sforzo globale (e locale) verso l’inclusione e il rispetto della donna si riduce a delle conclusioni effimere e azioni simboliche di pinkwashing. Oltre a non avere conseguenze effettive nel medio-lungo periodo, tali approssimazioni appiattiscono il dibattito su altri stereotipi altrettanto riduttivi e avvilenti.

Questo, perché le campagne di sensibilizzazione sono spesso sporadiche e superficiali. La violenza sulle donne, invece, si combatte a colpi di cultura. È necessario costruirne una nuova, nel senso più accademico della parola. Secondo il Costruttivismo la cultura non è altro che una mappa concettuale che usiamo ogni giorno per dare un senso alle cose e agli eventi intorno a noi. I membri di una stessa cultura hanno mappe concettuali simili e, pertanto, individuano interpretazioni e significati simili agli eventi e agli oggetti della realtà. Le loro mappe sono simili perché sono costruite dalle interazioni sociali che hanno gli uni con gli altri. Più semplicemente, sono gli individui che creano la cultura, costruendo determinate interpretazioni della realtà tramite la conversazione e il confronto continuo. Cambiando modo di pensare o di parlare di un certo fenomeno se ne cambia anche il significato.

Cambia la cultura.

La violenza online sulle donne si è diffusa in un contesto onlife

Sono passati ormai due anni dall’inizio della pandemia. La vita di prima, però, sembra molto più lontana di così.  Risucchiata da cambiamenti indomabili, alterata da eventi inaspettati e tinta di nuove preoccupazioni, la nostra routine è quasi irriconoscibile. Da un lato abbiamo saputo rispondere con grandiosità, come spesso accade quando l’umanità affronta dei momenti di crisi. In una manciata di mesi l’avanzamento tecnologico ci ha fatto conquistare vette prima impensabili nel medio periodo, accompagnando la trasformazione digitale della nostra quotidianità, innovazione dopo innovazione. Nell’area scientifica, poi, la risposta all’emergenza si è distinta dagli esempi del passato per velocità e pervasività, sostenuta da uno sforzo globale e da menti brillanti e dedicate.

A un livello più individuale, quello delle nostre vite sociali, abbiamo cercato di dare un senso al cambiamento nei modi più diversi. Quando il contatto fisico ci è stato improvvisamente impedito lo abbiamo cercato online: le misure di contenimento e quarantena sono stati solo alcuni dei fattori che hanno spinto verso un drammatico incremento nell’utilizzo delle diverse piattaforme social.

Questi spazi digitali sono diventati un nuovo punto di riferimento e hanno offerto un’alternativa a quel contatto umano, quel dialogo e quella discussione necessari per dare un senso alla nuova realtà. Ulteriori esperienze come lo smartworking, gli eventi online e altre tendenze culturali distribuite sotto forma di hashtag hanno contribuito a sfumare sempre di più il confine tra online e offline, spingendo verso una realtà sempre più interconnessa.

O come direbbe Luciano Floridi, sempre più onlife.

Acutizzazione post-pandemica della violenza online sulle donne e come curarla

È proprio in questa routine onlife che la cultura post-pandemica si è costruita, tramite il sensemaking che questi spazi ambigui hanno incoraggiato e i trend che ne sono scaturiti. Una re-interpretazione globale del significato della vita umana. Una delle più grandi negoziazioni culturali intraprese dall’umanità.

Per quanto si tratti di processo culturale estremamente rilevante e interessante, però, alcune tendenze che ne sono scaturite non hanno nulla di positivo. Al contrario, sembrano quasi il sintomo di un recesso, una perdita di valori e restringimento di vedute della società moderna.

Una delle più significative in questo senso è il preoccupante aumento della violenza online (e non solo) sulle donne, che secondo i dati raccolti da UN Women arriva a interessare dal 10% al 20% delle utenti femminili, raggiungendo picchi del 40% in paesi come il Pakistan.

Violenza online sulle donne: forme ed effetti

Con un aumento dell’utilizzo di internet del 50% – 70%, infatti, sono aumentate anche le forme di violenza online sulle donne. Se la questione potrebbe inizialmente sembrare ridotta o superficialmente poco percepibile, l’Intelligence Unit dell’Economist ne ha individuate ben nove forme, raccontando una storia diversa riguardo la pervasività del fenomeno.

  1. Misinformazione e diffamazione: diffusione di voci e false informazioni a danno della reputazione della persona.
  2. Cyber-harassment: utilizzo ripetuto di messaggi o contenuti grafici con l’obiettivo di spaventare e indebolire l’autostima di chi li riceve.
  3. Incitamento all’odio: utilizzo di un linguaggio ostile per attaccare o umiliare la persona, cercando di coinvolgere anche altri utenti.
  4. Furto d’identità: creazione di un profilo online falso che utilizza i dettagli di altre persone.
  5. Hacking e stalking: intercettazione delle comunicazioni e controllo ossessivo delle attività della vittima online.
  6. Astroturfing: iniziativa coordinata da parte di più utenti con lo scopo di condividere contenuti volti a diffamare la vittima e la sua reputazione su una o più piattaforme.
  7. Abusi tramite video/immagini: condivisione di materiale grafico condiviso privatamente dalla vittima, con intenti malevoli. Rientra in questa categoria anche il revenge porn, quando vengono condivisi online contenuti grafici (acquisiti con o senza consenso) che vedono la vittima coinvolta in attività sessuali.
  8. Doxing: pubblicazione di dati sensibili della vittima, quali indirizzo o numero di telefono con lo scopo di perpetrare atti di violenza.
  9. Minacce violente: minacce di violenza fisica che vengono lanciate attraverso un canale o piattaforma online.

Se internet e le piattaforme digitali forniscono più possibilità di espressione, lo fanno indistintamente dalla natura di ciò che viene espresso. Le cattive intenzioni e le buone parole hanno spesso pari opportunità di proliferare in questi ambienti e, talvolta, di passare inosservati. Sia UN Women che The Economist, infatti, riportano i risultati delle loro ricerche con una postilla: non tutte le vittime di violenza sono disposte a denunciare l’accaduto e non si può calcolare con certezza l’influenza che questi dati impalpabili avrebbero, se venissero assimilati a quelli raccolti. In poche parole: la descrizione statistica del fenomeno potrebbe essere una riduzione estremamente ottimistica della realtà dei fatti.

A volte, denunciare non è un’opzione

Ci sono una serie di ragioni che potrebbero spingere una vittima a non denunciare la violenza subita. Magari non si dispone di supporto: non si hanno i mezzi necessari o l’infrastruttura adeguata a ricevere aiuto dall’esterno. Oppure si conosce l’aggressore: anche la violenza diventa quindi onlife, fomentata dalle preoccupazioni per l’incolumità personale nel caso si decidesse di prendere provvedimenti.

In altri casi ancora, specialmente in nazioni dove l’ordine sociale e le tendenze (culturali e non) ruotano ancora su cardini sessisti o discriminatori, la violenza non si percepisce nemmeno. È colpa della foto con dei vestiti che rivelano un po’ troppo, colpa del tweet che mostra un punto di vista diverso dal solito. Colpa della propria sessualità non-conformista, del colore della propria pelle o di un’identità di genere non binaria. Per la vittima quindi la violazione dei diritti umani diventa un semplice promemoria: che la propria esistenza nel mondo ha qualcosa di intrinsecamente sbagliato.

Buone pratiche da cui prendere esempio

Ci sono diversi progetti che promuovono il contributo da parte degli utenti femminili verso una tecnologia più inclusiva: tra questi, due ottimi esempi sono take back the tech e SheTransformsTech. Inoltre, diverse piattaforme social hanno iniziato a fornire supporto per l’online harassment: è il caso di Heartmob, la comunità dedicata di Instagram.

A testimonianza di quanto il ruolo delle donne sia centrale nella costruzione di una società più sostenibile non solo in termini ambientali, ma anche e soprattutto sociali, anche l’Expo di Dubai ha dedicato un intero padiglione alle donne, in collaborazione con Cartier. L’obiettivo è quello di abbattere stereotipi e ispirare conversazioni future verso la celebrazione della donna e del suo contributo, tanto inestimabile quanto spesso taciuto. Attraverso un percorso multisensoriale, i visitatori sono richiamati verso una reinterpretazione del ruolo della donna, ancorata su quattro temi distintivi:

  • Il riconoscimento dell’impatto delle donne sul mondo (di oggi e non solo).
  • Le sfide che frenano e penalizzano le donne e la loro integrazione.
  • Le iniziative che, dall’altro lato, permettono loro di crescere di svilupparsi, come persone e come contribuenti all’avanzamento del genere umano.
  • L’incoraggiamento dei visitatori verso modi di pensare in grado di cambiare le concezioni sbagliate intorno alla figura della donna.

Anche noi di Spindox ci siamo già impegnati affinché il mondo digitale e la tecnologia siano sempre più inclusivi verso le donne. Da sempre facciamo il massimo per incoraggiare la parità di genere all’interno del nostro contesto aziendale e, nello specifico, ai livelli della dirigenza e di altre posizioni apicali. Attraverso il nostro blog, stimoliamo i nostri pubblici interni ed esterni verso riflessioni più consapevoli in ambito di tecnologia. L’obiettivo, in questo caso, è quello di reinterpretare la trasformazione digitale in modo da dirigerla verso direzioni più inclusive, esaminando le discriminazioni dell’area in maniera inconsueta, profonda e trasversale.

Inoltre, collaboriamo con associazioni importanti per l’integrazione quali Eufemia, impegnata in progetti di alfabetizzazione digitale rivolti a donne provenienti da contesti difficili. I loro corsi forniscono a queste donne gli strumenti e le conoscenze adatte per ambientarsi e muoversi autonomamente nel mondo digitale, favorendo occupabilità e inclusione nella società dell’informazione.

Abbattere la violenza online sulle donne: costruire una nuova cultura

Costruiamo una cultura che abbatta la violenza online sulle donne. Una cultura fatta di parole buone, di reciproco supporto e incoraggiamento. Di accettazione e mutua empatia. Creiamo infrastrutture adeguate affinché le donne si sentano protette e ascoltate, ispirandoci ai buoni esempi che esistono già. Istruiamo le donne affinché si rendano conto di come e quando la violenza prende forma. Facciamo loro capire che denunciare e parlare è sempre e inequivocabilmente più giusto di tacere e di subire. Insegniamo ai nostri bambini che non serve la violenza per farsi ascoltare e che alla sofferenza degli altri non corrisponde, né potrà mai corrispondere, una gratificazione personale.

Superiamo le barriere che ancora frenano questo aspetto della società e dimostriamo finalmente di aver raggiunto vette di eccellenza in tutti i campi, soprattutto quello dei diritti e delle libertà.

Elena Masia
Elena Masia
Con studi ed esperienze di lavoro internazionali, è una poliglotta in giro per l'Europa con una sola missione: trovare le parole giuste per comunicare nel terzo millennio.

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